Home Festival di Venezia Todd Haynes: dalla sperimentazione a Bob Dylan

Todd Haynes: dalla sperimentazione a Bob Dylan

E Bob Dylan si fece in sei. Non siamo diventati matti d’un colpo, ma è la rilettura che il regista americano Todd Haynes vuole fare nel suo nuovo I’m not there, che forse sarà presentato a Venezia 64. In sostanza, non un normale biopic, anzi: Bob sarà interpretato da sei attori diversi in sei diversi

12 Giugno 2007 16:20



E Bob Dylan si fece in sei. Non siamo diventati matti d’un colpo, ma è la rilettura che il regista americano Todd Haynes vuole fare nel suo nuovo I’m not there, che forse sarà presentato a Venezia 64. In sostanza, non un normale biopic, anzi: Bob sarà interpretato da sei attori diversi in sei diversi momenti della sua vita. A calarsi nei suoi panni saranno Christian Bale, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw e… Cate Blanchett! Se pensate che Haynes sia un po’ pazzo, non avete tutti i torti: basta riguardare la sua filmografia, che certo non è vastissima (cinque film, compreso l’ultimo, in sedici anni, esclusi i lavori per la tv e qualche corto prima del suo primo lungometraggio), ma di certo interessante.

Se pensiamo che Poison, il bel primo film del regista (inedito in Italia, ma lo potete recuperare ad esempio su dvd.it) è un film che si divide in tre, raccontando tre diverse storie con tre stili differenti, allora abbiamo già chiaro di chi stiamo parlando. Lavoro estremamente sperimentale e originale, Poison mette le carte in tavola sin da subito su quali saranno gli elementi della filmografia di Haynes: l’omosessualità, la società per bene che cade a pezzi, lo spettro delle malattie (AIDS su tutte), un repertorio tutt’altro che banale nelle citazioni, e una cura per la messinscena che, anche se questo è un film indipendente a bassissimo budget, è già evidente.

Bollato subito come un film a tematica omosessuale, persino un queer horror, il film è come abbiamo detto diviso in tre (Hero, Horror, Homo), con stile, in ordine, documentaristico-televisivo il primo, in bianco e nero ad omaggiare la sci-fi Fifties il secondo, colorato ma cupo e intervallato da flash-back il terzo. Di orrore, nel senso del genere, ce n’è poco: ma ci sono gli “orrori”, appunto, quale la malattia contagiosa del secondo episodio come spettro dell’AIDS, il perbenismo della società sempre del secondo episodio ma anche nel primo, l’omosessualità repressa e che deve in qualche modo esprimersi nel terzo.
Elementi che si ritrovano tutti nei seguenti film: Safe, Velvet Goldmine e Lontano dal paradiso.

La musa ispiratrice del regista, Julianne Moore (che ritroveremo in I’m not there), è una borghese ricchissima sia in Safe che in Lontano dal paradiso: nel primo è affetta da una malattia che la costringe a reazioni allergiche tremende ogni volta che è a contatto con sostanze chimiche normalmente presenti nei beni di consumo, mentre nel secondo è una moglie e madre diligente degli anni ’50 che scopre che il marito è “ammalato” di omosessualità. Eccoci ancora lì: perbenismo di una società ricchissima, che si trasforma in un male di vivere che può colpire chiunque.
Lo stile documentaristico dell’episodio di Poison e della seconda parte di Safe (che soffre comunque di una certa lentezza, pur avendo tutti i suoi pregi) la si ritrova ancora di più in Velvet Goldmine, sorta di Quarto Potere (citato come modello di costruzione della trama) ambientato negli anni ’70 del Glam-Rock ispirato alla vita di David Bowie (che comunque rifiutò il film e non permise l’uso dei suoi brani nella soundtrack). Con tre straordinari e sensualissimi protagonisti: Christian Bale, Jonathan Rhys Meyers e Ewan McGregor (la cui figura si ispira a Iggy Pop, ma molti pensano sia Kurt Cobain). Eccentrico, divertentissimo e volontariamente kitsch, ci sono le basi per capire il punto di vista di un biopic diretto da Haynes: può essere lineare e “normale”?

Haynes va al di là, esplora col suo bagaglio culturale, che è enorme e colto e spazia da Fassbinder a Jean Genet (la cui figura ha ispirato Homo in Poison), dal cinema anni ’50 su cui si basa la straordinaria costruzione di Lontano dal paradiso a Welles, ed è sempre riuscito a migliorarsi. Le premesse che I’m not there sia un grande film ci sono davvero tutte.

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