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Jeremy Irons, l’uomo dietro l’attore

L’incontro con gli studenti al Taormina Film Fest e la successiva consegna dell’omaggio di cineblog rivelano l’uomo dietro l’artista. Impegnato, semplice e schietto Jeremy Irons sorprende tutti e affascina anche fuori dallo schermo

pubblicato 3 Luglio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 12:29


A guardarlo lì seduto in poltrona col panama calato sulla testa, camicia e pantaloni casual e un’aria vaga da turista intellettuale, chi avrebbe potuto affermare che davanti alla platea della TaoClass quel giorno si stesse materializzando l’ambiguo Claus Von Bulow o il compassionevole Padre Gabriel di pellicole come “Il mistero Von Bulow” e “The Mission”? Eppure non appena il flemmatico attore inglese ha aperto bocca la voce calda e baritonale e l‘impeccabile accento british ci hanno riportato subito alla memoria non solo il crudele zio Scar de “Il Re leone” (cui il nostro imprestò voce e contegno shakespeariano) ma soprattutto le due angosciose e schizofreniche incarnazioni dei gemelli Mantle in “Inseparabili”, film che mi sconvolse a 16 anni per la sua audacia (erano gli anni ’80), prova recitativa da annoverare e studiare nei manuali della recitazione.

Non a caso, durante l’affollatissima Tao Class svoltasi nel corso dell’ormai concluso Festival di Taormina, alla domanda con la quale gli veniva chiesto di illuminare i presenti circa il misterioso ringraziamento “a David” pronunciato nel 1991 appena dopo aver vinto l’Oscar per “Il mistero Von Bulow”, l’attore chiariva che trattavasi proprio del David Cronenberg regista di “Inseparabili”, ribadendo così il peso di un’interpretazione senza la quale l’Academy Awards, colpevole di averlo ignorato per quel film, non sarebbe ricorsa all’Oscar “riparatore”dell’anno successivo. Quanti attori sarebbero disposti ad ammettere di aver conseguito il massimo premio cinematografico per un’interpretazione dell’anno precedente? Jeremy Irons, classe 1948 e 64 anni portati con fascino ancora individiabile, evidentementenon ha problemi a farlo, così come non ha avuto problemi, durante l’incontro con gli studenti, a sedersi sulla spalliera della poltrona (a rischio dell’equilibrio) pur di farsi vedere interamente dalla platea. “Siete venuti per vedere me, ma se resto seduto qui metà della sala non mi vede affatto!”. E come un perfetto gentleman, dopo ogni domanda rivolta dal pubblico, il nostro puntualmente si alzava in piedi per rendere le sue lunghissime e generose risposte.

Del resto che lui sia un tipo semplice e amante del quieto vivere lo ribadisce il suo stesso stile di vita. Viaggiare, andare a cavallo, fare scherma e vela o dedicarsi al giardinaggio sono le occupazioni alle quali non vede l’ora di tornare dopo ogni “intervallo di lavoro” (lo dice quasi con rassegnazione) costituito dal cinema. Dopotutto, se compri e ristrutturi un castello medievale in Irlanda non lo fai mica per capriccio ma solo per trascorrere al meglio quel “tempo” che, come fa notare giustamente, è il solo bene cui dovremmo tenere. Quella dell’attore è una veste che afferma di dismettere con facilità (“quando non recito non mi sento un attore”) ma anche un compito da affrontare più con l’emozione che con le infallibili ma vincolanti regole del metodo. Sarà per questo che per lui piuttosto che “piccoli ruoli” esistono solo ruoli con poche immagini, interpretazioni da affrontare sempre con serietà ed impegno e grazie ai quali “poter pagare le bollette”.

Basti vedere il modo in cui Mr. Irons riesce a brillare in apparizioni da non protagonista come quelle nei recenti Margin Call, Beautiful Creatures o The Words: pochi istanti in certi casi ma quelli giusti, che lasciano un’inconfondibile impronta (inglese). Un attore senz’altro e inevitabilmente anche una star ma consapevole del suo essere più uomo che divo. E uomo e attore si incontrano fondendosi nell’artista sensibile e protagonista di una campagna mondiale sull’emergenza rifiuti. “Trashed” si intitola infatti il documentario che da metà Giugno circola già in qualche sala italiana e proiettato al Taormina Film Fest prima dell’incontro con gli studenti. Sullo schermo l’attore è la guida disincantata di un viaggio attraverso sprechi e rifiuti nel terzo millennio. Dal vivo si trasforma con sorpresa nell’appassionato promotore di una campagna di sensibilizzazione collettiva capace, tra una dissertazione sul mestiere dell’attore e qualche gustoso ricordo (l’esordio in “Nijinsky” film di Herbert Ross girato a Catania), di invitare i presenti, giovani e non giovani, a farsi protagonisti di un cambiamento individuale (“Siamo noi a governare il mondo- ripete alla platea -e la responsabilità è nelle nostre mani”).

Doti di comunicatore efficaci ed essenziali che conquistano subito anche quei ragazzi che non hanno (ancora) conosciuto l’Irons grandissimo di “Inseparabili”, “Il danno” o “M. Butterfly” e che, al termine dell’incontro, si fiondano sull’attore (neanche fosse una star giovanilistica) chiedendo foto e autografi. Occorrerà aspettare parecchio e scansare onnipresenti bodyguard prima di poter finalmente consegnare l’omaggio illustrato in cui l’ho ritratto nel ruolo della vita (il twin di “Inseparabili”).

Ma l’attesa vale tutta: Irons si mostra lieto di ricevere l’omaggio e soprattutto della scelta del soggetto e mi stringe affettuosamente la mano sorridendo e ringraziandomi. Riesco a strappare anche una posa in serata ricordandogli, dopo i tanti volti incontrati in una convulsa giornata, che sono l’autore del disegno consegnato al mattino. Sospende la serietà della conversazione e mi elargisce subito un grande sorriso disponendosi a uno scatto memorabile. Davvero non c’è traccia di quell’ambiguità da gemello Mantle che mi aveva segnato al cinema durante la visione del film di Cronenberg nel lontano 1989. L’attore e l’uomo in Irons sono davvero due dimensioni diverse.

Jeremy Irons, l�uomo dietro l�attore
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