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Rush: Recensione in Anteprima del film di Ron Howard

Uno dei duelli sportivi più accesi e appassionanti di sempre fa capolino sul grande schermo con Rush di Ron Howard. Un breve ritratto sulla profonda rivalità tra Niki Lauda e James Hunt

pubblicato 14 Settembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 09:38

Antagonismo, fiamma che probabilmente in nessun ambito arde come nello sport. Tanto più se nell’arena si è soli contro tutti, o contro qualcuno in particolare. Sulla rivalità tra James Hunt e Niki Lauda sono stati spesi fiumi d’inchiostro, che ad ogni modo non rendono possibile inquadrare a dovere una delle contese più aspre ma soprattutto più viscerali nella storia della Formula 1. Un buon soggetto, dunque, per trarne un film, sebbene Rush di Ron Howard alla vigilia non sembrava promettere un ritratto positivamente definitivo.

Ritratto che non era certo facile plasmare, perché un film quasi in nessun caso riesce a racchiudere efficacemente la vita di una persona, figuriamoci di due. La prima intuizione in Rush è stata quella di evitare il fossilizzarsi troppo sulle pieghe più o meno oscure dei due profili, tentando con evidente sforzo di mantenere l’intera vicenda all’interno dei circuiti di gara, se non addirittura dell’abitacolo. Ma tanto Lauda quanto Hunt abbisognavano di un’introduzione, perché questa pellicola non è rivolta solo agli appassionati di questo sport e di questo duello in particolare, bensì principalmente a chi del duro scontro tra i due piloti poco o nulla conosce.

In tal senso Rush oppone una prima parte se vogliamo descrittiva riguardo a come i due si sono fatti le ossa per poi approdare a quel sogno chiamato Formula 1, laddove prender corpo una seconda parte in cui la storia ingrana la quarta e sfreccia fino al culmine finale. Uno scenario costruito in maniera abbastanza canonica, insomma, in cui, come detto, assistiamo ad un ritmo piuttosto rilassato al delinearsi di questi due protagonisti: da un lato Hunt, talento e sregolatezza, un donnaiolo insofferente verso le regole ma al tempo stesso avido di vittorie e successi; dall’altro Lauda, ripudiato da un padre benestante che non accetta il volere del figlio, il quale, glaciale, è disposto a sacrificare ogni cosa pur di assecondare la propria ambizione. È nella contrapposizione tra questi personaggi di opposta gradazione che si gioca l’intero incipit, che si protrae per una buona metà del film. Senza particolari guizzi, anzi, con la tendenza a semplificare le due figure, i cui contorni non risultano mai abbastanza sfumati, se non alla fine; in un gioco che in larga parte premia Hunt e la sua affascinante irriverenza, mentre “penalizza” Lauda, genio e faticatore ad un certo punto insopportabile, ma sulla cui ostinata ambizione ci si marcia a tratti un po’ troppo.

Tuttavia, come già evidenziato, ad un certo punto la musica cambia. Entrati a far parte dell’ambiente che conta, questa rivalità che trascendeva le gare automobilistiche assume gradualmente sempre più consistenza, fino a quando non si arriva a quel fatidico Gran Premio di Germania sul circuito del Nürburgring, appuntamento che in un modo o nell’altro scolpì irrimediabilmente le carriere, ma soprattuto le vite, di entrambi i piloti. E tutto ciò in Rush si avverte in maniera inequivocabile, anche e forse soprattutto per via di uno slancio emotivo sino a quel momento non abbastanza presente. A conti fatti è questo il punto di snodo, da cui in avanti gli eventi che ci vengono mostrati ci incollano sulla poltrona, in un susseguirsi di piccole/grandi emozioni che in qualche modo riescono a far breccia.

Da notare che, a prescindere dalla conoscenza dei fatti, non si fatica più di tanto ad immaginare l’epilogo di questa storia, letteralmente trascinata dall’incontro/scontro tra i due protagonisti, in quell’instabile misto di profonda invidia e profondo rispetto reciproci che li accompagna lungo l’intero dipanarsi della trama. Eppure Howard riesce a tenere desta l’attenzione nonché quel briciolo di suspense buona a condurre in porto l’intera vicenda, tra qualche sorriso e qualche tenue lacrimuccia. Non ci sarebbe riuscito, è vero, se la prova di Hemsworth non fosse stata brillante e se quella di Daniel Brühl non si fosse confermata la scelta più adatta per il ruolo di Lauda, per via di quella pedanteria che il suo volto riesce a comunicare a priori (e credeteci, si tratta di un complimento). A questo va aggiunto l’ottimo contributo di Anthony Dod Mantle, la cui fotografia retrò mista a digitale restituisce in maniera incisiva il periodo nel quale si svolge la vicenda, nonché quello dell’oramai indiscusso Hans Zimmer.

Di Rush, dunque, possiamo ammettere di averne avuto un’impressione positiva. Non del tutto fiduciosi alla vigilia, confidavamo nella possibilità che Ron Howard trovasse in una vicenda a sfondo sportivo una verve quantomeno analoga a quella di Cinderella Man, sebbene si tratti non solo di storie diverse ma il cui registro narrativo è proprio dissimile. Procedendo su binari piuttosto regolari, quest’ultima fatica del regista americano riesce a costruire una vicenda alla quale in qualche modo ci si appassiona; questo perché, ad un certo punto, ci nutriamo della passione che i due protagonisti trasmettono, sia nel loro estenuante confrontarsi sia nella strenua brama si superare l’altro. Anche se in chiusura Rush si congeda chiosando con un messaggio ben diverso, ossia che la vera sfida, ciascuno dei due, l’ha senz’altro affrontata con sé stesso. Fino alla fine, quando sembrava troppo tardi per rendersene conto.

Voto di Antonio: 7,5
Voto di Gabriele: 8

Rush (USA, 2013) di Ron Howard. Con Chris Hemsworth, Olivia Wilde, Natalie Dormer, Lee Asquith-Coe, Tom Wlaschiha, Daniel Brühl, Josephine de la Baume, Alexandra Maria Lara, Julian Seager, Jamie Sives, Pierfrancesco Favino, Patrick Baladi, Christian McKay, Alistair Petrie e Jay Simpson. Nelle nostre sale da giovedì 19 settembre.