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Cannes 2016, Elle: recensione del film di Paul Verhoeven in Concorso

Festival di Cannes 2016: Elle è un film che spazia tra i generi per approntare un discorso sui sessi lucido e pertinente, con un’eccezionale Isabelle Huppert, sulla quale Verhoeven modella e scolpisce la sua imperscrutabile protagonista

pubblicato 21 Maggio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 11:05

Riuscite ad immaginare una commedia che si apre con uno stupro? Beh, noi forse no, ma Paul Verhoeven sì, ci riesce. Non solo. La realizza pure. Cerchiamo però di non fuorviare più di tanto; l’ultimo film del regista olandese è l’ennesimo in questa edizione a stravolgere i generi pur attenendovisi. Non li nega, come fa Assayas in Personal Shopper, piuttosto li trascende. Ci gioca insomma.

Michèle (Isabelle Huppert) è una donna indipendente, facoltosa, a capo di una software house di videogiochi. Succede che un uomo incappucciato irrompe nella sua abitazione e la violenta. È la prima sequenza, su cui Verhoeven lavora benissimo: schermo nero, oggetti che cadono a terra e si rompono, gemiti e urla, primo piano su un gatto meraviglioso… e poi, solo allora, l’inquadratura della Huppert e del suo stupratore a cose fatte. Da quel momento Michèle continua ad essere contatta da questo suo ammiratore, e la dinamica principe riguarda proprio l’indagine della donna che vuole scoprire l’identità del suo aggressore.

Classico episodio à la Haneke, sebbene qui venga anticipato a tal punto da mantenerne appena il tenore. Di lì a poco si capisce che Elle va a parare da tutt’altra parte. Cinque minuti dopo sembra infatti che non sia accaduto alcunché; Michèle è tranquilla, si relaziona serenamente con tutti, sul lavoro così come a cena con ex-marito ed amici: «ho cercato di pensare ad un altro modo per comunicarvi questa cosa ma non l’ho trovato. Perciò… l’altro giorno sono stata vittima di uno stupro». Iniziale gelo, è il momento della verità: qui capisci che cosa è quest’ultima fatica di Verhoeven. I commensali si sincerano sulle condizioni di Michèle, le chiedono perché non abbia denunciato la cosa alla polizia; pochi istanti, finché non irrompe il cameriere col vino. Robert, il marito dell’amica, si comporta come se niente fosse, conferma che la bottiglia va bene e si blocca un istante, consigliando al cameriere di tornare dopo cinque minuti dato che “forse” non è il momento.

Elle è pieno di passaggi simili, capaci di stemperare anche la scena più tesa, più controversa, e ci riesce sempre senza eccezioni. Non si creda però che il punto stia nel farci ridere: quella di Verhoeven è una critica spietata, in cui il sarcasmo è usato come arma appuntita. Troppi gli strati, nessuna spiegazione. Certo, anzitutto è la borghesia a farne le spese: un pugno di alienati che vivono su un altro pianeta, dalle reazioni imprevedibili. Perché l’aspetto che più contraddistingue Elle sta proprio nella sua genuina imprevedibilità, in questo senso comportandosi come un ottimo thriller.

Ma come già accennato, Verhoeven qui trascende il genere, da cui pilucca a propria discrezione: ora il giallo, ora l’horror. Il discorso è però di portata ben diversa, e come sempre accade con questo cineasta, ha a che vedere coi sessi, sia presi a sé stanti che nel loro rapportarsi. Sebbene il titolo appaia piuttosto indicativo rispetto alla prospettiva adottata, decisamente femminile; Michèle incarna la donna emancipata per antonomasia, quella che non solo non dipende da nessuno bensì naturalmente portata ad imporsi con tutti, uomini e donne. Che sa gestire situazioni critiche, come quando uno dei suoi dipendenti fa girare in tutti i computer dello studio un video in computer grafica piuttosto sconcio che la prendere di mira.

Chiunque, in un modo o nell’altro, sono attratti da Michèle: e chi non brama di possederla (specie gli uomini, nei quali stimola impulsi anomali) non può che entrarci in competizione, come la fidanzata del figlio, che ingaggia una battaglia di cui a Michèle interessa proprio nulla. Ma sono talmente tante le tracce che vengono integrate a questa storia così perversa, glaciale in certi suoi meccanismi, che davvero ci si perde: quando aveva dieci anni la famiglia di Michèle divenne tristemente nota per via del padre, che in un momento di follia uccide 27 persone. Di quella vicenda rimane una foto di lei, una bambina di allora dieci anni, mezza nuda e con lo sguardo perso nel vuoto. Risale a quel momento la definitiva perdita dell’innocenza?

Elle ci parla pure di desiderio, quello che ci fa compiere qualunque cosa pur di appagarlo: «la vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose», dice la protagonista. Figura satanica, per spostarci su un livello evocato per niente a caso: in più occasioni Michèle ha modo di manifestare il proprio disprezzo verso il Papa, la Chiesa, Dio, fino a compiere un vero e proprio rito di auto-scomunica, maledicendo il successore di Pietro, le cui immagini passano in televisione. Compiaciuta, mentre ci tiene a comunicare ad uno degli ospiti di saperne abbastanza riguardo a certe pratiche: d’altra parte non dovrebbe sorprendere che sia proprio il demonio ad essere il più informato sulle “cose di Dio”.

La Huppert è perfetta, in tutto e per tutto. Le piccole e grandi battaglie che ingaggia costantemente con tutti, senza cedere di un millimetro, necessitavano di una presenza come la sua, apparentemente innocua ma al tempo stesso carica di quell’erotismo conturbante. Lei (Elle) è il mistero, il pericolo, qualcosa che ci attrae ma che non conosceremo mai abbastanza. Chiunque le si avvicina, in un modo o nell’altro, ne resta profondamente cambiato, in alcuni casi stravolto. Ma ciò che davvero colpisce è la spontaneità con cui affronta qualunque situazione con una calma inquietante, tipica di chi è su un altro livello, di chi sa e ha sempre e comunque la situazione sotto controllo.

Quello di Paul Verhoeven è un ritorno a tutti gli effetti. Il suo Elle è suo, per l’appunto, quantunque declinato in varie maniere, dal film francese al film di genere, passando per la sperimentazione. Perché anche a questo livello il film ha qualcosa da dire, ponendosi comunque sulla soglia dell’arthouse, per quanto accessibile. Ambiguo, stratificato, psicologicamente violento, Elle è un oggetto affascinante, a tratti irresistibile. Ha il sapore dell’ignoto, quel richiamo a cui nessuno può dirsi davvero refrattario. Eppure martella, mostrando la cattiveria, quella vera, senza però, giustamente, tentare di spiegarla.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”9″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”10″ layout=”left”]

Elle (Francia, 2016) di Paul Verhoeven. Con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Virginie Efira, Christian Berkel, Anne Consigny, Jonas Bloquet, Charles Berling, Lucas Prisor, Vimala Pons, Raphaël Lenglet e Judith Magre.

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