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Cannes 2016, Sieranevada: recensione del film di Cristi Puiu in Concorso

Festival di Cannes 2016: un funerale in casa si trasforma in un’occasione, presumibilmente l’ennesima, per acuire i già precari equilibri famigliari. Christi Puiu porta a Cannes un film beffardo, grottesco, girato meravigliosamente per lo più all’interno di una casa

pubblicato 12 Maggio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 11:31

Il nostro giudizio è sbagliato perché abbiamo paura.

Un neurologo è al rientro a Bucarest da Ginevra. Passa a prendere la moglie perché deve andare a casa della madre: il papà è morto da poco. Giunto in loco, tutti aspettano il prete che sembra non arrivare mai. Poco alla volta, cominciamo a prendere confidenza con la famiglia del dottore appena tornato dalla Svizzera, sebbene i gradi di parentela tendano a sfuggirci.

Già qui sta l’abilità di Cristi Puiu, che ci getta nella mischia catapultandoci in questo angusto appartamento stile vecchio, in cui una decina di persone interagiscono per motivi che da principio non sono chiari. Sieranevada questo è, uno spaccato di vita familiare ripreso praticamente dal vivo; un segmento, fatto di storie più che di una storia.

Non è alla drammatizzazione che punta il regista rumeno, optando per un approccio più di tipo documentaristico; è questo il motivo per cui per entrare ci si mette un po’, perché è come se si venisse ospitati per la prima volta da questi personaggi che in fondo sono delle persone molto ordinarie. Non se ne tragga però un lavoro che giochi in alcun modo sulla spontaneità, anzi.

Di solito ritengo sia meglio evitare, dalla prospettiva di chi osserva, da spettatore, di concentrarsi troppo sulla fatica di chi il film l’ha fatto, dallo sceneggiatore in su o in giù: si dice che conti solo quanto si vede sullo schermo. Solo che Sieranevada ti obbliga a farlo, perché dietro a quella naturalezza, quell’organicità vi è una messa in scena notevole. Quasi fosse un flash mob, tutto è calcolato ed eseguito in maniera scrupolosa eppure nient’affatto posticcia: ciò che accade sembra semplicemente reale, né più né meno.

Girato con una precisione encomiabile, con questa macchina da presa che segue da ferma l’azione, indugiando ora su un’ala della casa ora su un’altra, attraverso una serie di pianosequenza più o meno lunghi. È un film di porte che si aprono e che si chiudono Sieranevada, dove ad ogni stanza corrisponde una vicenda, che riguarda di volta in volta i singoli.

A dire il vero non è gratificante il ritratto di questa famiglia talmente sfibrata che non riesce nemmeno ad organizzarsi per sedersi a tavola tutti insieme e cominciare a mangiare. Cami, la più giovane, porta in casa una sconosciuta che non fa altro che vomitare; Tony s’intrufola per farsi ragione di un presunto pompino ricevuto, o per lo meno così dice sua moglie; il fratello di Cami non è affatto convinto della versione ufficiale sull’11 settembre, e via così, sulle note di Maledetta Primavera.

In poco meno di tre ore, non poche, c’è di tutto e di più, senza enfasi, senza abbellimenti, per quanto non manchi il grottesco e l’insolito ma verosimile. Un momento si discute di politica, della Romania di Ceausescu, quello dopo ci si accapiglia su argomenti di gran lunga più triviali. Poteva venirne fuori uno spaccato pregno di noia ed inutili pretese, mentre invece Sieranevada pulsa vita senza scendere a compromessi.

E se, malgrado tutto, lo si segue fino alla fine, lo si deve proprio a come Puiu avvicina i suoi personaggi, a certe misure all’apparenza semplici ma estremamente efficaci. Si sorride, si ride, con loro e di loro, una famiglia che di perfetto non ha nulla e che proprio per questo è credibilissima. Poi, proprio quando sembra che ci si stia per affezionare ad alcuni di loro, alle loro debolezze, i loro lamenti… puf… di colpo è tutto finito. Pienamente convinti, però, che la loro vita continui anche al di là dello schermo. Primo film in Concorso qui a Cannes, questa edizione parte ingranando subito la quarta.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

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