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Always Shine: recensione in anteprima del film di Sophia Takal

Tra Lynch, Bergman e De Palma, Sophia Takal trova uno stile sensuale per mettere in scena la rivalità e le invidie di due amiche attrici. Perfetto double bill per Queen of Earth, Always Shine è elevato da una prova magistrale di Mackenzie Davis, premiata a Tribeca. Una delle sorprese indie dell’anno.

pubblicato 26 Aprile 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 12:07

L’industria del cinema Americano sta vivendo un momento di subbiglio per la mancanza di diversity in tutti i suoi reparti. Dal whitewashing (ultimo esempio fra tutti, Scarlett Johansson in Ghost in the Shell) alla normalizzazione delle storie LGBT (The Danish Girl, Stonewall), la discussione è più accesa che mai. Per quanto riguarda le quote rosa, il tutto si era particolarmente infuocato l’anno scorso durante il discorso di Patricia Arquette agli Oscar sulla disparità degli stipendi per le attrici rispetto ai colleghi maschi.

Always Shine sembra quindi porsi immediatamente come un film del suo tempo e sul suo tempo: dopotutto il cuore pulsante dell’opera seconda di Sophia Takal è la competizione tra due attrici, amiche ma ovviamente – soprattutto per fattori esterni – portate a farsi guerra. Beth a suo modo se la cava, riesce a vivere del suo lavoro nonostante in fondo non vada più in là di ruoli in qualche horroretto. Comunque se la cava meglio di Anna, che al massimo puì aspirare a partecipare (gratuitamente) a un corto.

Il cuore di Always Shine è quindi tutto femminile, anche se (sorpresa!, almeno per chi non conosce questo duo indie di Brooklyn) la sceneggiatura è scritta da Lawrence Levine, compagno e collaboratore della regista. La rivalità, le invidie, i sentimenti taciuti, implosi e che poi inevitabilmente scoppiano sono di certo una ventata di aria fresca in un panorama dominato troppo spesso da storie di maschietti. Va da sé che i paragoni con Queen of Earth siano inevitabili.

Un po’ perché anche nello straordinario film di Alex Ross Perry di base c’era una storia di rivalità femminile e un’amicizia che si sgretolava. Ma soprattutto, ed è questo il fattore principale che accomuna per davvero i due film, tanto che bisognerebbe già programmarne un double bill, è la forma a spiccare: lì dove Perry guardava a Polanski e certi b-movie americani degli anni 70, Sophia Takal punta pure più in alto con chiari riferimenti a Lynch e Bergman.

Il doppio, in Always Shine, sembra venir dritto da Mulholland Drive, anche per la costruzione narrativa in due tempi, e addirittura da Persona, di cui si sentono i riflessi in decine di inquadrature. Citazionismo fine a se stesso? Ma la fonte principale della regista mi pare essere De Palma: la regista sa di nutrirsi di cinema che già esiste, e lo rimastica a proprio piacimento creando un’estetica che è innanzitutto pura sensualità cinematografica.

Quando il montaggio si fa frenetico, e schegge (di follia?) si intromettono fra i sinuosi pianisequenza, hanno davvero l’effetto di una coltellata in testa. Questo è cinema che vuole certamente dire qualcosa del proprio tempo, e che avrà pure una certa urgenza che nessuno vuole negare, ma lo fa innanzitutto pensando al godimento dell’estetica. Gli entusiasmanti e inquieti primi minuti, e i richiami speculari di alcune scene con Anna che ‘ripropone’ momenti già visti con Beth, sono sono alcuni pezzi di un puzzle che fa della forma il suo punto di forza.

Certamente lo stile è più forte ed equilibrato della storia, che nel suo evolversi potrebbe risultare meno convincente di quel che aveva promesso. Eppure al personaggio di Anna, vera protagonista del film – come Naomi Watts in Mulholland Drive -, ci si crede sempre e comunque. È un personaggio che vive in un contesto che si nutre di cinema, nella sostanza e nella forma, ma che pulsa e ribolle di emozioni vere, di invidie che tutti possono capire in un istante.

Questo succede certo grazie alla sensibilità notevole di Takal e Levine, che in parte riscrivono alcune cose successe davvero alla regista quando faceva l’attrice. Ma se con il personaggio di Anna si entra subito in empatia, anche quando la storia sembra sbandare un po’, è grazie alla prova superlativa di Mackenzie Davis, giustamente premiata a Tribeca. Ci fosse una giustizia nella corsa agli Oscar, la Davis dovrebbe essere già in mezzo al discorso e tenuta seriamente in considerazione. Ma vi vedete una nomination agli Oscar per un’attrice nel ruolo di un’attrice frustrata e schiacciata (anche) dal sistema maschio-centrico? Ecco.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]

Always Shine (USA 85′, thriller 2016) di Sophia Takal; con Mackenzie Davis, Caitlin FitzGerald, Lawrence Michael Levine, Alexander Koch. Sconosciuta la data di distribuzione italiana.