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Jersey Boys: le recensioni dagli Usa e dall’Italia

Leggiamo insieme le recensioni Americane e Italiane di “Jersey Boys” diretto da Clint Eastwood

di carla
pubblicato 24 Giugno 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 00:39

E’ uscito il 18 giugno scorso il film Jersey Boys, con la regia di Clint Eastwood ed interpretato da Christopher Walken, Francesca Eastwood, Freya Tingley, James Madio, Billy Gardell, Kathrine Narducci, Mike Doyle, John Lloyd Young, Vincent Piazza. Dopo aver letto la nostra recensione, ecco il post sui commenti dei critici Americani e Italiani. A voi è piaciuto? Su Rotten, mentre scrivo, la percentuale dei voti positivi è del 55%. Uhm.

Peter Rainer – Christian Science Monitor: Il film tira fuori quasi ogni cliché dello spettacolo. Voto: C +

Bob Mondello – NPR: Eastwood ha tatto per la musica (ha composto le colonne sonore di molti dei suoi film più recenti) ma non ha un particolare talento per la messa in scena musicale. Voto: 7/10

David Edelstein – Vulture: non c’è alcun senso di scoperta. Ma le canzoni sono sempreverdi.

Wesley Morris – Grantland: come dramma, è sottile e talvolta noioso.

Christine Dolen – Miami Herald: è tutto tessuto insieme da quelle familiari canzoni orecchiabili. Voto: 3/4

Andrew O’Hehir – Salon.com: un divertimento estivo e musicale in un’epoca passata e una tragedia americana alla sull’impossibilità di sfuggire al passato.

Mark Jenkins – NPR: Simpaticamente vivace, anche se non sempre aggraziato, e spesso sorprendentemente comico.

Kenneth Turan – Los Angeles Times: Eastwood, come sempre, ha semplicemente fatto le cose a modo suo, e il risultato è un intrattenimento di vecchia scuola.

Rafer Guzman – Newsday: La versione di Clint Eastwood del vivace musical di Broadway non ha le stesse note alte, ma è un must-see per gli appassionati di Frankie Valli. Voto: 2.5 / 4

Claudia Puig – USA Today: i Four Seasons sono indelebili, ma “Jersey Boys” è purtroppo dimenticabile. Voto: 2/4

JR Jones – Chicago Reader: Questo non è il film che avrebbe dovuto essere, ma serve come ricordo dello spettacolo teatrale.

Joe Williams – St. Louis Post-Dispatch: La cosa peggiore di questo fallimento poliedrico è il vincitore di due Oscar dietro la macchina da presa. Dove ci dovrebbe essere un regista, non c’è niente, ma una sedia vuota. Voto: 1/4

Michael Phillips – Chicago Tribune: Pieno di luoghi comuni del mondo dello spettacolo. Voto: 2.5 / 4

Bill Goodykoontz – Arizona Republic: “Jersey Boys” è un buon film, e le interpretazioni sono di prim’ordine. Voto: 3.5 / 5

Jordan Hoffman – Film.com: Con aria di sfida noiosa. Voto: 4/10

jersey_boys Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa: Jersey Boys rappresenta una vera riuscita: vedendolo si capisce quanto il rock sia debitore del gospel e del blues; e Eastwood ha mano felicissima nel delineare il quadro d’epoca, ovvero lo spaccato italo-americano anni ’50 di Newark, con il suo ambiente piccolo borghese di onesti lavoratori da un lato e l’irrinunciabile patrocinio di un padrino dall’altro (…) Con tranquilla sicurezza, Eastwood impagina lo spettacolo sul filo di deliziosi numeri musicali in una fotografia virata su toni ocra-marroni e senza mai fargli perdere, neppure nelle scene in esterni, il tono stilizzato. Ben assecondato da un cast che in buona parte è quello teatrale, a partire dall’ottimo Valli/John Lloyd Young; mentre Devito è impersonato da Vincent Piazza, il Lucky Luciano dello scorsesiana serie tv Boardwalk Empire, e il mafioso Gyp De Carlo da un indovinato Christopher Walken. Oggi che la musica pre-invasione Beatles dei Four Season potrebbe apparire datata, l’intelligenza di Eastwood è di riproporla in un registro di affettuosa nostalgia, enfatizzando gli aspetti umani e valorizzando la raffinatezza degli arrangiamenti dietro l’apparenza di semplicità. Con un pizzico di ironia, ritmo e un’incantevole freschezza.

Maurizio Acerbi – il Giornale: In mano a un altro, Jersey Boys si sarebbe trasformato in uno stanco ritornello. Con Eastwood, invece, la poetica del grande sogno americano, irrobustita da una fotografia da Oscar e da una colonna sonora coinvolgente, diventa manifesto culturale. Un film non perfetto, ma maledettamente affascinante.

Paolo D’Agostini – la Repubblica: E’ all’inizio (siamo nei primissimi anni Cinquanta) la battuta chiave del film: «C’erano tre modi per uscire dal quartiere: entravi nell’esercito e magari finivi ucciso; diventavi mafioso e magari finivi ammazzato; o diventavi famoso». (…) Lo sguardo di Clint accarezza l’epoca, i personaggi, le loro esibizioni in abiti sgargianti, senza troppo soffermarsi sull’ambiente e senza troppo approfondire lo sfondo sociale. Prevale una tonalità leggera, godibile e brillante: il personaggio di Walken è un mafioso da sophisticated comedy, non certo da film di Coppola o Scorsese. Si preferisce assecondare il ritmo musicale, anche con accorgimenti drammaturgici come i frequenti “a parte”, soprattutto della pecora nera Tommy ma anche degli altri, che di tanto in tanto sospendono la partecipazione del loro personaggio all’azione per rivolgersi al pubblico dando spiegazioni. Non sarà il Clint ruvido e sempre sorprendente (che preferiamo) di Million dollar baby o anche di Gran Torino , ma sempre e comunque tanto di cappello.