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Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata – di Carlo Vanzina: la recensione

Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata (Italia, 2011) di Carlo Vanzina; con Francesco Montanari, Vanessa Hessler, Richard E. Grant, Giselda Volodi, Virginie Marsan, Claudine Wilde, Paolo Seganti, Mario Cordova, Alexander Doetsch, Elena Cotta, Vincenzo Zampa, Francesco Barilli, Ernesto Mahieux, Alexandra Burman.Farebbe pure tenerezza, questo terzo Sotto il vestito niente, se alla fine non si

pubblicato 28 Marzo 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 13:33

Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata (Italia, 2011) di Carlo Vanzina; con Francesco Montanari, Vanessa Hessler, Richard E. Grant, Giselda Volodi, Virginie Marsan, Claudine Wilde, Paolo Seganti, Mario Cordova, Alexander Doetsch, Elena Cotta, Vincenzo Zampa, Francesco Barilli, Ernesto Mahieux, Alexandra Burman.

Farebbe pure tenerezza, questo terzo Sotto il vestito niente, se alla fine non si rivelasse per quello che è. E il risultato è solo quello di restare tiepidi tiepidi, magari un po’ allibiti, comunque con la sensazione da “Me l’ero detto, io…”. Thriller, si dice. Di morti ce ne sono un bel po’, ma ne abbiamo contati tre di morti ammazzati nella storia lineare (perché poi ci stanno i flashback, eh!).

La prima è la top model Alexandra, che vola al rallenti angelica e beata, strafatta di alcol e coca al suolo, colpita a morte da una macchina. Il secondo omicidio avviene fuori campo. Il terzo sparge un po’ di sangue, ma poi si rischia la siccità. E non aspettatevi nulla di pruriginoso, anzi. L’ultima sfilata è un thriller soporifero, bello e pronto per le polemiche (infondate) quando vorranno passarlo in prima tv.

Nell’improbabilissimo plot rischiano di essere più i personaggi che o si suicidano o muoiono per cause di forza maggiore, come l’infarto. Non c’è nulla di male? È che ormai non ci si ispira più a nulla di cinematografico, come all’epoca del primo film, e l’unico rimando “culturale” è la castissima fiction, che impone il suo modello su tutti i fattori del prodotto. Ad iniziare da trama e sottotrame: il protagonista non a caso è un poliziotto, lì dove nell’originale c’era il “solito” straniero giunto in Italia. Riproporre un personaggio così oggi sarebbe quasi rivoluzionario…

I fratelli Vanzina continuano a volerci raccontare il mondo della moda come losco, cattivo, causa di mali personali, oggi anche familiari, ma il problema sta nel manico. Ovvero nel prototipo originale: già nel 1985 si ambientava il thriller nel mondo del lusso e dei vestiti firmati tra omicidi e sangue, ma lo si faceva con il modo patinato tipico proprio di quel mondo. Perché in fondo agli autori la famosa “Milano da bere” piace da matti. Certo che quasi quasi però, a vedere L’ultima sfilata, viene voglia di rivalutarlo, l’originale: che sarà un cult, ma resta brutto.

Chi guarda ed ha un po’ di dimestichezza col genere deve sapere anche un po’ guardarsi in giro, in primis tra i nomi che mettono la firma sul film. È tutta colpa dei Vanzina se il risultato è quello che è? La colpa è ovviamente anche loro, ma anche Franco Ferrini ha la sua buona parte. E va bene che ha lavorato per C’era una volta in America, ma da quando ha iniziato a lavorare con Argento i suoi film non si sono più potuti ascoltare (ma anche lì è soprattutto colpa di Darione).

Tra i buchi di sceneggiatura, i personaggi si muovono e agiscono senza alcuna razionalità umana. Al solito la polizia non capisce nulla, e la bella fioraia scovata a Stoccolma per sostituire la top model uccisa impara a sfilare in due secondi (e anche a parlare italiano, evidentemente). Ma prima viene messa in allerta dei pericoli del mondo della moda (“Il tuo unico amico è lo specchio”…) da un un personaggio a cui si sono dimenticati di scrivere la parte finale, forse perché buttato lì a depistare lo spettatore, che comunque capisce chi è il killer appena entra in scena.

E non basta riaggiornare il mondo della moda portando allo scoperto banalmente il suo lato queer, con l’amante dei due stilisti rivali che salta da una parte e dall’altra come una bandiera, perché a quel punto vale più come “testo sociologico” il primo film con la lesbo-rivelazione del whodunit e il biondissimo protagonista che si offriva nudo a mezzo busto.

Non aiuta poi chi persiste nel difendere operazioni del genere solo perché il killer continua ad indossare i guanti neri e chiama le vittime al telefono ansimando, o perché ritorna Pino Donaggio, che continua a rifare se stesso che rifaceva le sue colonne sonore per De Palma, a cui l’intera baracca deve tutto. I fan noteranno il numero 303 verso il finale, autocitazione della camera dell’hotel del primo film, ma avranno pure notato la recitazione e il doppiaggio da cani. Si spera.

Se poi si legge su una nota rivista che Sotto il vestito niente è il thriller che Argento non ha più fatto, cascano le braccia, almeno per amore di informazione. Dario all’epoca del filmetto dei Vanzina aveva appena girato Phenomena. E nessun ardito paragone o effetto nostalgia toglierà all’ultimo episodio di essere un film scontato, piatto e sbagliato, che non aspira neanche ad essere quel guilty pleasure che molti avrebbero voluto.

Voto Gabriele: 2
Voto Carla: 1
Dal 25 marzo nei cinema, qui il trailer italiano.