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La nostra quarantena: la precarietà di immigrati e italiani al cinema con Francesca Neri

Quarantene ‘volontarie’, crisi e proteste, per immigrati e italiani, al cinema con il film drammatico di Peter Marcias

di cuttv
pubblicato 24 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:28

Mentre il flusso migratorio in fuga dall’inferno in terra, attraversa drammaticamente il nostro presente, il cinema torna a riflettere sul senso di smarrimento e precarietà che spinge a quarantene ‘volontarie’.

La nostra quarantena, diretto da Peter Marcias e sceneggiato da Gianni Loy muovendosi tra reltà e finzione, il mondo dell’immigrazione e quello del lavoro (precario), torna al maggio 2013, nel porto di Cagliari, con 15 lavoratori marocchini entrati in sciopero per difendere e conservare il loro lavoro, per recuperare i salari arretrati, rinunciano volontariamente alla loro libertà rendendo la nave una sorta di casa dove dormire, mangiare, pregare, rispettare il Ramadan e sperare nel futuro.

La quarantena ‘volontaria’ di un gruppo di immigrati che fa eco alla confusione di Salvatore (Moisä Curia), studente universitario di Roma che ne segue le vicende e condivide lo smarrimento, immaginando di dover lasciare l’Italia, con una ricerca affidatale dalla sua docente Maria (Francesca Neri).

Il film drammatico, interpretato da Giancarlo Catenacci, El Moudden Ahmed, M’Kaddem Abdellatif, Piero Pia, Ayad El Houcine e Chajire Azeddine, insieme al giovane Moisè Curia e Francesca Neri, è prodotto da Camillo Esposito per Capetown Film in collaborazione con Ultima Onda, e realizzato con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, Fondazione Anna Ruggiu Onlus e Zena Film.

Dopo la partecipazione alla 32° edizione dell’Alexandria International Film Festival (Mediterranean Long Narratives Competition – Opening film), alla 51a edizione del Pesaro Film Festival 2015 (Evento Speciale) e il 20° Milano Film Festival ( The Outsiders), La nostra quarantena arriva nelle nostre sale dal 15 ottobre 2015, distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

[quote layout=”big” cite=”Gianni Loy]Il mare è simbolo. Separa e unisce due mondi, è confine e allo stesso tempo è autostrada, troppo larga perché i controlli possano evitare la disperata rincorsa di decine di migliaia di donne e uomini, bambini, che la attraversano con mezzi di fortuna. Mai nessuna statistica rivelerà il numero delle persone che hanno addormentato i loro sogni in fondo a quel mare. [/quote]

La nostra quarantena: voci dalla nave

L’amicizia
Ho conosciuto tanti amici. Una persona normale non può restare senza amici, non può stare sulla nave seduto a non fare nulla…

L’ospitalità
Tutti mi mostrano rispetto, nonostante la situazione che viviamo qui sulla nave. La città è molto bella. Da poco è stata visitata dal Papa, ed è raro che si veda un Papa che visita una città.

I sogni
L’ho fatto sia per il lavoro, sia per i sogni. L’ho fatto per arrivare a ciò che aspiravo…. il padrone ha fermato ciò che volevo realizzare: ha fermato la realizzazione del mio sogno.

Il lavoro
Il lavoro è tutto. Se una persona non lavora è come dire “non sei nessuno”. Il lavoro ti rende uomo. Il lavoro è dove realizzi la tua forza. Immagina una persona grande e grossa come un cammello che va a chiedere l’elemosina agli altri. Meglio il lavoro.

I diritti
Siamo qui bloccati da quasi otto mesi e senza il nostro stipendio. L’unica cosa che pretendo da questo sciopero è veder affermare i miei diritti. Non abbiamo scioperato perché contro il padrone ma semplicemente per avere ciò che è nostro diritto avere.

L’emigrazione
La clandestinità non c’è solo in Europa, Ma anche in America. Ovunque tu vada, in tutto il mondo, c’è sempre qualcuno che emigra. Se nel nostro Paese trovassero qualcosa di giusto, non emigrerebbero. Ognuno ha i propri pensieri.

Il denaro
I soldi non sono tutto, non è tutto quello che si cerca nella propria vita, anzi si cerca di incontrare altri mondi, si cerca di migliorarsi, di svilupparsi, cercare nuovi concetti, nuove informazioni, si cercano molte cose. La vita no è solamente avere dei soldi.

[quote layout=”big” cite=”Il comandante della capitaneria di porto di Cagliari]Solamente grazie all’autorità portuale, a piloti, ormeggiatori, rimorchiatori, agenzie marittime, privati cittadini, associazioni di volontariato, si è potuto consentire a questi marinai non solo di lavarsi e mangiare, ma di fare quello che tutti facciamo regolarmente a casa propria: sopravvivere in condizioni di dignità, decenza, pulizia, ordine, sicurezza. [/quote]

La nostra quarantena: note di regia

Sono partito da un fatto di cronaca, quello della nave Kenza sotto sequestro per mesi. Un episodio dal quale si sviluppa poi il tema centrale del film che sposta l’attenzione su una questione semplice, se vogliamo perfino banale: come può un giovane studente italiano e prossimo alla ricerca di un’occupazione, addentrarsi in un terreno complesso e spinoso come i diritti del mondo del lavoro. Di qui parte La nostra quarantena, che getta uno sguardo sul nostro paese immobile e nello stesso tempo “porto” di migrazioni.
Su quella nave la città di Cagliari sembra lontana, il mondo solo un’ombra fugace. L’unica vera realtà è il tempo, un tempo che scorre incessante ed impietoso, che assiste alla rappresentazione di un piccolo dramma che simboleggia il dramma universale del lavoro.
Ho provato a mettere in luce la sospensione dei corpi, la paura. Insieme però alla bellezza del nostro paese, alla ricerca di una verità e soprattutto dell’incomprensione che attraversa l’identità dei “nuovi individui” racchiusi come in “quarantena”.

Peter Marcias

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Via | Istituto Luce Cinecittà – Studio Nobile Scarafoni