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Cannes 2014: resoconto, voti e ricordi di fine Festival

Festival di Cannes 2014: chiude la saracinesca del Palais e ciascuno torna al proprio mondo. I Festival sono belli anche per questo: si fanno aspettare, poi, quando arrivano, sembra berseli in un solo sorso. Ma facciamo un più che rapido riepilogo su ciò che è stata questa edizione numero 67. Compreso quello che vi è girato attorno

pubblicato 26 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:22

Camminare per le vie di Cannes il giorno dopo la premiazione ha un che di malinconico. Non desolante forse, ma l’impressione è quella di una festa che finisce, quando al termine dell’estate sei costretto a tornare a casa, tra scuola, brutto tempo incalzante, a letto presto perché ancora non hai nemmeno l’età per guidare un mezzo a due ruote. Esatto, a conclusione di un Festival ci si un po’ come dei bambini a cui è stato tolto il pallone perché la mamma del proprietario è venuta a prelevarlo. Dannato ragazzino.

Tuttavia è stato un piacere non soltanto assistervi, respirarne l’aria, in altre parole viverlo, ma ancor più trasmetterlo. Tra diario e recensioni abbiamo cercato di accorciare le distanze tra Cannes e l’Italia, per quanto possibile nell’ambito di una manifestazione così congestionata, dove si corre e si aspetta. Cosa si aspetta? La fila. Tanta fila.

Pratica ascetica che anziché dell’isolamento si nutre di interazioni sociali, con altri sventurati che condividono la tua stessa sorte, ossia arrivare con cospicuo anticipo davanti alla sala (la media è due ore) e poi sperare che i possessori di badge più potenti del tuo non la riempiano. Ma fa parte del gioco, ed è bene che lo si prenda come tale; ché se cominciamo a prendere seriamente certe cose finiamo col fare discorsi che nemmeno volete leggere.

Ma i film. Che dire dei film? Ora che una visione d’insieme è possibile, possiamo dire che il Concorso ha rispettato le aspettative, che erano quelle che erano. Sezione principale un po’ paludata, con grandi nomi e nessun novellino. E dire che alla fine quella che si presentava all’attivo con meno esperienza, ossia la nostra Alice Rohrwacher, è pure riuscita ad aggiudicarsi il secondo premio della manifestazione.

I film italiani. Ne abbiamo visti tre, di cui, a parere di chi scrive, solo Le meraviglie è riuscito a distinguersi – e questo ben prima del verdetto finale. La particolarità, quasi una nota da trivia, è che tutti e tre sono ambientati in periodi antecedenti, sebbene, salvo Incompresa, non venga specificato l’anno. In Più buio di mezzanotte Riso a dire il vero ci gira attorno alla collocazione temporale, tra rimandi espliciti agli anni ’80 e riferimenti decisamente più moderni (il cellulare all’inizio del film è solo uno di questi). Ne Le meraviglie, tra una cosa e l’altra, sembra di stare a cavallo tra anni ’80 e ’90, con un lieve sbilanciamento verso la seconda decade, vuoi per il programma al quale partecipa la famigliola, vuoi per il brano divenuto celebre con “Non è la Rai”. Ad ogni modo, si avverte un’esigenza, magari inconscia, di tornare indietro, di partire dall’inizio o forse semplicemente al tempo in cui ciascuno dei tre registi ritiene di aver preso coscienza di certe questioni. In mezzo a tanta, inflazionata attualità, forse questa diventa una mossa utile. Per raccontare noi anzitutto, prima ancora che un ambiente. Ed infatti il taglio così teneramente favolistico, personale, della Rohrwacher ha avuto terreno fertile. Non con tutti, ma non sono nemmeno pochi.

Poche delusioni ma buone. Captives di Egoyan ha senz’altro rappresentato la delusione più cocente. Non solo perché ci si aspettava qualcosa di gran lunga più robusto, ma perché davvero sembrano oramai passati decenni dall’Egoyan di Exotica o Il dolce domani, ed invece sono trascorsi… beh, vent’anni. Non siamo certo tra i fautori dell’idea che i Festival debbano solo prediligere i film d’autore, ed è sempre incoraggiante che un film di genere riesca a passare – nonostante alcuni tabù continuino a prevalere, inossidabili (vedasi l’horror). Ma la predilezione, a questo punto esclusiva, del regista canadese per il thriller, il noir, comincia a lasciare perplessi, mentre tanti hanno già perso le speranze da tempo ed altri ancora sembrano non averne mai avute. Restando al concorso, non è che il pessimo The Search rappresenti una delusione tout court ma immaginarlo così debole e privo di qualsivoglia idea degna di questo nome rischia di lasciare perplessi persino i detrattori di The Artist (quelli del «fuoco di paglia», per intenderci). Altro? Abbiamo mangiato la pizza, più per praticità che per scelta consapevole, e ci siamo ricordati perché la Francia continua a difendersi esclusivamente in ambito formaggi e pasticceria. Non capiterà di nuovo.

