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The Rover: Recensione in Anteprima del film di David Michôd

Duro, sporco, immerso totalmente in un ambiente ostile e selvaggio dai contorni post-apocalittici. È questo The Rover, secondo lungometraggio di David Michôd

pubblicato 17 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:37

Sono trascorse una decina d’anni da quando il mondo non è più lo stesso. Un uomo cerca ristoro in quello che forse un tempo fu un locale, oppure un garage, difficile a dirsi. Tre uomini, in un altro contesto, percorrono una strada tutta dritta a bordo della loro jeep. Discutono animatamente, accapigliandosi su stupidaggini; finché il conducente non effettua una manovra avventata, facendo ribaltare la jeep, che strofina rovinosamente sull’asfalto per parecchi metri. Conclusa la corsa serve un’altra auto. Detto fatto, a pochi metri c’è un’utilitaria: basta rompere il vetro e sfrecciare. L’uomo che abbiamo lasciato in quella specie di locale esce di corsa, assistendo alla scena di questi tre scappano a bordo della sua auto.

Comincia così The Rover, ovvero la post-apocalisse raccontata da David Michôd. Immediatamente dopo gli eventi appena descritti, il tizio derubato si mette alla ricerca della sua auto, per quella che è più una caccia. Michod sceglie il western, il suo protagonista è un senza nome mosso da una missione, chiaramente a noi sconosciuta. In un’Australia che ad averla visitata non appare nemmeno diversa da come è ora: periferica, selvaggia, proprio come il vecchio West. Un luogo quintessenzialmente ostile, che guarda all’ultimo capitombolo della civiltà quasi con indifferenza.

L’ambiente in The Rover ci dice molto, e non solo in relazione a quanto appena accennato. Gli scorci, le ore del giorno, parlano di una ritrovata “primordialità”, la stessa che segue a un reset e che dunque rimette in gioco tutto. La trama è ridotta all’osso, stando comodamente nel tanto abusato foglio A4. Ma in fondo quello che segue Michod altro non è che un modello, ripescandolo da dove si è già detto. Questo permette al regista di Animal Kingdom di concentrarsi su altro, quel ‘altro’ che è in buona sostanza il suo film.

Un western sporco, crepuscolare, forte a dispetto della sua dimensione – perché The Rover è un film piccolo. E Michôd di rischi se ne prende eccome per consegnarcelo, è giusto dirlo. Il ritmo è estremamente pacato, salvo qualche estemporanea accelerazione che vive del colpo del momento. Senza illuderci, perché nemmeno quando parte l’auspicabile sparatoria il clima s’intensifica più di tanto. L’intensità, quella vera, in The Rover attiene ai personaggi, al loro incedere lento in un modo che nessuno di loro riesce più a decifrare (e come potrebbe?). Sperduti, impauriti, in alcuni casi fuori di senno, anche quei comprimari “costruiti”, evidentemente fuori luogo, funzionano perché attraverso le loro stramberie, i loro atteggiamenti inquietanti, c’è tutta la tragedia di un contesto pericolosamente allo sbando.

Nonostante tutto ciò, la componente narrativa non viene del tutto accantonata, bensì ridotta, alleggerita il più possibile per consentirci di vivere quel mondo, respirarlo. Non che Michôd ci riesca appieno, ma il suo rimane un più che dignitoso esperimento sul genere, degno e interessante per com’è, non per ciò che avrebbe potuto essere.

Il duo Pearce-Pattinson riesce alla meraviglia, aggiungendo uno strato ulteriore su cui varrebbe la pena soffermarsi in dettaglio se non si corresse il rischio di dire più del dovuto. Vi basti che senza di loro il film sarebbe proprio un’altra cosa – azzardiamo: fine a sé stessa addirittura. Cani randagi senza meta, che non appena ne trovano una si comportano come non credevano di essere capaci, ossia legando tra loro. Dissuasi all’inverosimile da un mondo in cui la ben nota locuzione latina «homo homini lupus» viene ulteriormente esasperata, assumendo un’accezione ancora più violenta. Perché violenta è l’esistenza in quel mondo lì, risparmiando per una volta l’uomo, come fece Rosseau. Uomini, i quali non hanno nemmeno il tempo di adeguarsi a dovere.

Ma stiamo uscendo fuori dal seminato. D’altronde The Rover, dato il filone d’appartenenza, è film che si presta notevolmente a certe dissertazioni. Ma perché caricare questa affascinante lavoro di speculazioni? Michod riesce probabilmente laddove Refn aveva fallito con Only God Forgives (che, per dovere di cronaca, il sottoscritto ha particolarmente apprezzato): andare oltre la pura atmosfera, malgrado questo sia l’elemento pregnante dell’opera. Il regista australiano trova in qualche modo un pertugio per infilarci qualcosa che punti pure allo stomaco, sebbene coperto da un manto di sana intellettualità (giusto per distinguere dall’intellettualismo), che più che alla citazione e alla cultura punta a ragionare su uno stato di cose. Per immagini. Come piace a noi.

Voto di Antonio: 8,5
Voto di Gabriele: 6

The Rover (Australia, 2014) di David Michôd. Con Robert Pattinson, Guy Pearce, Scoot McNairy, Nash Edgerton, Anthony Hayes, David Field, Susan Prior, Gillian Jones, Samuel F. Lee, Tawanda Manyimo, Scott Perry, T. Stinga, Jamie Fallon e Matt Connelly.

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