Home Curiosità Catherine Zeta-Jones: “In Rock of Ages era come essere in famiglia”

Catherine Zeta-Jones: “In Rock of Ages era come essere in famiglia”

L’attrice torna a cantare e a ballare al cinema. E svela il suo amore per Gabriele Muccino.

di carla
pubblicato 26 Maggio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 01:03

Catherine Zeta-Jones torna al cinema e alla musica. Dopo aver vinto l’Oscar per Chicago (2002) si era data anima e corpo al marito Michael Douglas per aiutarlo e sostenerlo nella lotta (vinta, oh yeah!) contro un tumore. Ora Catherine sarà al cinema dal 22 giugno con Rock of Ages. Leggiamo insieme uno stralcio dell’intervista pubblicata su IoDonna, in edicola da oggi (26 maggio).

Rock of Ages parla degli anni ’80, quelli dei Poison, Def Leppard e Joan Jett. Che cosa ricorda di quel periodo?
Che avevo un gran testone di capelli cotonati e un make-up vistoso. Erano bei tempi. Lavoravo e seguivo la scena musicale di Los Angeles da lontano: vivevo tra il Galles e Londra, e in Inghilterra amavo un tipo di musica diversa, la new romantic.

Di chi era “innamorata”? Di Sting? O di un leader del rock gotico?
Mi piacevano i Duran Duran, ma non ho mai avuto il poster di una rockstar in camera.

E cosa appendeva, allora, sul muro?
Judy Garland. E poi Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor e Rita Hayworth.

Il suo personaggio in Rock of Ages è una gran bacchettona. A chi si è ispirata per questa accanita conservatrice cristiano-evangelica?
A Michelle Bachmann, la candidata repubblicana nell’ultima campagna presidenziale che poi a gennaio ha deciso di ritirarsi.

Nel film sembra divertirsi sul serio nelle scene in cui canta, salta e balla. Com’è lavorare in un musical?
Mi sento finalmente libera: è un’esplosione di energia, di piacere, di gioia. Lo stesso mi è successo a Broadway lavorando in “A Little Night Music”.

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Recitare su un set è molto diverso?
Sì: ti manca l’applauso del pubblico. Ma in Rock of Ages mi piaceva danzare con gli altri ballerini, era come essere in famiglia, passavamo ore e ore a fare le prove. In un musical si lavora molto più intensamente che in un film drammatico, ma per me è così gratificante. Mi rende felice.

Da Rock of Ages è passata al set di Playing the Field di Gabriele Muccino. Lì non doveva ballare…
Gabriele… È stupendo, lo adoro! Stiamo già pensando di girare un altro film insieme.

Che ruolo ha in Playing the Field?
Sono Denise, una delle madri dei piccoli calciatori, che subisce il fascino del nuovo allenatore della scuola, impersonato da Gerard Butler. È un film leggero, romantico, ma con Gabby (così la Zeta-Jones chiama Muccino, ndr) diventa una commedia con un gran cuore. Le pellicole di Gabby sanno essere molto divertenti, ma hanno sempre cuore e anima: mi piacciono proprio per questo.

È vero che Muccino è addirittura travolgente sul set?
Sì, sì! Ha una tale energia… Il suo spirito italiano e la sua passione sono contagiosi.

Lei sta correndo da un set all’altro: in questi giorni è tornata a lavorare con Steven Soderbergh.
Esatto, nel thriller The Bitter Pill. Con lui ho già girato Traffic e Ocean’s 12: mi ci trovo così bene, mi piace come persona e, inoltre, lo ritengo uno dei migliori filmmaker di oggi. In questo film faccio la psichiatra.

Ha passato alcuni anni molto difficili. Si è lasciata finalmente dietro le spalle quel brutto periodo?
Mio marito sta bene, così sto bene anch’io. Ho ripreso a lavorare, e questo mi gratifica e mi dà energia, specie ora che tutti i tasselli della mia vita sembrano ritrovare il posto giusto.

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Un anno fa ha rivelato di soffrire di bipolarismo. È un disturbo molto diffuso, tutti abbiamo un amico o un familiare che ne è affetto. Cosa può dirci a questo proposito?
Della mia diagnosi non parlerò. In generale, però, direi che chi soffre di depressione bipolare non deve sentirsi solo. Ci sono milioni di persone nella stessa situazione, e per me sapere di non essere sola ha certo contribuito alla guarigione. Bisogna parlarne, vedere uno specialista e non rinchiudersi in se stessi, perché questa è la cosa peggiore. Ecco, a chi ne soffre vorrei dire questo: sappi che non sei solo e che non sei l’unico a passare certi momenti terribili.

Questa esperienza ha modificato la sua visione della realtà, della vita?
No, credo semplicemente che ne faccia parte, è una delle cose che ci mettono alla prova. Sono felice di aver superato quel periodo difficile, è stato molto duro.

Da anni vive negli Stati Uniti. Non le manca la sua casa nel Galles?
La mia casa è ovunque viva la mia famiglia. Adesso è qui, un giorno potrà essere altrove. Io mi sono sempre sentita un po’ zingara: mi sposto da un luogo all’altro da quando avevo soltanto nove anni.

Lei e suo marito avete superato insieme grandi prove, dimostrando una forza notevole. Cosa ammira soprattutto in lui?
È un padre e un marito meraviglioso, è così come appare: gentile e generoso. Sarà pure Michael Douglas, ma è capace di trovare sempre un po’ di tempo per chiunque, davvero.

L’amore può crescere col passare degli anni, o si trasforma inevitabilmente in amicizia?
Acquista una dimensione diversa. Quando ho incontrato Michael, mi sono innamorata; quando è diventato il padre dei miei figli, l’ho amato ancora di più; quando poi ha vinto la sua battaglia contro il cancro, il mio amore per lui ha avuto un’altra impennata. Ti sembra che sia impossibile amare più di così, e invece l’amore può sempre continuare a crescere.

Catherine, lei ha sempre proiettato un’immagine di donna forte. Ma lei si sente davvero così?
Sono forte per certe cose, ma non sono assolutamente infrangibile. Sono molto sensibile, non sono Wonder Woman. Per anni ho pensato di poter fare qualsiasi cosa, ma sbagliavo.

Da cosa nasce questa sua immagine?
Credo abbia a che fare coi personaggi che ho portato sullo schermo, che sono in genere donne forti. Oltretutto, sono sposata con un uomo di 25 anni più grande di me, che ha potere e successo: forse, questo può fare pensare che abbiamo un’identica tempra… Ma si tratta di una percezione sbagliata: ho le stesse insicurezze di qualsiasi altra donna di 42 anni con due figli e un marito. Faccio l’attrice, ma questo non significa che non incontri i problemi e le emozioni di chi lavora in un ufficio dalle nove alle cinque.