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Venezia 2012 – To the Wonder: Recensione in Anteprima del film di Terrence Malick

Avvolto da una fitta coltre di mistero, To the Wonder si mostra finalmente agli occhi degli intervenuti qui a Venezia. Ed è un timido palesarsi il suo, contraddistinto da un delicato pudore. Quello che da molti è già stato scambiato per becero ermetismo. Come se Terrence Malick adorasse proprio non farsi capire – se non lui, i suoi lavori.

pubblicato 2 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:35

Ed invece c’è tanto da cogliere perlustrando le inquietanti profondità di quest’ultima opera del cineasta texano. Il compromesso implicito è quello di sporcarsi le mani, rimestando un terreno apparentemente arido e tutt’altro che promettente. Questo è il tipo di sollecitazione che pretende To the Wonder.

Perché per arrivare a sfiorare quella meraviglia cui allude il titolo, bisogna completamente abbandonarsi ad un susseguirsi di eventi sconnessi, di immagini, che non hanno alcuna pretesa di essere raccolti per poi essere rinchiusi all’interno di un contesto unico, definitivo ed inequivocabile.

Lungi dal sostenere, come qualcuno pensa, che Malick ci tratti con irritante e malcelata sufficienza, siamo pienamente convinti che, al contrario, nutra una stima spropositata per lo spettatore. Il suo non è un cinema accomodante, non lo è per nulla. Non copre di adulazione chi lo guarda per il semplice fatto di avergli accordato la “fiducia” di una visione.

Tutti, per esempio, ci siamo domandati per mesi (se non per anni, visto che l’annuncio di To the Wonder risale all’inzio del 2010) di cosa parlasse questo film. Domanda pretenziosa, se si pensa a chi è rivolta. Ma almeno capire da quali intenti fosse mosso, ed in relazione a quali dinamiche. Niente da fare; fino ad oggi ci è stato negato persino questo.

Ve lo diciamo noi, allora, a cosa si riferisce. Poche battute, per poi lasciarci andare a ciò che davvero ci interessa. Neil (Ben Affleck) e Marina (Olga Kurylenko) formano una giovane coppia conosciutasi in Francia. Lui si è lasciato alle spalle il proprio passato trasferendosi dall’Oklahoma a Parigi, mentre lei è divorziata, madre di una ragazzina di dieci anni. I due si amano di un sentimento sincero. Fino a quando qualcosa non comincia a cambiare. Travolti da questi mutamenti interni, ha inizio il loro percorso. Percorso che s’intreccia anche con altre storie, pur restando più in superficie, in termini di visibilità, rispetto a tutti gli altri.

Ma come sempre, i film di Malick non vanno raccontati… vanno vissuti. Ce ne accorgiamo leggendo la sinossi lunga: all’apparenza altro non è che un classico dramma romantico, non privo di intensità magari, ma assolutamente in linea col genere. Quel che rivolta letteralmente le premesse narrative, di cui abbiamo appena accennato, è piuttosto il tocco di Malick. La mano di un’artista che tratta questo mezzo in maniera unica, incomparabile.

Ecco allora che il dramma di una coppia, un’ordinaria coppia, si trasforma nel dramma universale dell’uomo. Di ciascun uomo o donna, senza confini epocali. All’interno di uno scenario abbastanza marcato in termini di collocazione temporale, comunque, dato che le vicende sono palesemente circoscritte all’attualità. Ma il periodo è solo un prestesto, una cornice, se vogliamo. Ciò che interessa a Malick è il senza-tempo, l’eterno.

Nessuno dei suoi personaggi è semplicemente un personaggio. E’ davvero facile farsi trarre in inganno dalla vistosa limitatezza dei dialoghi, equivocandone il peso specifico nell’ambito dell’intero impalco di narrazione. Le maschere che orbitano attorno alle storie di Malick non sono mai contorno. Impossibile immaginare uno qualunque dei suoi film senza anche solo uno di loro. Non da meno è To the Wonder.

Dietro all’apparente enigmaticità dei suoi lavori, Malick ci mostra per ciò che ognuno di noi è. Questa sua ultima fatica fa perno sull’incertezza, condivisa perché atavica. Incertezza dinanzi ad ogni realtà avvertita dall’animo umano. Non importa né dove né quando, perché chiunque può e deve riconoscersi in questi personaggi. Per lo meno limitatamente ad una delle loro peculiarità.

Soffermiamoci su un aspetto del film. In To the Wonder, come già accennato, i dialoghi sono ridotti all’osso. La trama procede attraverso pensieri, parole, proferite come se nessuno dovesse ascoltarle. Come impresse con l’inchiostro su dei pezzi di carta, per poi essere immediatamente bruciati. Eppure sono addirittura quattro le lingue parlate: francese, inglese, spagnolo e italiano. Ciò conferma che il linguaggio verbale non è che una convenzione, qualcosa di cui abbiamo bisogno tutt’al più per facilitarci le cose. Ma Malick ha in mano uno strumento potente, grazie al quale può benissimo fare a meno di queste utili agevolazioni. Tale strumento è la macchina da presa. O meglio, il Cinema.

Tutto ciò che gli viene messo a disposizione da tale strumento concorre a costruire un discorso che può benissimo prescindere dalla parola. Certi movimenti di camera, certi tagli di montaggio. Malick stravolge il ritmo diegetico mescolandolo, rievocandolo, masticandolo e poi sputandolo sotto forma di una creatura indescrivibile.

