Home Berlinale - Festival internazionale del cinema di Berlino Eisenstein in Messico: recensione del film di Peter Greenaway in concorso a Berlino 2015

Eisenstein in Messico: recensione del film di Peter Greenaway in concorso a Berlino 2015

Festival di Berlino 2015: Peter Greenaway questa volta è alle prese con uno dei più grandi registi di sempre. Eisenstein in Guanajuato racconta l’esperienza dell’autore sovietico alle prese col suo film messicano ¡Que Viva Mexico!. Uno splendido lavoro tutto di superficie, che diverte ma può lasciare interdetti. In concorso.

pubblicato 12 Febbraio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 18:13

Nel 1931, il grande regista Sergei Eisenstein va a Guanajuato, in Messico, per girare il suo nuovo film ¡Que Viva Mexico!. Incontra una nuova cultura, anche della morte, e comincia la scoperta del proprio corpo e finalmente del sesso (a 33 anni era ancora vergine). Ma una volta in loco comincia ad avere problemi con il suo fianziatore americano, il romanziere Upton Sinclair…

Eisenstein in Guanajato è il film più gioioso di Peter Greenaway. Assurdo dirlo di un regista che, sin dagli esordi, di gioioso ha avuto poco o nulla. Però resta pur sempre un film di Peter Greenaway, con il suo stile, le sue tematiche e le sue ossessioni: tutte quelle che porta avanti più o meno da I misteri del giardino di Compton House.

Greenaway ha spesso fatto film basati su artisti, reali o fittizi proprio come nell’esordio. Lo ha fatto anche con uno dei suoi ultimi film, Nightwatching, che l’ha visto ritornare a un cinema più ‘lineare’ e meno enciclopedico dopo anni. Certo, il regista non ha mai perso il vezzo dell’estetica abbondante a tutti i costi, ma è innegabile che dopo il faticoso progetto su Tulse Luper il film su Rembrandt abbia rimesso a posto le coordinate del suo cinema.

Eisenstein in Guanajato forse è proprio l’altro lato di Nightwatching. Se quest’ultimo si rifaceva direttamente a I misteri del giardino di Compton House e raggiungeva un clima claustrofobico, il primo è un lavoro di pura superficie teorica. È da ormai molto tempo che non ci sono più le straordinarie musiche di Michael Nyman a fare da contraltare emotivo alla freddezza calcolata del regista, ma appunto Nightwatching aveva dimostrato che era ancora possibile uscire sconvolti da un film di Greenaway.

Questo è invece un film che non raggiunge mai lo stomaco, anche perché un pugno vero allo spettatore non lo tira davvero mai. A livello estetico ci sono momenti stilistici e scene uscite direttamente da Lo zoo di Venere e La Tempesta, ovvero il periodo migliore del cinema del regista inglese. Tutto viene mescolato a quell’apparato di split screen e manipolazione digitale dell’immagine che lo ossessiona da ormai più di 10 anni.

L’Eisenstein di Greenaway è invece un personaggio piuttosto inedito nel suo cinema: è una pura macchietta, un uomo che si autodefinisce clown. Capelli sparati in aria, energia da cocaina, un fiume in piena di parole gesti movimenti. A Guanajuato incontra Palomino, che sarà la sua guida durante tutta la sua permanenza, e se ne invaghisce subito. Ovvio che gli piaccia così tanto questo caldo Messico, con tutte le sue stranezze e la sua vitalità…

La relazione sessuale tra Eisenstein e Palomino è forse quella più esplicita sessualmente e pure tenera che Greenaway porta su grande schermo da I racconti del cuscino. La scena in cui il messicano svergina il regista ha un minutaggio elevatissimo, risparmia ben poco a livello grafico, ed ha l’intuizione giusta di stemperare il tutto con una buona dose di battute divertentissime sullo Stato Sovietico e non solo (e quella bandierina finale…!).

Però appunto, nonostante si instauri questa relazione che per Eisenstein sicuramente sfocia in qualcosa più che di carnale, non si viene mai coinvolti a livello emotivo. Qui mi pare però che il film abbia una sua grande coerenza. Eisenstein in Guanajato è un film in cui l’artista si riscopre innanzitutto uomo: scopre i piaceri della vita, scopre il sesso, scopre persino la siesta, e gode di tutto questo fino all’ultimo momento.

Sta in questa gioia – appunto – il senso del film, e Greenaway comunque mica dà tutta la colpa al tempo perso da Eisenstein se ¡Que Viva Mexico! alla fine non riuscì a finirlo. Il regista inglese si diverte a omaggiare il cinema precedente di Eisenstein (quello di Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre!) e a inserire momenti, idee e oggetti (gli scheletri!) che si vedono proprio in ¡Que Viva Mexico!, uscito alla fine nel 1979 e riassemblato da Grigori Aleksandrov.

Certo, poi il ‘sistema’ entra con tutta la sua ferocia a complicare le carte. Eisenstein è caduto in disgrazia presso Stalin, i finanziatori vogliono che chiuda il prima possibile le riprese e gli stanno alle calcagna, il suo visto per restare in Messico ha una durata limitata. Ma quel che conta in Eisenstein in Guanajato sono proprio i momenti di scoperta della vita.

Ecco perché il film è così ‘vuoto’: Greenaway è convinto che Eisenstein avesse già detto tutto delle regole cinematografiche. Il cinema è morto, continua a ripetere da un sacco di tempo a questa parte. E in fondo questo suo ultimo lavoro è anche un film sulla ‘morte’ del cinema nei confronti della vita: Eisenstein dopo questa esperienza non sarà più lo stesso. Però oggi si continuano a fare film, e noi andiamo a vederli. Quindi perché non godere del puro linguaggio del mezzo anche in modo fine a sé stesso?

Voto di Gabriele: 7
Voto di Antonio: 5

Eisenstein in Guanajato (Messico / Finlandia / Belgio / Francia / Paesi Bass 2015, biopic 108′) di Peter Greenaway; con Elmer Bäck, Alan Del Castillo, Lisa Owen, Stelio Savante, Maya Zapata.

Berlinale - Festival internazionale del cinema di Berlino