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Hunger di Steve McQueen: la prima clip in italiano, dichiarazioni e intervista del regista, note di produzione

Hunger di Steve McQueen arriva finalmente anche in Italia e al cinema dal 27 aprile, oggi su Cineblog guardiamo la prima clip in italiano

di cuttv
25 Aprile 2012 08:00

Dopo il salto nel futuro con il Michael Fassbender robot per l’atteso Prometheus di Ridley Scott, torniamo al passato e quello tutto carne e fame dell’acclamato Hunger di Steve McQueen, Camera d’Or a Cannes, Gucci Group Award a Venezia, Discovery Award a Toronto, Carl Foreman Award (premio per l’esordio più promettente) al BAFTA 2009, finalmente anche in Italia distribuito da Bim, sul grande schermo da venerdì 27 aprile 2012.

Aspettando di vedere, o rivedere in italiano, le ultime sei settimane di vita dell’attivista irlandese Bobby Sands-Fassbender, morto all’alba degli anni ottanta dopo un’estenuante sciopero della fame, insieme ad altri nove detenuti nel carcere nordirlandese di Long Kesh, conosciuto come The Maze, oggi, ‘nel giorno della Liberazione’, ci guardiamo la prima clip in italiano, dopo il salto trovate dichiarazione e un’intervista del regista insieme alle note di produzione, ma su Cineblog potete sbirciare anche:

– Il trailer e il poster italiano
– Le foto
– L’intervista a Michael Fassbender sottotitolata in italiano.

Dichiarazione del regista Steve McQueen (Maggio 2008)

Ho voluto mostrare quello che si vedeva, si ascoltava, si annusava e si toccava all’interno dell’H-block nel 1981. Ho voluto trasmettere qualcosa che non si può trovare nei libri o negli archivi: l’ordinarietà e la straordinarietà della vita nel carcere di Long Kesh. E tuttavia il film è anche un’astrazione del significato che ha morire per una causa.

Per me Hunger ha una risonanza contemporanea. Il corpo come luogo di lotta politica sta diventando un fenomeno sempre più famigliare. È l’atto estremo della disperazione: il corpo è l’ultima risorsa di cui si dispone per protestare. Si usa quello di cui si dispone, a torto o a ragione.

È importante per me che gli eventi siano visti attraverso gli occhi sia dei detenuti sia degli agenti penitenziari. All’interno del film deve esserci anche il tempo per riflettere. C’è una lunga conversazione tra Bobby Sands e un sacerdote cattolico in merito alla decisione di Sands di intraprendere lo sciopero della fame. Lo scambio diventa una partita a scacchi con una posta altissima. Devono discutere della natura del sacrificio. “La libertà significa tutto per me… Togliermi la vita non è solo l’unica cosa che posso fare, è anche la sola cosa giusta da fare”.

Alla fine ci ritroviamo soli con un uomo che trascorre i suoi ultimi giorni nel modo più estremo che esista, ma che è a un passo dalla scelta di arrendersi e vivere. Anche la più semplice azione fisica diventa un’odissea.

In Hunger non c’è un concetto semplicistico di ‘eroe’ o ‘martire’ o ‘vittima’. Il mio intento è provocare un dibattito nel pubblico e sfidare i nostri principi morali attraverso un film.

Intervista a Steve McQueen

Perché ha scelto di fare un film su questo particolare periodo storico proprio ora?
Nel corso dei vari mesi che ho trascorso riflettendo intensamente sull’opportunità di realizzare un lungometraggio e registrando quanto stava accadendo attorno a me in quel periodo, ho sviluppato un grande interesse per Bobby Sands. Nel 1981 ero un ragazzino e all’età di undici/dodici anni tre cose hanno lasciato il segno su di me: la Rivolta di Brixton, il Tottenham che vince la FA Cup, un evento fantastico, e Bobby Sands. La sua immagine appariva sullo schermo della televisione praticamente ogni sera, con un sottotitolo che indicava un numero, e mi è rimasta impressa quella determinazione appassionata e il livello di quello scontro alzato fino alla morte a seguito di uno sciopero della fame. Quel ricordo e quella opportunità mi hanno spinto a voler scoprire di più su di lui e ho pensato che la sua figura avrebbe dato vita a un film molto forte. Nella mia testa c’è l’immagine di un bambino che rifiuta di mangiare. La madre gli dice che non può alzarsi da tavola finché non mangia. In quel momento, per quel bambino, in un mondo governato dai suoi genitori, rifiutarsi di mangiare è l’unico modo che ha per opporsi. Quando Jan Younghusband di Channel 4 mi ha contattato all’inizio del 2003 non era ancora scoppiata la Guerra d’Iraq, nulla si sapeva del campo di detenzione di Guantánamo o della prigione di Abu Graib, ma con il passare del tempo le corrispondenze sono diventate evidenti. La storia si ripete, molta gente ha la memoria corta e noi abbiamo bisogno di ricordare che questo genere ci cose è accaduto in Gran Bretagna.