Una creatura il cui odore entra nella pelle, in qualche modo cambiandoci, anche se solo per poco tempo. Non a tutti è dato esperire questa influenza. Da qui le perplessità, gli equivoci, se non addirittura le recriminazioni di chi riesce al massimo ad annoiarsi. Sempre che lo si sia portato fino in fondo.

To the Wonder è anche un’opera che si concentra molto sul concetto di perdita. Perché tutti, strada facendo, perdiamo qualcosa: una persona amata, un sogno, persino noi stessi. “Tu mi hai ridato la vita“, sussura Marina all’inizio del film, rivolgendosi a Neil. Affermazione tremenda, che innesca dei meccanismi su cui ci si può a malpena affacciare. Perché la ritrovata vita della tenera Marina porta in dote due nuovi amori: quello per Neil e quello per l’amore stesso. E’ talmente innamorata la giovane da avere un solo desiderio: essere moglie. Ma è qui che s’insinua il paradosso. Neil non intende sposarsi, scatenando una situazione angosciosa, quella che solo l’amore può comportare. “Se davvero lo amo, mi deve bastare stargli accanto, senza pretendere il matrimonio“, rimugina Marina.

Ma questo nostro estrapolare frasi, ci rendiamo conto, tende a banalizzarne la portata. Parole che in mano a tantissimi altri ci sarebbero apparse smielate, prive di qualsivoglia mordente, venute fuori dalla straripante penna di Malick assumono tutta un’altra consistenza.

Perché, come sempre, perno ed epicentro è ciò che vediamo. Tale e tanto l’influsso visivo di To the Wonder, che il fascino emanato dalle immagini ci confondono, distogliendo l’attenzione da tutto il resto. Quella restante parte che eppure sta fortemente a cuore al regista, visto che sono davvero poche le occasioni in cui un brano musicale (per lo più classici) non accompagni quei quadri incantevoli che riesce a presentarci – corroborati da un’eccezionale fotografia, ancora una volta ispirata. Quadri in movimento, così come lo è lo sviluppo dei personaggi.

Abbiamo menzionato i movimenti di camera. Ma ciò riguarda solo le persone su cui Malick concentra la propria attenzione. Torna qui prepotentemente il dualismo tra Natura e Grazia. L’uomo, in quanto dotato di spirito e quindi capace di ricevere Grazia, è un essere in continuo divenire; qui trasposto in movimento, per l’appunto. Alla Natura, invece, non appartiene affatto tale dimesione, poiché essenzialmente immobile, immutabile. Da qui le numerose e suggestive inquadrature fisse di cui To the Wonder è colmo.

Contrariamente alle impressioni che serpeggiano qui al Lido, noi siamo piuttosto convinti che anche questa nuova pellicola di Malick sia un’opera completa, oseremmo dire totale. Come in The Tree of Life, il cinesta di Waco ci offre uno squarcio radicale sull’universalità. In esso troviamo, per esempio, l’amore profano di due giovani che si amano ma che non riescono a vivere insieme, così come l’amore sacro di un prete (Javier Bardem) che sta attraversando il cosiddetto buio della Fede.

Tutti così meravigliosamente fragili, eppure così straordariamente capaci di rovesciare ogni cosa. Uomini e donne non forti in senso stretto, ma dotati di una forza che è l’unica cosa ad accomunarli. Ciascuno col proprio percorso, coi propri dubbi. E se il loro sviluppo risulta “incoerente”, vale a dire che sono autentici, vivi.

Come reagire dinanzi al crollo di una Fede, di un amore o di qualunque altra certezza che poi tale non è? Ed è questo ciò che devono maturare le anime di cui ci vengono opacamente mostrate le vite, ossia la persistente capacità di sapersi mettere in discussione. Partendo dal turbamento di una scossa, scoprendo che nessuno di noi è fatto per “rimanere ciò che è”. Ecco allora che le presunte certezze altro non sono che ostacoli tremendi, da evitare, da combattere.

Un film, questo, che in fondo ci piace considerare come un prequel di The Tree of Life; quest’ultimo comincia esattamente laddove To the Wonder finisce. Lì la celebrazione della Grazia nel Creato, opposta alla Natura, ferale, a tratti indomabile. Qui la ricerca radicale di quella Grazia, temuta, negata, ma il cui approdo è costantemente di lì a venire. Meno conciliante rispetto al concetto che si cela dietro all’albero della vita (ne parlammo in sede di recensione, ricordate?).

Un ritratto commovente, quello dipinto in To the Wonder. Straziante, doloroso, intensamente tragico. Dalla forte impronta teatrale, a tratti volutamente esasperato ed esasperante in ciò che mostra e in ciò a cui rimanda. Uno spaccato struggente della bramosia di amore insita nel cuore dell’uomo. Anche quando non lo si capisce, quando non lo si comprende, non si fa altro che tendere ad esso (l’amore).

E in cosa consiste la meraviglia a cui allude Malick? Probabilmente ce lo dice padre Quintana (Bardem), orribilmente turbato da un’inspiegabile (per lui) “mancanza” di Fede. Lo dice allorché invita Neil (Affleck) a perdonare, spronandolo risolutamente alla scontro; il peggiore degli scontri. Quello contro sé stessi.

Voto di Antonio: 8½
Voto di Gabriele: 7

To the Wonder (USA, 2012). Di Terrence Malick, con Rachel McAdams, Ben Affleck, Javier Bardem, Olga Kurylenko, Tatiana Chiline e Romina Mondello. Nelle nostre sale dal 14 Dicembre.