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Torino 2011: Into the Abyss – Recensione del documentario di Werner Herzog

Un documentario sul condannato a morte Michael Perry. Into the Abyss è il capolavoro del TFF 2011

pubblicato 4 Dicembre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 05:56

“Yes, I want to start off by saying to everyone know that’s involved in this atrocity that they are all forgiven by me. Mom…..(crying) I am ready to go Warden. Coming home dad, coming home dad.”

Ultime parole di Michael Perry

Otto giorni prima dell’esecuzione, Herzog incontra Michael Perry, condannato a morte per un omicidio commesso con Jason Burkett, che invece sconterà l’ergastolo. La ricostruzione del delitto, l’incontro con familiari e amici di vittime e colpevoli, le testimonianze – tra cui quella della guardia carceraria colpita da un collasso nervoso dopo aver assistito le vittime di oltre centoventi esecuzioni – restituiscono la realtà del contesto che li circonda scandagliando le profondità dell’animo umano.

Arriviamo praticamente freschi freschi dalla visione al Science+Fiction di Cave of Forgotten Dreams, incursione del grande regista nel mondo della stereoscopia, che quasi quasi non abbiamo neanche il tempo per “affrontare” un ulteriore colpo di fulmine e un nuovo colpo al cuore da parte di Werner Herzog. Che in campo di film a soggetto nell’ultimo decennio è stato parecchio discusso, ma in campo documentaristico resta una delle voci più brillanti e profonde del cinema contemporaneo.

“I film non sono una giustificazione per i reati commessi; è inoltre lampante che i crimini di cui si sono macchiate le persone nei miei film sono mostruosi, ma non sono mostri coloro che li hanno commessi. Sono uomini e per questo li tratto con rispetto”. Le parole di Herzog valgono più di ogni recensione, di ogni riflessione a priori o a posteriori: perché a volte è inutile dover spiegare a qualcuno il film di un regista che ha le idee più lucidi, coerenti e spiazzanti del cinema contemporaneo.

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Into the Abyss è innanzitutto questo: l’ennesimo film che dimostra quanto l’Herzog-pensiero sia immenso in ogni sua forma. E non perché sia l’unico modo di girare documentari d’autore oggi, ma perché è la visione del mondo quella che conta. In ogni suo documentario il regista ci dimostra che la sua filosofia è quella più necessaria oggi, perché incentrata sempre e comunque sull’uomo e sul suo cuore di tenebra. Non conta se si è in Guyana, in Francia o in Texas: cambiano la posizione e la visione laterale, ma il fuoco centrale è ben nitido, e sempre lo stesso.

Dentro l’Abisso: una dichiarazione che suona in effetti come testamento di una ricerca costante. Questa volta Herzog si tuffa direttamente nel fuoco centrale di cui si parlava poco fa, andando ad investigare dentro ad uno dei sistemi più agghiaccianti e sconvolgenti dell’America contemporanea: quello che regola le esecuzioni capitali. Per fare ciò, il regista decide di raccontare una vicenda dolorosissima attraverso interviste e testimonianze, con un film diviso in cinque capitoli, più un prologo e l’epilogo.

Per prima cosa, Herzog ricostruisce oggettivamente cosa è accaduto una decina di anni prima, quando Michael Perry e Jason Burkett furono accusati di aver ucciso la cinquantenne Sandra Stotler, il figlio sedicenne Adam Stotler e il suo amico diciotenne Jeremy Richardson. Poi passa ad intervistare Michael e Jason, i famigliari e gli amici delle vittime. Infine si concentra sul Texas Death Row, il luogo dove vengono fisicamente uccisi i detenuti. Una vera e propria discesa emotiva negli abissi di un paese e dell’anima, che soffoca e stringe il cuore.

Herzog ovviamente non giudica, come ha ben spiegato. La sua curiosità però è al solito elevatissima, e non gli consente di trattenersi dal fare anche domande scomode e di far venire fuori la verità dai propri intervistati, anche la più scomoda. Come nel caso della figlia di Sandra, che ammette da buona fedele che Gesù probabilmente non ammetterebbe mai un abominio come l’esecuzione capitale, ma che ci sono delle persone che non meritano di vivere. La posizione dell’autore rispetto alla tematica è nota, ma non gli interessa usarla contro nessuno: semplicemente è un dato di fatto. La ricerca è un’altra cosa.

Colpisce durissimo tutto il capitolo dedicato al Texas Death Row, in cui la testimonianza della guardia carceraria giunge allo spettatore come un pugno dritto in pancia. Ci illustra come si svolge normalmente un’esecuzione, di cui è stato testimone in prima persona per un numero elevatissimo (siamo attorno ai 150 casi…), prima di decidere di smettere volontariamente dopo l’incontro con una donna, la prima uccisa dallo Stato del Texas da quando aveva iniziato a fare quel lavoro.

Into the Abyss, come ha scritto Ebert, è molto probabilmente davvero il film più triste di Werner Herzog. Ed è onesto e spiazzante il ritratto di una cittadina in cui il carcere e la cultura della morte sono all’ordine del giorno, indissolubili rispetto alla vita di tutti i giorni. Into the Abyss, anche per questo, soffoca e distrugge emotivamente come Grizzly Man, il suo lavoro forse più devastante.

Questo perché, per usare ancora una volta le parole del regista stesso, è forte “il senso di solidarietà con i detenuti e, soprattutto, la ferma consapevolezza che sono esseri umani”. Non solo delle bianche croci con sopra scritto un numero: croci anonime che verranno lasciate in fila ben piantate al suolo, e che continueranno a mettere le radici negli abissi della coscienza di un popolo.

Voto di Gabriele: 10

Into the Abyss (Germania – Canada 2011 – Documentario 106 minuti) regia di Werner Herzog. Ecco il trailer. Premio Menzione Speciale al Festival di Torino.

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