Come si è documentato e come ha lavorato con Enda Walsh per creare la sceneggiatura?
Non avevo mai scritto un copione prima di allora, quindi volevo trovare un autore con cui lavorare. Ma non volevo uno sceneggiatore, non mi sembrava la figura giusta in qualche modo. L’intesa con Enda Walsh è stata immediata: siamo sulla stessa lunghezza d’onda, tra noi c’è un’affinità elettiva. È un drammaturgo naturalmente, ma è anche un artista.
Prima di andare in Irlanda del Nord abbiamo letto molto e ci siamo documentati. Sul piano emotivo, l’incontro con gli ex-detenuti e gli ex-agenti penitenziari del Maze, con i sacerdoti che si recavano in visita da loro, è stato probabilmente l’esperienza più dura della mia vita. Rientrati a Londra, non ci siamo parlati per un paio di settimane credo: avevamo bisogno di riprenderci da quella esperienza. Quello che volevo fare era sapere che cosa si provava a vivere tra le mura di quel carcere in quegli anni, cogliere quello che non è descritto sui libri di storia. Volevo che per gli spettatori la prima parte fosse come entrare in una stanza, spegnere la luce e dover procedere a tentoni, imparando al tatto l’architettura, la geografia… Originariamente non volevo alcun dialogo. Spesso le parole hanno l’unico scopo di riempire gli spazi e dopo un po’ diventano solo rumore che ha il potere di distrarre da quanto sta realmente accadendo. Io invece volevo concentrarmi sull’esperienza sensoriale che si provava là dentro in quel periodo, sull’aria che si respirava. Sono aspetti che non vengono documentati e io volevo e io volevo usare una lente d’ingrandimento per metterli in qualche modo in primo piano per produrre un effetto simile a quello della fotografia in bianco e nero che a volte consente di vedere meglio la struttura, la forma delle cose. Poi ho iniziato a pensare di inserire, dopo una parte di assenza di dialogo, una valanga di parole, un confronto, un dibattito… simile al movimento avanti e indietro di una finale di doppio di tennis a Wimbledon tra Jimmy Connors e John McEnroe o a un incontro tra Joe Frazer e Muhammad Ali. Non sai per chi parteggiare, non c’è un vincitore netto. In Hunger, è la scena tra Bobby Sands e il sacerdote. Alcuni pensano che Bobby avesse torto e fosse un terrorista, altri pensano che avesse ragione e fosse un martire e io volevo guardare a sinistra e a destra di questo dualismo. Quando due pietre si scontrano, creano scintille e danno origine al fuoco. E io desideravo sospendere quell’istante per spingere le persone a riflettere. Sapevo di volere la fase del riscaldamento: Bobby e il sacerdote si annusano e si misurano. Poi sale un po’ la competizione, fino all’intromissione dell’annuncio dello sciopero della fame. Si può dire che l’intera conversazione sia sulla falsa riga di una partita di tennis o di un incontro di pugilato. Se qualcuno ti colpisce, come risparmi l’energia? Come ti riprendi? L’avversario è in vantaggio e poi passi in vantaggio tu. È tutta una questione di tattica.
Ho detto tutto questo a Enda che nella sua genialità lo ha scritto e poi ha avuto l’idea della storia del puledro. È un po’ come il jazz: scrivi la musica e poi, se le lasci andare, le persone possono improvvisare all’interno del modulo che hai tracciato.