I film che non t’aspetti. Che non t’aspetti di apprezzare fino a quel punto, precisiamo. L’unica botta, la manata che scuote dal torpore di fine Festival, quando sei già lì con le valige in mano pronto ad obliterare il biglietto del treno, è stata quella impartitaci da Jauja. Ci abbiamo provato a trovargli un posticino nel nostro programma nei giorni precedenti, ma non c’è stato verso: viva le repliche. Siamo usciti dalla sala storditi, ammirati di come un film così “piccolo” sia riuscito a maneggiare argomenti così “grandi”. Dunque…

… i preferiti. Cosa ha offerto di meglio questa edizione del Festival di Cannes? I voti che trovate in basso sono piuttosto esemplificativi in tal senso, ma ai freddi e vuoti numeri preferiamo qualche cenno, seppur breve. Insieme a Jauja, Mommy è il film del Festival; per motivi diversi, perché Dolan ha fatto progressi enormi già dal più che buono Tom à la farme e perché non si vedeva un film così fresco da chissà quanto. The Homesman è un western che mescola mood e cinismo come nessuno là in mezzo, ed è un’immagine così viscerale di un certo mondo che non può passare inosservato, a dispetto della sua confezione classica. Whiplash è un gioiellino che al Sundance ha fatto impazzire un po’ tutti, e che anche qui a Cannes si è fatto amare. Cold in July contiene molte delle cose che più stanno a cuore ai feticisti degli anni ’80, anche cinefili. Mentre Bande de Filles è l’ennesima scommessa vinta da una regista, la Sciamma, che certe cose sa proprio come raccontarle. Per finire Godard; o Godard. E di che vuoi parlare? Si veda Adieu Au Langage non appena possibile – da notare che Godard ha fatto sapere che nel cantone svizzero di lingua francese, dove vive attualmente, “adieu” significa anche “bonjour”, addolcendo le implicazioni catastrofiche di quel titolo. I detrattori e gli entusiasti lo odieranno e ameranno per lo stesso motivo: forse il più urgente dei film apparsi al Festival. Senza forse. Ad oggi diremmo di tenere d’occhio questi.

Cose particolari. Nulla di nuovo per gli habitué della Croisette, ma la gente vestita in abito da gala alle sette e mezza di mattina mentre cercano di racimolare qualche biglietto per la proiezione serale col cast ha un che di surreale, ed ogni giorno, col sonno mancato che va accumulandosi, è sempre più alienante. Trovarsi sempre con le stesse persone, provenienti dalle parti più disparate del mondo, Veneto piuttosto che Canada o Regno Unito, come se ci si fosse dato appuntamento dietro a una transenna; lanciarsi una prima occhiata, che è un po’ come dirsi folli e poi darsi una pacca sulla spalla. Dopodiché discutere: dei film, del cattivo tempo, di stronzate. C’è poi quel tizio che dal primo giorno (erano appena le sette di mattina) faceva avanti e indietro per una cinquantina di metri gridando Libération, e tanti a saltare in aria quando inaspettatamente se lo trovavano alle spalle, a mezzo metro di distanza. La collega russa che ti riconosce perché otto mesi prima, a Venezia, avevi discusso con lei di politica interna e di Balabanov giusto prima di una proiezione, cinque minuti; per poi scoprire addirittura che alloggia in un appartamento a dieci metri dal tuo. Ogni Festival ha una sua colonna sonora: è una scelta irrazionale, fuori da gusti personali e processi consapevoli. Semplicemente, un brano viene utilizzato talmente bene che te lo ritrovi per l’intera durata del Festival. A ‘sto giro è toccato a Rihanna con Diamonds, inserita in Bande de Filles dalla Sciamma. Quando Dolan ci ha fatto ascoltare la sua Experience di Einaudi era già troppo tardi: la frittata era fatta.

Insomma, eccoci giunti alla fine. Come direbbero certi presentatori: «è davvero tutto». Vi lascio ai voti, che è poi il motivo per cui siete entrati in questa pagina.

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Concorso

Adieu Au Langage – Jean-Luc Godard | 8,5
Captives – Atom Egoyan | 4
Due Jours, Une Nuit – Jean-Pierre e Luc Dardenne | 9
Foxcatcher – Bennett Miller | 7
The Homesman – Tommy Lee Jones | 9
Jimmy’s Hall – Ken Loach | 7
Leviathan – Andrey Zvyagintsev | 7,5
Maps to the Stars – David Cronenberg | 8
Le Meraviglie – Alice Rohrwacher | 7,5
Mommy – Xavier Dolan | 9
Mr. Turner – Mike Leigh | 8
Relatos Salvajes – Damian Szifron | 7
Saint Laurent – Bertrand Bonello | 5
The Search – Michel Hazanavicius | 2
Sils Maria – Oliver Assayas | 7,5
Still the Water – Naomi Kawase | 7
Timbuktu – Abderrahmane Sissako | 6
Winter Sleep – Nuri Bilge Ceylan | 8

Fuori Concorso

Coming Home – Zhang Yimou | 5
Dragon Trainer 2 – Dean Deblois | 7,5
Grace di Monaco – Olivier Dahan | 4
The Rover – David Michôd | 7,5

Un Certain Regard

Amour Fou – Jessica Hausner | 6
La chambre bleau – Mathieu Amalric | 6,5
The Disappearence of Eleanor Rigby – Ned Benson | 7,5
Jauja – Lisandro Alonso | 10
Incompresa – Asia Argento | 4
Fantasia – Wang Chao | 5
Lost River – Ryan Gosling | 6
Party Girl – Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis | 5
Snow in Paradise – Andrew Hulme | 5
Turist – Ruben Östlund | 8
White God – Kornel Mundruczo | 5
The Salt of the the Earth – Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado | 6,5
Xenia – Panos H. Koutras | 5,5
Charlie’s Country – Rolf De Heer | 7

Quinzaine des Réalisateurs

Bande de Filles – Céline Sciamma | 8,5
Cold in July – Jim Mickle | 8
Queen and Country – John Boorman | 6,5
Whiplash – Damien Chazelle | 8

Semaine de la Critique

Più buio di mezzanotte – Sebastiano Riso | 4

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