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…E fuori nevica: Recensione del film di Vincenzo Salemme

Tratto dall’omonima opera teatrale, Vincenzo Salemme porta in sala …E fuori nevica, commedia al tempo stesso classica e surreale infarcita di napoletanità e dintorni

pubblicato 16 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 21:20

Habitué di molti tra gli ultimi film dei Vanzina, Vincenzo Salemme torna dietro la macchina da presa a sei anni da No problem. Anche stavolta vestendo i panni molteplici dell’attore-regista-sceneggiatore in quella che è la trasposizione in sala di una sua opera teatrale. Portando anche il cast originale in questa versione cinematografia di …E fuori nevica, Salemme chiarisce l’intenzione di restare fedele all’originale, nel quale probabilmente ha scorto del potenziale in vista del film successivo.

Sulla genuinità di tale decisione c’è da discutere. Nel film Salemme è un cinquantenne, Enzo Righi, che ha lasciato Napoli da ragazzo per imbarcarsi su delle navi da crociera; ed è quello che fa tutt’ora, ossia cantare, sebbene la sua sia un’occupazione tutt’altro che fortunata. Tra debiti ed insofferenza diffusa ai suoi danni, il capitano della nave coglie al volo l’opportunità per lasciarlo a terra: la madre di Enzo è infatti venuta a mancare e c’è bisogno del figlio per la lettura del testamento. Anzi, dei figli, visto che i Righi sono tre; oltre ad Enzo, anche Stefano (Carlo Buccirosso) e Cico (Nando Paone).

Lo scenario è grottesco: al ritorno dopo trent’anni d’assenza, Enzo scopre che i due fratelli vivono insieme da zitelli nella casa materna, con l’aggravante che Cico ha perso il senno. Da qui in avanti …E fuori nevica si compone di sketch, battute e situazioni deliranti essenzialmente sconnesse, salvo quel leggero filo narrativo rappresentato dall’adempimento delle volontà testamentarie di mammà, ossia che i tre fratelli rimangano insieme, uniti. Diversamente perderebbero la casa.

Traccia che letteralmente scompare, sepolta dalla valanga di microscene e scenette che Salemme compone senza troppo curarsi di altro che non sia il mettere a nudo una generica “napoletanità”. Esperienza fortemente segnata da una voluta ingenuità di fondo, a cui a sua volta è riconducibile il titolo, che è la bizzarra esclamazione di Cico per manifestare la felicità del momento. Intere parti del film vengono impiegate in contesti surreali in cui Enzo e Stefano, assecondando le strambe richieste di Cico, improvvisano siparietti dai quali ogni tanto Salemme riesce a tirare fuori pure qualche sorriso. Ma a fatica.

Questo perché si vede già da lontano quanto il materiale poco si presti a diventare film, ancorato com’è al palcoscenico di un teatro, dove senz’altro assume un’altra valenza. Debole, per non dire inesistente, la struttura, di cui abbiamo già fatto cenno; di conseguenza risibile la portata di un prodotto che si dimena come un pesce fuor d’acqua per l’intera durata del film, all’interno del quale appare palesemente confinato a forza. E questo a prescindere da certi spunti che potrebbero anche passare per brillanti, perché specie Buccirosso e Paone sono due ottimi attori e la napoletanità di cui sopra a tratti rappresenta l’unica roccia alla quale aggrapparsi. Roccia che però si scopre essere troppo fragile, incline a sgretolarsi per un non nulla.

Tale è infatti la portata di un film che soffoca e svilisce qualsivoglia buona intenzione, così come certi discorsi che pur giacciono nelle fondamenta di questa rappresentazione. Su tutti, la forzata convivenza dei tre fratelli, da cui (volendo) passa il senso di una storia incentrata sui buoni sentimenti. Che però restano tali, visto che non si ha pressoché in nessun caso l’impressione che dietro ci sia anche solo la volontà di sviluppare tali rimandi.

Qualcuno obietterà, o farà semplicemente notare, che il modo di fare commedia da parte di Salemme sia in fondo felice, poiché forte di una salda tradizione e tutto sommato più “alta” rispetto a prodotti che sono emblema della commedia più becera che si è in grado di sfornare dalle nostre parti. Sarà, ma un film non può reggersi solo ed esclusivamente su qualche dialogo azzeccato o su una simpatica quantunque affettata descrizione ora di un tipo ora di un contesto. Ed è esattamente il peccato principe di …E fuori nevica, ovvero quello di affidarsi a taluni personaggi di per sé interessanti ma del tutto autonomi tanto rispetto all’ambiente quanto alla storia.

E non a caso il finale assurge a simbolo di un’opera dall’incertezza congenita, mancante di un indirizzo al quale mirare. Più assurdo del collage di episodi assurdi di cui è composto, con quell’estemporaneo cambio di tono ai fini del quale non si rintraccia alcuna motivazione durante tutto ciò che è avvenuto prima, avulso com’è da quella naivité che ha contrassegnato l’intero percorso. Per poi ovviamente rientrare nei ranghi, quelli di una commedia che avrebbe giovato di gran lunga di più se fosse rimasta teatro.

Voto di Antonio: 3

…E fuori nevica (Italia, 2014) di Vincenzo Salemme. Con Vincenzo Salemme, Carlo Buccirosso, Nando Paone, Giorgio Panariello, Maurizio Casagrande, Paola Quattrini e Margareth Madè. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 16 ottobre.