E le riprese nell’Irlanda del Nord? All’inizio volevamo filmare all’interno dell’H-Block, ma non è stato possibile. Tuttavia, era fondamentale che le riprese avvenissero nell’Irlanda del Nord con l’ausilio di una troupe e di un cast nordirlandesi. Abbiamo ben presto scoperto che molte persone sono state toccate dalla storia di Bobby Sands ed è stato straordinario constatare che tutti ricordano dov’erano e cosa facevano quando lui morì e durante lo sciopero della fame, ognuno sembra avere una forma di legame con gli eventi di quegli anni. Tra gli attori e i tecnici c’erano anche molti giovani cresciuti ascoltando le storie dei loro genitori o dei loro zii e che si sono trovati a incarnare i ruoli o a ricreare le scene che i membri delle loro famiglie (agenti penitenziari, visitatori che passavano comunicazioni, detenuti nell’H-Block) avevano realmente vissuto. Realizzando questo film, si è creato un avvicinamento generazionale.

Come ha lavorato con gli attori?
Non avevo mai lavorato con degli attori prima di allora e ho ritenuto meglio essere sincero con loro e credo che ne siano rimasti piuttosto scioccati. Ma sono convinto che se dimostri che ti stai assumendo dei rischi, chi ti sta attorno sarà disposto a compiere uno sforzo in più. È stata un’esperienza davvero grandiosa. Liam Cunningham e Michael Fassbender sono un po’ come Keith Richards e Mick Jagger. Si sono incontrati per la prima volta a Belfast, ma sono diventati inseparabili. Credo che all’inizio, durante le prove, mi abbiano sottoposto a un esame: ero un regista al primo film! Ma quando siamo arrivati al punto centrale della loro scena, della conversazione, mi sono sorpreso da solo perché in certe situazioni posso diventare piuttosto aggressivo, ma in quel caso sono rimasto molto concentrato e attento a quello che poteva potenzialmente succedere. Abbiamo provato per diversi giorni, iniziando a prenderci molto gusto, ma al tempo stesso dovevamo restare fermi sulla pista perché non volevamo decollare prima dell’inizio delle riprese. Su un set l’atmosfera può diventare molto intensa, come abbiamo sperimentato filmando la sequenza della conversazione. Prima che la macchina da presa iniziasse a girare, mi sono detto che forse quella era l’unica occasione della mia carriera di realizzare un piano sequenza di 22 minuti. Era una posta altissima sotto il profilo delle riprese e per la natura stessa della scena e mancavano pochi istanti al ciak. Un momento molto esaltante, che mi auguro di vivere ancora spesso, perché è il luogo dove si verificano le magie. A un certo punto, ho fatto allontanare tutti, eccetto Liam e Michael. A loro ho detto di “essere Dio” poiché sentivo che avevano la capacità di trasfigurarsi, che come attori avevano la forza di fare delle cose giuste, qualunque cosa avessero fatto. Erano riusciti a creare quell’universo ed erano come una sfera che, ovunque rotoli, non fa mai un movimento sbagliato e così ho detto loro “voi siete qui, voi siete questo” e forse così li ho aiutati a sentirsi in diritto di creare senza averne consapevolezza, senza riflettere. La troupe è rientrata e abbiamo girato immediatamente.

Nel film violenza e bellezza si mescolano…
Quando guardi un dipinto di Velázquez o di Goya, la composizione dell’immagine ti trattiene lo sguardo: i loro quadri hanno la capacità di attrarre e di interrogare chi li guarda e quello che ti attrae può anche disgustarti. Hunger è girato in pellicola 35mm a doppia perforazione, in formato 2,35:1. Quando usi il Cinemascope consenti di stabilire una relazione con numerosi dettagli dell’inquadratura e questo crea una struttura narrativa. Il pubblico non resta in sala se fai un brutto lavoro, ma se fai un buon lavoro non si alzerà dalla sedia. Come artista è abituato a lavorare in un modo molto diverso. Come si è trovato a lavorare con una squadra di persone? All’inizio è stato difficile e mi irritavo, ma era quello che volevo fare e credo di avere spirito di squadra. Naturalmente una squadra ha bisogno di un capo, ma non è questo che mi interessa. È stato fantastico perché ogni “giocatore” era molto esperto nel suo ruolo. Era davvero meraviglioso fare una domanda al produttore e avere subito una risposta e un attimo dopo chiedere una cosa allo scenografo e ottenerla immediatamente! Il compito di una troupe è aiutare un regista a realizzare il suo film, ma ad un certo momento il film non è più solo del regista, diventa anche il film dei tecnici e degli attori e inizia a diffondersi un’emozione stupenda perché senti che tutti sono partecipi. È molto diverso dal mio modo abituale di lavorare, ma è un tipo di situazione dove adoro stare e voglio continuare a trovarmici.

