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Venezia 2012 – Bad 25: Recensione in Anteprima del documentario di Spike Lee

Spike Lee ci racconta Bad a distanza di venticinque anni dalla sua uscita. Bad 25: un documentario su e per Michael Jackson. Ecco la recensione in anteprima di Cineblog

pubblicato 1 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:36

A pochi giorni dal riscontro positivo del documentario di Johnathan Demme (Enzo Avitabile Music Life), eccoci tornare sull’argomento con un progetto analogo, ossia Bad 25. Ed il titolo lascia decisamente poco spazio alla fantasia. Quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario dalla pubblicazione dell’album Bad. Un omaggio, dunque, non solo a quello strepitoso lavoro, ma soprattutto alla figura che c’è dietro.

Esatto, proprio lui. Il re del pop, Michael Jackson. Sono trascorsi tre anni dalla morte di Jacko, quindi quale occasione migliore per tornare a parlarne? In questo modo abbiamo modo di ripercorre tappe, pensieri, episodi che non appartengono solo a coloro che, a vario titolo, contribuirono a quel successo epocale. Perché ricordare l’enfant prodige dei Jackson 5 ci consente di rievocare momenti che appartengono anche a noi – e ci riferiamo in particolar modo a chi questo artista lo ha amato, oltre ad essere venuto al mondo non più tardi degli anni ’80.

Un lavoro di estremo interesse, di conseguenza, non solo per coloro che sono cresciuti a pane e Moonwalk, bensì per ogni amante della musica. Per coloro che in questa materia ci sguazzano, per un motivo o per un altro. Anche se in fondo il pubblico a cui intende rivolgersi Spike Lee ci pare sia piuttosto trasversale, dai più competenti a coloro i quali si “limitano” ad apprezzare.

Dovessimo in qualche modo riassumere Bad 25, riteniamo non vi sia miglior descrizione di corposo making of. Perché in buona sostanza è di questo che si tratta: un robusto dietro le quinte di Bad, sviscerato traccia per traccia. E sono brani di livello, rimasti nella memoria anche dei meno avvezzi all’opera di MJ.

Un prodotto, questo, che ha consolidato in maniera inequivocabile l’immagine di un Jackson non più solo straordinario cantante e formidabile ballerino, bensì artista a tutto tondo. Uomo di spettacolo anzitutto. Così come spettacolare fu il Tour di quell’album, che macinò record su record, impegnando il suo autore per oltre un anno a spasso per il mondo.

E dato il contesto, il rimando alla dimensione cinematografica è d’obbligo. Approfondendo la lavorazione di Bad, ci rendiamo conto che la Settima Arte centri eccome. Perché quello fu anche l’album dai videoclip esagerati, sopra le righe. L’originalità a cui Jacko anelava in maniera così decisa in ambito musicale e coreografico non poteva non riflettersi anche su tale aspetto. Non a caso la definizione di videoclip gli stava talmente stretta da rivolgersi ad essi con la dicitura di corto cinematografico.

Che in tal senso lui e Quincy Jones intendessero fare le cose in grande non è certo una mera deduzione. Sparse per i corti girati troviamo le prove di quanto appena detto. Dalla convocazione di Martin Scorsese per dirigere il video di Bad, ai tanti attori-celebrità intervenuti in quello di Liberian Girl. Ma è anche una tappa importante per l’animazione, preponderante nel nostalgico Speed Demon, con il mitico coniglio Spike quale alter-ego ideale. Oppure il corto girato per Leave Me Alone, più ardito in termini visivi, con quel suo avvicendarsi di immagini all’interno di uno strano parco dei divertimenti.

Ma l’influsso del cinema non si limita certo a questo. Pensiamo a certe coreografie, che Michael Jackson ha appreso meticolosamente e poi rielaborato traendo ispirazione da figure come Fred Astaire (in particolare The Band Wagon di Vincente Minnelli), o da film come West Side Story.

Ciò nondimeno il citazionismo di Bad, come già adombrato, trascende testi e canzoni. In Smooth Criminal, da cui peraltro venne tratto il film Moonwalker, il regista del corto si ispirò ad un capolavoro come Il Terzo Uomo, data l’impronta fortemente noir che si voleva imprimere.

Un ricco approfondimento, quindi, denso di materiale di repertorio e di notizie di cui magari tanti sono all’oscuro. Vi siete mai domandati, per esempio, quale fosse l’identità della Annie di Smooth Criminal? La verità supera ogni vostra immaginazione. Senza contare i non pochi rimandi squisitamente tecnici, talvolta comprensibili anche per i profani. E poiché in Bad 25 c’è un po’ di tutto, non può certo mancare la figura di Michael Jackson, che di fatto spadroneggia tra una sequenza e l’altra. Perché in fondo è lui ad aver dato il soffio vitale a Bad, ecco perché comprendere l’entità di questo album non può prescindere dalla corretta percezione di ciò che il suo autore era e stava diventando.

Scopriamo, giusto per dirne una, che nei credits di The Way You Make Me Feel, il suo nome appare sotto la voce che descrive colui che schiocca le dita. Curiosità, più o meno interessanti, ma tutte indispensabili per stilare un quadro quanto più aderente possibile alla verità. Non sta certo a noi chiederci se Spike Lee ci sia riuscito o meno, ma una cosa bisogna riconoscergliela: laddove tanti si sono limitati alla descrizione più o meno efficace del profilo di questo controverso personaggio, il regista afroamericano ha preferito andare oltre. E a dispetto della natura apertamente commerciale di questo documentario, immagini e musica si fondono in qualcosa di unico.

Fino a quegli ultimi minuti, consegnati completamente nelle mani di Jackson. Chi meglio di lui poteva chiudere? E quale brano meglio di Man in the Mirror? Lui entra, giacca argentata e figura imponente. Gli occhi non sono che per lui. Riflettori puntati, partono le prime note. Finché il microfono non si apre, filtrando la prima strofa:

I’m gonna make a change, for once in my life
It’s gonna feel real good, gonna make a difference
Gonna make it right…

Dopo l’ennesimo, trascinante spettacolo, le luci si spengono. Cala il sipario. Non per noi. Passerà un po’ prima che quel ritmo smetta di fare effetto.

Voto di Antonio: 8
Voto di Gabriele: 8
Voto di Simona: 8,5