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Mr. Turner: Recensione in Anteprima del film di Mike Leigh

La vita di William Turner a spizzichi e bocconi, somministrata con la solita maestria da Mike Leigh in Mr. Turner, progetto cullato da un bel po’ che si presenta al pubblico per la prima volta in assoluto qui a Cannes

pubblicato 16 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:42

E poi finalmente arriva quel film su cui riponi non poche speranze ma finché non lo vedi ci vai prudente. Che dire di Mike Leigh che non sia stato già detto? Che è uno dei registi britannici più abili e intelligenti di sempre? Oppure quel britannici va tolto? Tenuto in altissima considerazione in patria ed in generale nell’ambito della cinematografia tutta, non solo quella con la puzza sotto il naso, Leigh porta al Festival uno dei film più atipici della sua carriera. Forse proprio perché così a lungo coccolato.

Un biopic su William Turner che non è un biopic. Leigh trascende il concetto di opera autobiografica servendosi di questo personaggio per montarci sopra, sotto e attorno il proprio cinema, quello che gli riesce meglio. Non solo. Perché Leigh a ‘sto giro va addirittura oltre. Conosciuto per lo più in virtù delle sue eccezionali doti da sceneggiatore, in Mr. Turner assistiamo non ad una semplice inversione di tendenza bensì ad un incremento della poetica di questo regista, che stavolta passa in buona misura anche dalla componente visuale.

Qui Leigh ci parla in fondo di sé stesso, accettando a priori di fondersi con un altro artista ed approntando quella medesima operazione che teneva in vita realmente Turner, ovvero la pratica costante della propria Arte. Attento a tutto stavolta, nel senso che davvero in Mr. Turner non ci si fa mancare nulla, compresa una confezione che palesa in maniera inequivocabile quanto poco Leigh fosse preoccupato di “distrarre” lo spettatore. Nulla di trascendentale rispetto al passato, ma la regia di questo film osa con più disinvoltura laddove prima Leigh aveva dato adito alle malelingue che in lui ci vedevano sì un ottimo regista, ma con qualche deficit, fosse anche di interesse, verso estetismi di sorta.

In nessun caso si sfiora la maniera, ci mancherebbe. Ma non solo la fotografia bensì pure le lunghe inquadrature, certi piani sequenza, certe composizioni, ci informano di un indirizzo ben preciso, che stavolta ha previsto una maggiore enfasi sulla summenzionata componente visuale (meraviglioso il passaggio dal dettaglio di un suo quadro ad una rupe che sovrasta lo stesso Turner con un semplice stacco di montaggio). Il tutto senza per nulla rinunciare al Leigh fine narratore di storie, arguto, incisivo come pochi.

Mr. Turner di lineare ha poco, predisposto sotto forma di contenitore di episodi, tratti qua e là dalla vita del celebre pittore. Ma quello che più colpisce è la maestria con cui i toni vengono bilanciati, per quella che non è una commedia, un dramma, un biopic, bensì tutte queste cose insieme contemporaneamente. In Mr. Turner non c’è un momento in cui si sorride ed uno in cui ci si commuove, perché proprio quei frammenti che ci scuciono un sorriso sono gli stessi che ci inducono a riflettere, talvolta pure a rattristarci.

In fondo la forza di quest’ultimo lavoro del regista inglese sta nel fondere tutte queste cose, puntuale nel ricorrere alla sua consueta capacità di mantenere un ordine inviolabile – che è poi l’impressione che si ha anche con altri suoi film, facendoci sembrare semplice anche il passaggio più complesso. Un mago. E cos’altro è il cinema se non quest’abilità nel portare a termine uno spettacolare numero di magia senza che il pubblico si avveda in alcun modo del trucco?

Onore pure allo straordinario Timothy Spall, attore che a dispetto di un curriculum notevole e di ottima levatura, si ritrova per la prima volta a dover affrontare una prova così gravosa. Perché Mr. Turner non è un titolo messo lì a caso, dato che il film è il suo protagonista, un riassunto di tale personaggio, l’evidenziarne la personalità senza incensamenti o insopportabili trionfalismi. Il William di Spall è un amico, magari schivo, un po’ alienato, ma dotato anzitutto di una spiccata sensibilità. William è un artista, sebbene egli medesimo sembra non curarsene troppo.

Stupenda, oltre che toccante e provocatoria, l’ultima mezz’ora o giù di lì del film, quando Turner si confronta per la prima volta dal vivo con un dagherrotipo ed allora avverte che qualcosa sta cambiando: «ha mai impresso su pellicola un paesaggio?» chiede all’operatore che sta per fargli una foto. Quei paesaggi di cui il pittore si nutriva, per poi imprimerli su tela alla sua maniera, da precursore qual è stato dell’Impressionismo a venire. Il «pittore della luce», e che dunque in punto di morte saluta il sole, fonte principe di luce, quale suo Dio.

Ma Turner sta anche nelle chiacchierate con colleghi e sedicenti critici, nel suo continuo, fastidioso mugugnare, marchio di fabbrica di quest’uomo burbero che dietro tale atteggiamento celava una solitudine indicibile. Condizione che nessuna attività, tranne la pittura, potevano alleviare, nonostante le puntuali sbandate dello stesso, per lo più con donne in superficie repellenti, ma che non possono fare a meno di innamorarsi di quest’orso facoltoso, dotato di un fascino tutto suo. Come la donna tuttofare che bada alla lussuosa abitazione di Turner, tale Hannah (Dorothy Atkinson), adorabile ancorché comico personaggio di poche parole ma tanto, tanto rilievo.

Per il resto, della trama poco si può dire non solo per discrezione verso chi non l’ha veduto ancora. È che evidentemente l’importante in questo caso non era assecondare uno schema lineare, o che quantomeno ricomponesse una storia con un inizio ed una fine in senso stretto. Ogni episodio, sebbene non esplicitamente formalizzato, concorre a svelare una nota, un impercettibile moto interiore, così da rendere nel più vivido dei modi lo struggersi di un uomo capace di meravigliarsi sul serio per un tramonto senza sapere il perché. Quel perché è l’oggetto della ricerca di una vita, attraverso il bello e il cattivo tempo dell’esistenza, tra risate e situazioni grottesche, gente che va e che viene, posti da vedere, fosse solo per fermarsi un giorno e ripartire quello successivo.

Alcuni potrebbero trovarlo giusto un tantino lento a tratti, specie all’inizio, ed effettivamente non è detto che si riesca ad entrare subito nel meccanismo ingegnosamente concepito da Leigh. Ma vale la pena pazientare, aspettando che gli eventi, grandi e piccoli, si accumulino, così come le battute ed i grugniti del protagonista. Perché tanto il momento della svolta arriva, ed a quel punto è pure impetuosa. A cavallo tra due epoche c’era un uomo. Quell’uomo era Mister Turner. Quell’uomo è ciascuno di noi.

Voto di Antonio: 8,5
Voto di Gabriele: 8

Mr. Turner (Regno Unito, 2014) di Mike Leigh. Con Tom Wlaschiha, Roger Ashton-Griffiths, Timothy Spall, Lee Ingleby, Lesley Manville, Richard Bremmer, James Fleet, Jamie Thomas King, James Norton, Leo Bill, Peter Wight, Fenella Woolgar, Mark Wingett, Ruby Bentall, Sinead Matthews, Ruth Sheen, Karl Johnson e Joshua McGuire.

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