Che reazioni si aspetta da parte del pubblico?
Sono ancora tante le situazioni di conflitto nel mondo oggi: in Iraq, in Afghanistan, in Sudan, ecc. Ma io ho voluto concentrarmi sul mio paese, sulla Gran Bretagna, su quello che è successo a casa nostra. Ho realizzato vari film in Congo, sono stato artista di guerra in Iraq, ma qui si tratta di quello che c’è sotto il nostro tappeto. Abbiamo fatto un film sulla riflessione, sulle nostre scelte e sul nostro passato, su come consideriamo noi stessi in quanto nazione e su quello che abbiamo fatto. Quindi mi auguro che il dibattito che seguirà alla visione del film sarà incentrato sulla nostra identità: voglio che lo schermo si trasformi in un gigantesco specchio e che guardandolo ognuno guardi se stesso. Penso che, al di là dell’intrattenimento, il cinema abbia una forza. Spero che, pur non essendo una commedia, il film sia avvincente e, per certi aspetti, edificante. Di sicuro non è intrattenimento fine a se stesso. Io realizzo film partendo dall’idea che non ho nulla da perdere e quindi posso correre dei rischi. Nella vita è importante compiere uno sforzo e prendere delle decisioni, con l’auspicio che siano quelle giuste. Se questo film disarma lo spettatore e, per una frazione di tempo, rimuove le sue barriere, abbiamo centrato l’obiettivo e attraverso questa esperienza il film può avere una sua forza, un suo significato e può, si spera, fare la differenza. Se attraverso l’intrattenimento si riesce a catturare l’attenzione della gente, è meraviglioso.

NOTE DI PRODUZIONE

La Genesi di Hunger

Jan Younghusband, Produttrice esecutiva e Responsabile sviluppo progetti artistici di Channel 4
Conoscevo Steve McQueen attraverso il Turner Prize e ammiravo da tempo le sue opere. Quando venne a trovarmi per parlarmi del suo desiderio di realizzare un primo lungometraggio, mi parve un’evoluzione naturale del suo lavoro. A Channel 4 avevamo deciso di sostenere la comunità della arti facendo qualcosa di più della consueta copertura di eventi in televisione, ossia commissionare nuove opere di grande interesse televisivo e di considerevole importanza al di là del piccolo schermo e fornire un appoggio concreto alla comunità artistica nella sua totalità. Da quel momento abbiamo realizzato numerose “opere prime” cinematografiche di artisti, tra cui il pluripremiato DV8 The Cost of Living di Lloyd Newson e il film vincitore del premio Oscar di Suzi Templeton Peter and the Wolf. Commissioniamo anche su base regolare nuove opere liriche e coreografie per il cinema, aiutiamo a crescere i nuovi talenti delle arti dello spettacolo e delle arti creative (OPERATUNITY, MUSICALITY, PICTURE THIS) e a realizzare nuove opere d’arte pubbliche e sculture nelle comunità (l’iniziativa THE BIG ART e WASTE MAN di Antony Gormley).

