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Saint Laurent: recensione in anteprima del film di Bertrand Bonello in concorso a Cannes 2014

Festival di Cannes 2014: innamorato al solito del proprio stile prima che dell’icona Yves Saint Laurent, Bertrand Bonello firma il secondo biopic sul celebre stilista di quest’anno. Approccio, lunghezza eccessiva ed estetica hanno diviso la Croisette: ma l’ultima ora di Saint Laurent ha un sapore ipnotico, e Gaspard Ulliel funziona alla grande.

pubblicato 18 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:38

Vi ricordate che nell’annata 2005/06 ci furono due biopic dedicati alla stessa persona? Erano Truman Capote – A sangue freddo e Infamous – Una pessima reputazione. Quest’anno la cosa si ripete, ed è ancora più clamorosa: perché a gennaio in Francia è uscito Yves Saint Laurent di Jalil Lespert, e adesso in concorso a Cannes c’è Saint Laurent di Bertrand Bonello.

Il primo è il film approvato da Pierre Bergé, compagno storico del regista, mentre il secondo no. Una scelta che in realtà pare sia riconducibile allo stesso Bonello, che non voleva restare intrappolato in troppe “verità”, conferme o smentite. E infatti il suo Sain Laurent è tutto meno che un biopic canonico, anzi…

Si tratta invece del tentativo di dare una forma astratta a pensieri, idee, nozioni, per avvicinarsi il più possibile a quello che potrebbero essere state le emozioni e le sensazioni dello stilista nell’arco di un decennio, quello compreso tra il 1967 e il 1977. In questo periodo nasce la potenza del marchio YSL, che Bergé (un quasi irriconoscibile Jérémie Renier) prova ad allargare il più possibile a livello internazionale, e in questo periodo lo stilista si circonda dei suoi amici e collaboratori storici tra cui Betty, modella rubata a Chanel, e la collaboratrice Loulou.

Uno dei punti focali del film è la relazione che Saint Laurent ha avuto con Jacques de Bascher, storico compagno di Karl Lagerfeld interpretato da Louis Garrel, che regala col protagonista momenti di passione e baci appassionatissimi. “Berge: ti amo ma non ti seguirò ovunque”, dice alla sua stessa immagine riflessa allo specchio lo stilista prima di recarsi a ballare in un club, quello dove appunto conoscerà de Bascher.

Tra i due inizia una relazione di sesso che si trasforma forse per entrambi in amore: un amore che, pare dirci Bonello, ha segnato per sempre Saint Laurent, forse anche più di Berge. Verso la fine del film si ha la conferma dell’approccio di Bonello: il film è a suo modo un continuo ricordo dello stesso Yves Saint Laurent.

Come ogni flusso di ricordi che si rispetti, soprattutto durante la vecchiaia, si salta da un evento all’altro, da una scheggia di memoria ad un intero momento di vita. Questi si rielaborano sempre tutte le cose secondo il proprio gusto, in questo caso per forza di cose molto personale e particolare. Da questo punto di vista Bonello non si risparmia, anzi, e mette in scena una festa per gli occhi e per le orecchie che i suoi fan possono già iniziare a immaginare.

Questo è innanzitutto Saint Laurent: un film di Bertrand Bonello, in tutto e per tutto. Che significa un po’ come dire “prendere o lasciare”. Lo si prende perché si capisce bene il progetto e il modo con cui il regista decide di affrontare il genere biografico, lo si lascia perché quelli che per gli appassionati sono pregi per i detrattori sono difetti.

Patinatissimo, opulento, estetizzante fino all’inverosimile, persino molto antipatico. E lunghissimo (ben 150 minuti che denotano una continua ricerca dell’eccesso e un ego smisurato, visto che non sono affatto tutti utili). Non si può negare che Saint Laurent si presti benissimo ad essere demolito con facilità. Eppure mi sembra non solo che l’operazione abbia un suo senso, ma che a tratti riesca anche a centrare il punto.

Che Bonello sia autocelebrativo e innamorato di sé stesso è visibile per tutta la durata del film, che è davvero bellissimo da ogni punto di vista tecnico ed estetico. Persino le camminate di Saint Laurent per le strade e i parchi mentre sta facendo cruising hanno un gusto unico (lo stilista, ripresto mentre cammina di spalle, ricorda persino gli assassini dei film di Dario Argento!).

Però l’ultima ora ha un sapore davvero ipnotico. Quando entra in scena Helmut Berger (un colpo di casting geniale, ammettiamolo), che interpreta Saint Laurent anziano, i piani temporali si mescolano ancora di più, il lavoro sul montaggio si fa ancora più elaborato, e si resta a guardare lo schermo piuttosto ammirati da quello che ci passa davanti agli occhi. Con almeno una grande idea: quello del multi-screen versione “quadro di Mondrian”.

E che cos’è Saint Laurent se non il tentativo di ridare un ordine “altro” e poco canonico ad una biografia, mettendo insieme pezzi di grandezza e colori diversi come in quadro di Mondrian? Ultima carta che non può farci buttare nel cestino questo film così facilmente: un Gaspard Ulliel che funziona benissimo, offrendosi gentilmente in full frontal, che assomiglia davvero allo stilista, e che è davvero bravo.

Voto di Gabriele: 6
Voto di Antonio: 5

Saint Laurent (Francia 2014, biopic 150′) di Bertrand Bonello; con Léa Seydoux, Gaspard Ulliel, Brady Corbet, Louis Garrel, Valeria Bruni Tedeschi.

Festival di Cannes