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Dove eravamo rimasti: recensione in anteprima del film con Meryl Streep

La musica, tanto cara al Jonathan Demme documentarista ma non solo, fa da sfondo a Dove eravamo rimasti, storia di una donna e della famiglia dalla quale si è separata. Ma non irrimediabilmente

pubblicato 26 Agosto 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:18

Torna nuovamente alla finzione Jonathan Demme, dopo A Master Builder appena due anni fa. Dove eravamo rimasti (Ricki and the Flash in originale) è stato di recente presentato a Locarno, con una distribuzione italiana imminente, fissata al 10 settembre. Protagonista Meryl Streep (Linda/Ricki), una non più giovane rocker che ha lasciato la propria famiglia per dedicarsi al suo sogno dall’altra parte degli States. Eppure, come il film ci illustra lungo il suo sviluppo, la vicenda è più complessa di così.

Ricki Rendazzo vive a San Fernando Valley, California; di giorno cassiera per una catena di supermercati, la sera lead vocalist dei Ricki and the Flash. Insieme a lei, nel gruppo figura anche una vera rock star, tale nella vita reale, ossia Rick Springfield (il giovanotto di Jessie’s Girl, per intenderci), che qui interpreta Greg, non solo membro del gruppo ma anche compagno di Ricki. Una relazione a dire il vero tutt’altro che definita: entrambi si sono lasciati alle spalle le rispettive famiglie, ma soprattutto i figli. Pur nell’incertezza, però, l’esistenza della cantante procede, tra bollette da pagare e brani al passo coi tempi da imparare – lei che si definisce un’American Girl, pezzo che peraltro apre il film, ma che non può ignorare Lady Gaga.

Finché la telefonata: è l’ex-marito, Pete (Kevin Kline), che le chiede di tornare ad Indianapolis per via della recente separazione della figlia. C’è da capire che Ricki non ha praticamente alcun rapporto con i suoi tre figli, e l’idea di trovarsi davanti a tre persone adulte, fatte e cresciute, la spaventa. Ma la mamma è sempre la mamma, perciò Ricki parte. Non ci vuole molto prima di scoprire che le cose stanno peggio di come le aveva descritte Pete: Julie, sua figlia, ha tentato il suicidio ed ora è in terapia. Scaricata per una ragazza che lavora alle poste e ha due figli, Julie ha rischiato di impazzire.

Da questi ultimi accenni alla trama emergono quelli che in fondo sono i toni di Ricki and the Flash, in cui si alternano dramma e commedia, sebbene in maniera non del tutto convincente. Siamo ben lontani dall’equilibrio mostrato in Rachel sta per sposarsi, che sarà anche un altro tipo di progetto, ma che nondimeno riesce ben più efficacemente nell’ambito di un contesto analogo. E no che non si sorrida in quest’ultimo lavoro di Demme, anzi; alcune situazioni, magari un pelo forzate, non lasciano indifferenti, come il simpatico quadretto famigliare in un bar, dove il padre di una bambina che siede a fianco a Ricki e Julie si lamenta del turpiloquio e degli argomenti delle due, per poi ricevere, di tutta risposta, una caustica reprimenda da parte di madre e figlia, quasi non aspettassero altro.

Drammatica è invece la condizione in sé di Linda/Ricki (scopriamo che il Ricki è il nome d’arte che Linda si è dato da quando ha cominciato a cantare), catapultata in quell’abitazione che rappresenta, a più livelli, tutto ciò da cui si è voluta emancipare, in un modo o nell’altro. Pesantezza resa ancora più gravosa dal fatto che Ricki non nega le proprie responsabilità, sebbene condivise con un marito che oggi sembra impeccabile ma che a suo tempo ci ha messo del suo, si dice en passant, cornificando l’ex-moglie. Ma, nonostante tutto, l’arrivo di Ricki ha un impatto, specie su Julie, che trae molto più giovamento dalla presenza della madre biologica più di quanto non ne abbia tratto grazie a farmaci e sedute.

Sono due mondi agli antipodi, quelli di un’alta borghesia all’interno del cui liquido macerano personaggi non per forza negativi ma senz’altro ingessati, non troppo aperti alla vita; mentre dall’altro abbiamo chi non se n’è fatta una ragione, gente che ha creduto nella possibilità dell’alternativa, e che ora, giusto o sbagliato, vive sino in fondo questa condizione a margine, volendo anche leggermente ghettizzata. Proprio in questa contrapposizione emerge un’ulteriore debolezza del film, da imputare, come altri elementi, più alla scrittura di Diablo Cody che al solo Demme. Tra gli altri, basti pensare allo sbandierato orientamento politico di Ricki, ossia repubblicano, messo però in discussione dai figli, che, riferendosi alla madre, fanno del sarcasmo: liberal quanto al proprio stile di vita, repubblicana con gli altri; questo per giustificare la reazione un po’ stupita dinanzi al figlio omosessuale quando quest’ultimo conferma a Ricki che no, la bisessualità del college altro non era altro che una copertura. Al che sfugge un po’ il nesso: bisex sì, omo no? Più che retrograda lei appare confusa proprio la costruzione di questo passaggio, specie per come si risolve alla fine.

Impossible descrivere oltre senza evitare fastidiosi spoiler. Dove eravamo rimasti allude a seconde possibilità, all’inconciliabilità di due contesti opposti che oramai, sembra dirci lo stesso film in chiusura, sono stati entrambi superati, soppiantati da più di una generazione che non crede alle fredde distanze quanto alle relazioni, né alla serietà a tutti i costi quanto all’atteggiamento esistenziale. Non a caso quel velato giovanilismo, o almeno così lo abbiamo percepito, rappresenta un altro bastone tra le ruote di un film la cui chiosa è estremamente conciliante. Il che non è un male di per sé ma per come ci si è approdati.

Anche sforzandosi, Demme difficilmente riuscirebbe ad impedire che tra noi ed i suoi personaggi si stabilisca qualcosa, un contatto, per quanto fiacco. Difatti il personaggio di Ricki, ancor più che gli altri, tocca, sebbene incuriosisce la scelta della Streep, brava come quasi sempre accade, ma non del tutto centrata in questo ruolo. Anche questa è stata una scommessa, tesa a sfidare l’immagine che si ha della Meryl recente, per lo più nei panni di donne dalla personalità prorompente. Mentre qui la sua Ricki è sì una donna più che matura, ma fragile, insicura, aspetto che per forza di cose ce la rende più vicina perché più umana.

Ecco forse la sua mancata straordinarietà, paradossale perché parliamo di una signora piena di accessori e tatuaggi che si agita su un palco al ritmo di pezzi rock, è ciò che crea il corto circuito tra il personaggio e colei che lo interpreta. Corto circuito che, nel nostro caso, non ha funzionato del tutto. E poi, sì, del finale abbiamo già detto. Il finale… Si vorrebbe tanto essere riusciti ad apprezzare ancora di più la leggerezza di Dove eravamo rimasti, sulla cui resa sta o cade l’impressione che ci si può fare di questo film. Solo che per ora ci si trova per lo più a metà strada.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]

Dove eravamo rimasti (Ricki and the Flash, USA, 2015) di Jonathan Demme. Con Meryl Streep, Mamie Gummer, Rick Springfield, Kevin Kline, Audra McDonald, Sebastian Stan, Ben Platt, Charlotte Rae, Maria Di Angelis, Lisa Joyce, Li Jun Li, Carmen Carrera e Doris McCarthy. Nelle nostre sale da giovedì 10 settembre.

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