La nascita dell’idea alla base di Hunger

Jan Younghusband
Steve ha avviato una collaborazione con Robin Gutch della Blast! Films e, per un periodo di tempo, abbiamo discusso insieme di una serie di idee, ma nessuna sembrava quella giusta. Poi un giorno, durante una riunione con Robin e me, Steve ha nuovamente raccontato la storia di Bobby Sands e delle sue ultime settimane nella prigione Maze e, all’improvviso, ho capito che era l’idea giusta per lui. Come si può vedere in tante sue opere, Steve ha una capacità unica di esprimere il quadro psicologico più profondo di una situazione semplicemente attraverso lo sguardo. Ho sentito che sarebbe stato in grado di mostrarci la vicenda umana di quel giovane che stava morendo per quello in cui credeva e di tutte le persone che lo circondavano, brutalizzate da una situazione intollerabile. Ho sentito che Steve avrebbe avuto la capacità di rivisitare quel momento cruciale della storia inglese e irlandese, a dieci anni di distanza dall’Accordo del Venerdì Santo e di mostrarci, nel suo modo unico e caratteristico, le tematiche umanitarie e universali contenute in quella vicenda, che hanno risonanze continue per noi oggi in molte altre situazioni.
Era evidente che il progetto avesse delle autentiche ambizioni cinematografiche e dunque avesse bisogno di partner in tutto il mondo per poter essere realizzato. I primi interlocutori naturali sono stati i miei colleghi di Film4, la divisione cinematografica di Channel 4. Per me era anche essenziale che il film si sviluppasse in una modalità consona al consueto metodo di lavoro di Steve come artista e dunque non sempre in linea con la normale pratica di realizzazione cinematografica. Motivo per cui ho iniziato a collaborare con Peter Carlton di Film4, con cui mi ero confrontata a lungo sul lavoro con gli artisti. Sapevo che, attraverso Film4, Peter e io avremmo potuto lavorare insieme e sostenere il film in un modo particolare.

Peter Carlton, Produttore esecutivo e Responsabile sviluppo progetti – Film4
Il marchio distintivo di Film4 è lavorare nel cinema con autori particolari e questo generalmente significa registi di formazione più tradizionale, quali Shane Meadows, Kevin Macdonald, Sarah Gavron. Ma la nostra unicità sta anche nell’incoraggiare nuovi talenti, come Duane Hopkins e Miranda July, ad aprirsi il loro percorso nel cinema. Uno dei vantaggi del fatto che Film4 è parte integrante di un’emittente sta nella nostra capacità di attrarre talenti da altri ambiti e di collaborare con altre divisioni della nostra organizzazione, come abbiamo fatto, per esempio, con l’ufficio storico per il film documentario Deep Water – La folle regata, o con il drama department per The Road to Guantanamo di Michael Winterbottom e per Death of a President (Morte di un presidente) di Gabriel Range.
Jan e io avevamo parlato spesso e diffusamente di averie ipotesi di collaborazione e Hunger era l’opportunità perfetta per sviluppare uno straordinario progetto insieme e, attraverso Film4, per contribuire a consegnarlo a un pubblico cinematografico internazionale più vasto. Unendo le forze in questo modo abbiamo ampliato i confini tra arte e cinema rendendo unico il canale.

Robin Gutch, Produttore
Dopo l’incontro iniziale con Jan Younghusband, sia Steve che io abbiamo ritenuto essenziale incontrare persone che avessero vissuto in prima persona l’esperienza della prigione Maze e degli scioperi della fame. Anni prima, quando lavoravo come Responsabile sviluppo progetti per Channel 4, avevo collaborato con alcuni produttori dell’Irlanda del Nord. Quindi li ho ricontattati e sono riuscito a farmi aiutare a presentare Steve ad alcune persone molto vicine a Bobby Sands e agli eventi del 1981. Era un passo essenziale per consentire a Steve di andare oltre l’idea di un film e di determinare con maggiore sicurezza che genere di film voleva realizzare. Oltre ad avere incontrato queste persone, siamo andati a visitare il penitenziario stesso. Nessuno può entrare in quel luogo, che all’epoca comprendeva le vecchie gabbie di Long Kesh e i numerosi raggi del Maze vero e proprio, senza sentirsi sopraffatto dal senso della storia. L’ala dell’ospedale, in cui tutti i detenuti in sciopero della fame trascorsero gli ultimi giorni della loro vita, era ancora aperta, agghiacciante e memorabile. Credo che durante quella visita il desiderio appassionato di Steve di fare questo film si sia trasformato in una forza inarrestabile.

