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Venezia 2015, Il caso Spotlight: recensione in anteprima

La prima ovazione se la becca Spotlight, film-inchiesta di Thomas McCarthy incentrato sullo scandalo relativo agli abusi sui minori da parte di una settantina di preti in quel di Boston

pubblicato 3 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:06

Chi cerca il film del Festival, quello che mette grossomodo tutti d’accordo, beh, potrebbe averlo trovato in Spotlight. Tema spinoso, grande cast, clamore e via discorrendo. Oltremodo atteso il film di Thomas McCarthy, a cui sono andati i primi veri, sinceri applausi della Mostra. Siamo agli albori degli anni 2000, mesi prima del nefasto avvenimento risalente all’11 settembre. Nel 2001 Marty Baron (Liev Schreiber) approda al Boston Globe per prenderne il timone. Qui lavora un gruppo di quattro giornalisti, denominato Spotlight, impegnato sui casi più scottanti, con una minuzia ed un’ostinazione tali da aver loro guadagnato una certa autorevolezza nell’ambiente.

Pronti e via, Baron chiede a Walter Robinson (Michael Keaton) di interrompere qualsiasi cosa stiano seguendo per focalizzarsi sugli abusi sui minori che si protraggono da decenni all’interno della diocesi di Boston. C’è da capire che siamo nel 2001 ed i tempi non sono ancora maturi per lo scandalo planetario che si abbatterà sulla Chiesa Apostolica Romana di lì a poco, perciò non sorprende che i redattori del Globe di tutta prima restino spiazzati ed intendano andarci coi piedi di piombo. Anche perché la presenza cattolica nella città statunitense è nutrita ed influente, perciò bisogna sapersi muovere.

Spotlight segue le fasi concitate di questi mesi d’indagini, tra dubbi, rivelazioni e silenzi che condurranno alla pubblicazione di quella storica prima pagina in cui si accusa apertamente la Chiesa di avere coperto i preti macchiatisi degli infami misfatti. Ora, il film di McCarthy è come un marchingegno, magari non troppo elaborato, ma sicuramente funzionante, pressoché alla perfezione. Non gli manca nulla di ciò che rende di alto livello un prodotto cinematografico: scrittura e recitazione di prim’ordine, dunque un cast eccezionale, non solo per via dei nomi ma per le performance vere e proprie. Ed allora cos’è che non va?

Torniamo al febbraio scorso. Festival di Berlino. Viene lì presentata una delle opere migliori di quest’annata festivaliera, ossia The Club di Pablo Larrain. Il tema è lo stesso, ovvero lo scandalo dei preti pedofili. In una casa vengono esiliati parte di quei sacerdoti che sono stati rimossi dalle rispettive parrocchie per aver molestato sessualmente dei bambini, in alcuni casi per anni. Ora, pur ammettendo che si tratta di due operazioni diverse, vi invito a seguire con attenzione i due film e a capire cosa ne esce fuori da un simile “confronto”. Lì Larrain praticamente si serve dell’argomento per estenderlo se non addirittura dilatarlo alla condizione umana, quella che ci accomuna noi tutti. Un discorso di una lucidità disarmante, tutt’altro che moralista, oltre che scomodo, poiché in nessun passaggio si limita a dire ciò che vogliamo sentirci dire.

Torniamo a Spotlight. Ebbene, prendete quanto abbiamo scritto poco sopra su The Club e ribaltatelo esattamente. Il film di McCarthy non solo mi pare arrivi con un pelo di ritardo, ma in più persegue la linea dell’attacco al sistema, lasciando furbescamente e a più riprese intendere, senza mai dirlo esplicitamente, che la pedofilia nel clero cattolico non sia un’anomalia bensì una prassi, per quanto limitata. Ma che, peggio ancora, sebbene l’equivoco qui sia più comprensibile, che la risposta della Chiesa a tutto questo sia una copertura il cui confine con l’approvazione è estremamente sfumato – deduzione a cui Larrain non lascia scampo anche grazie all’ingegnoso innesto del sacerdote chiamato a valutare la situazione all’interno del “club”.

Se decidi di inoltrarti nel gorgo dell’indagine, tieni automaticamente conto del pericolo di restare in qualche modo impantanato; ma soprattutto di venire criticato qualora ciò avvenga. L’astuzia alla quale i due film attingono è di segno diverso, speculari e dunque opposti: Larrain vi fa ricorso perché la ritiene idonea a filtrare un messaggio che è forte ma che non va urlato, men che meno con sdegno; McCarthy opta invece per la via più facile, quella della denuncia inorridita, che tratta l’abominio non per quello che è ma quasi esclusivamente per chi se ne macchia. Spotlight diventa perciò l’ennesima storia di eroi che sfidano l’ambiente circostante, con tanto di ricamino finale sulla cosiddetta colpa condivisa: la colpa è pure nostra che abbiamo girato la testa altrove… ma tenetevi a distanza perché noi restiamo migliori di voi. Un argomentare che lascia il tempo che trova insomma.

C’è quasi da ringraziarlo al regista cileno per aver fatto uscire il suo film prima di Spotlight, ché diversamente avremmo avuto più difficoltà ad evidenziare certe cose. Non importa che in questo caso si tratti di una «storia vera» solo perché le dinamiche sono reali mentre quelle di The Club tutt’al più si rifanno alla realtà. Nel film di Larrain c’è sincerità, onestà, finanche verità; tutte cose che, a vari gradi, mancano nell’altro. Tutte insieme, le persone che hanno subito abusi in Spotlight non riescono a dirci nulla che l’unica vittima che compare nel film di Larrain non riesca a fare, e con ben altra intensità e profondità, parlando peraltro per un quarto del tempo rispetto a loro.

Buttiamo tutto allora? Beh, abbiamo messo le mani avanti in apertura. Spotlight non lascia indifferenti, e non solo per il soggetto; buon ritmo, ottime interpretazioni e via discorrendo. D’altronde su questa falsa riga abbiamo di recente apprezzato il sobrio La regola del gioco, perciò. Solo che di certa corrente americana restano in Spotlight pregi e difetti, tanto encomiabile nella forma quanto discutibile in relazione alla sostanza. Notando, a margine, che la dicitura «tratto da una storia vera» rappresenta un’arma a doppio taglio, ed alla conclusione, tutto considerato, ci si approda sempre attraverso un’interpretazione dei fatti. Che in questo caso ci pare più politica che altro. Anche perché la mera esposizione di fatti è notizia, di certo non cinema. E che Spotlight rientri a pieno titolo in quest’ultima categoria è innegabile.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
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[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]

Spotlight (USA, 2015) di Thomas McCarthy. Con Michael Keaton, Rachel McAdams, Mark Ruffalo, Stanley Tucci, Liev Schreiber, Billy Crudup, John Slattery, Len Cariou, Jamey Sheridan, Paul Guilfoyle, Lana Antonova, Brian d’Arcy James, Elena Juatco, Neal Huff, Laurie Heineman, Patty Ross, Shawn Contois, David Boston, Stefanie Drummond, Ariana Ruckle, Maureen Keiller e Krista Morin.

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