Enda Walsh si unisce a Steve McQueen per dare vita alla sceneggiatura di Hunger

Robin Gutch
Steve e io siamo tornati dal nostro primo viaggio di approfondimento in Irlanda del Nord rincuorati e stimolati nella convinzione che fosse un film importante e opportuno da realizzare. Ma anche convinti che avremmo avuto bisogno di un grande autore che collaborasse con Steve alla sceneggiatura e che era fondamentale che fosse irlandese. Nei mesi successivi leggemmo molti lavori teatrali e molte sceneggiature e concordammo sul fatto che un autore emergeva sugli altri. Enda Walsh era già una stella nascente del teatro, ma aveva anche adattato con successo la sua pièce Disco Pigs per il cinema, sceneggiando l’omonimo film diretto da Kirsten Sheridan. La sua scrittura è un insieme di intransigente originalità di visione, di straordinario orecchio per il dialogo e di gusto nello spingere il linguaggio verso una sorta di poesia drammatica. La mia unica riserva riguardava la possibilità che due artisti genuinamente originali riuscissero a trovare un modo per collaborare ad una sola opera. Ma quel timore svanì cinque minuti dopo l’incontro tra Steve e Enda, quando fu evidente che si erano subito trovati, una circostanza che i produttori sognano, ma che raramente vivono.

Enda Walsh, sceneggiatore
Conoscevo piuttosto bene le opere di Steve e ho percepito la direzione in cui sarebbe potuto andare il progetto solo leggendo che lui ne era coinvolto, quindi ero ovviamente entusiasta. Pur non lavorando con una struttura narrativa in senso classico, Steve ha sempre raccontato storie molto umane e, a mio parere, ha un vero istinto nel tratteggiare i personaggi e gli universi. Nei miei lavori teatrali sono particolarmente interessato a osservare gli effetti dell’ambiente sui personaggi e come questi incidono sulla struttura di una storia. Quindi si può dire che ci siamo trovati! Ero entusiasta, ma anche molto nervoso. Volevo farmi onore, ma naturalmente volevo anche cercare di raccontare con efficacia una storia per un pubblico, descrivendo, in questo caso, un ambiente davvero estremo, in un modo che desideravo fosse nuovo per gli spettatori. Un modo diverso di vedere come può funzionare una storia.

L’impatto delle ricerche sulla scrittura

Enda Walsh
Oltre a leggere le trascrizioni delle cronache e vari libri, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare alcuni ex-detenuti della prigione Maze di quel periodo e dei colleghi dei dieci uomini morti. Quegli incontri mi hanno molto ispirato. A prescindere dal fatto che condividessi la loro causa, ho ammirato come sono riusciti a sopravvivere in quel carcere, il loro senso di reciproca lealtà e i loro profondi convincimenti. Ma è stato il loro modo di parlare ad avermi davvero colpito: si sono espressi tutti in modo estremamente chiaro ed eloquente, con un’ottima padronanza della lingua. E questo ha influenzato non solo la lunga scena centrale nel film tra Bobby Sands e il sacerdote, ma l’intera sceneggiatura, per quanto riguarda i dettagli e l’analisi.

Il cambiamento radicale tra la prima e la seconda stesura della sceneggiatura

Enda Walsh
La prima stesura è stata un tentativo di raccontare la storia come è accaduta, quindi era piuttosto conservatrice nella sua struttura narrativa e solo a tratti arrivava all’essenza di quello che volevamo. Abbiamo capito che dovevamo estrarre quello che ci interessava, abbandonando ogni velleità di raccontare tutto e cercando di raccontare l’essenziale per tentare di ricavarne un film che avesse un impatto emotivo diverso rispetto a un film tradizionale. La nuova struttura è stata una rivelazione ed è stata interamente suggerita da Steve. Così abbiamo trovato la chiave per narrare la storia.

Dagli ultimi ritocchi al copione alle riprese

Enda Walsh
Il filo narrativo era piuttosto insidioso: molto è detto senza parole e non è stato semplice arrivare a raccontarlo. Ogni qualvolta dicevamo troppo sbagliavamo, ma dovevamo portare avanti il film. La struttura narrativa è visibile, ma non sommerge l’intera opera. Inoltre, volevo mantenere un distacco e trattenere tutte le emozioni. Spesso questo genere di film è molto manipolatorio a livello emotivo e tende a scivolare nel romanticismo e a noi non sembrava affatto giusto. Abbiamo solo concesso al protagonista alcune paure e alcune emozioni autentiche quando ci è sembrato importante e spero che il film sia più forte grazie a questo.

L’importanza dell’mpegno di Channel 4 e di Film4

Robin Gutch
Non ho assolutamente alcun dubbio che Channel 4 e Film4 siano stati gli unici finanziatori in Gran Bretagna, e due dei pochissimi al mondo, disposti a sostenere un film di questa complessità e potenziale controversia diretto da un artista che non si era mai cimentato nel cinema narrativo, sia in termini di sostegno economico allo sviluppo del progetto, sia in termini di stanziamento della quota più grande dell’intero budget. Senza di loro, questo film non sarebbe mai stato realizzato, è molto semplice. Ma siamo anche stati rincuorati dal livello di sostegno che abbiamo ricevuto dall’Irlanda del Nord e dalla Repubblica d’Irlanda. Nel corso del nostro primo viaggio a Belfast, Steve e io abbiamo avuto una riunione preliminare con Andrew Reid, il responsabile delle produzioni della Northern Ireland Screen, e il suo incoraggiamento è stato prezioso in una fase così precoce. Idealmente, volevamo che il film fosse co-finanziato da capitali inglesi e irlandesi e per fortuna questo desiderio è stato esaudito a Cannes nel 2007.

La raccolta fondi dopo l’impegno finanziario assunto da Channel4

Laura Hastings-Smith, Produttrice
Robin Gutch mi ha contattata come produttrice nel novembre 2006. Sono rimasta sbalordita nel leggere un copione così audace e così cinematografico che rivisitava un capitolo della storia con tanta forza e tanta umanità. Mi sono considerata fortunata ad essere stata invitata a unirmi a un progetto sviluppato con così tanto talento, passione e integrità! Ho incontrato Steve che ha espresso la sua felicità nell’avermi in squadra e a quel punto abbiamo riesaminato il budget e il piano di lavorazione e dato il via alla raccolta fondi per finanziare il resto della produzione.

La scelta del cast di Hunger

Robin Gutch
Inevitabilmente la scelta dell’attore che avrebbe interpretato Bobby Sands ha suscitato grande dibattito mentre continuavamo a sviluppare il progetto. Varie volte siamo stati tentati di provare a interessare una star che avrebbe potuto essere attirata dal ruolo per via delle difficoltà fisiche che comportava e per l’opportunità di incarnare un personaggio che probabilmente ha modificato il corso della storia irlandese e inglese. Ma più ci pensavamo e più ci sembrava una scelta sbagliata, oltre ad essere poco funzionale visto che ci avrebbe costretti ad interrompere il piano delle riprese per consentire all’attore di digiunare per diversi mesi. Poi abbiamo ingaggiato Gary Davy come direttore del casting e ricordo che si presentò alla prima riunione con me e Steve con una foto di un carismatico attore irlandese emergente di nome Michael Fassbender, dicendo “questo è il vostro uomo”. Eravamo intrigati, ma ovviamente abbiamo sentito il bisogno di provinare una serie di attori di grande talento adatti al ruolo. Tuttavia Michael si è semplicemente distinto su tutti gli altri e così gli abbiamo offerto la parte.

Laura Hastings-Smith
All’inizio del 2007, Steve, il direttore del casting Gary Davy e io pranzammo con Michael Fassbender e quell’occasione servì a suggellare la convinzione di ognuno di noi che Michael avesse il giusto spessore e il necessario impegno come attore per incarnare Bobby Sands. Ricordo che gli descrissi in dettaglio il percorso fisico che avrebbe dovuto affrontare per la perdita di peso, in tutta sicurezza, ma drastica, che la parte esigeva. Lui non si tirò indietro: aveva già ragionato e meditato su tutti gli aspetti che l’accettazione di quel ruolo comportava.
Poi incontrammo Liam Cunningham per la parte di Padre Dominic Moran. Avevamo bisogno di un attore in grado di competere alla pari nella lunghissima conversazione a due (28 pagine di dialogo) tra il sacerdote e Bobby al centro del film. Come attore, Liam è in grado di esprimere sullo schermo un affascinante insieme di forza e vulnerabilità. Come con Michael, alla fine siamo stati fortunati nel riuscire a conciliare le nostre date con i suoi altri impegni.
Tutto il resto dell’eccezionale cast del film è stato selezionato in Irlanda del Nord. Steve, Gary e io abbiamo incontrato gli attori a Belfast e siamo rimasti sbalorditi dalla passione e dalla generosità che hanno mostrato verso la sceneggiatura e la visione del film di Steve. Era un buon segno per la produzione e al tempo stesso ha ricordato a noi le sensibilità e le responsabilità necessarie per realizzare questa pellicola.

La Trouper e le riprese nell’Irlanda del Nord

Laura Hastings-Smith
Il nostro piano delle riprese in Irlanda del Nord coincideva con numerose altre produzioni, ma siamo riusciti ad attrarre molti professionisti locali eccellenti, incluso Tom McCullagh, lo scenografo che ha ricreato per noi il set del Maze in due luoghi, uno a Belfast e l’altro appena fuori dalla città. Avevamo sperato di avere accesso alla vera prigione per le riprese e quando ci è stato negato la tensione per un enorme aumento del budget ci ha logorato i nervi. Hunger è ambientato nei primi anni ’80 e i costumi, realizzati da Anushia Nieradzik, e il trucco e le acconciature di Jacqueline Fowler hanno richiesto un grande lavoro, poiché eravamo tutti molto consapevoli dell’importanza di creare un universo il più possibile convincente. Sean Bobbitt, il direttore della fotografia, aveva lavorato con Steve a molte delle sue opere artistiche degli ultimi anni, quindi tra loro c’era una collaborazione creativa già ben rodata. Mettere insieme il giusto cast e la giusta troupe per un film è una specie di alchimia e per Hunger abbiamo avuto una combinazione magica di grandissimi talenti, sostegno, collaborazione e condivisione dell’obiettivo.
Le riprese si sono svolte nell’Irlanda del Nord in due momenti: abbiamo girato i primi due terzi del film nell’autunno del 2007 e l’ultimo terzo, che corrisponde agli ultimi giorni della vita di Bobby Sands in sciopero della fame, nel gennaio 2008, consentendo a Michael il tempo di perdere peso nel novembre e dicembre 2007. Spezzare il calendario delle riprese era una necessità e tuttavia alla fine l’abbiamo vissuta come un enorme vantaggio per il film, perché ci ha concesso un lungo intervallo di tempo per riflettere sul materiale girato e montato e per concentrarci sulla preparazione dell’ultima parte delle riprese.

L’attualità del film oggi

Jan Younghusband
Credo sia il momento giusto per rivisitare e riconsiderare gli ideali di quei giovani che si sono messi in gioco in prima persona e insieme ad altri perché convinti di poter rendere il loro mondo un luogo migliore. Ritengo anche che Steve, come ogni artista da centinaia di anni, abbia una prospettiva unica per mostrarci un momento cruciale della nostra storia, consentendoci di riflettere nuovamente sulle ragioni per cui quegli eventi sono accaduti e sui risultati che hanno prodotto. Il film è impressionista: non è una disamina di fatti o un dibattimento su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma piuttosto una meditazione su un periodo nel tempo. Oggi sono in corso altre lotte per rendere migliore il mondo, dettate da altri convincimenti specifici e sono battaglie che continuano a incidere sulle vite umane.

Enda Walsh
Molto semplicemente mi ha spinto a chiedermi in che cosa credo nel mondo. Riconosco e rispetto gli ideali di quelle persone. Questo dovrebbe avere un valore universale.

Robin Gutch
Tornando da Belfast la prima volta, forse Steve e io abbiamo sentito che Hunger poteva essere un film che ritraeva uno degli episodi più oscuri e più significativi della recente storia inglese e irlandese. Ma nel corso dello sviluppo del progetto, via via che Steve ed Enda scavavano sempre più a fondo negli aspetti universali della vicenda, il film ha assunto un’eco molto più contemporanea nell’era post 11 settembre ed è anche diventato un’indimenticabile opera cinematografica sui limiti estremi dell’esperienza umana. Sono sicuro che Hunger offrirà moltissime chiavi di lettura.