Home Recensioni The Legend of Tarzan: recensione in anteprima

The Legend of Tarzan: recensione in anteprima

Non basta la ricca veste a colmare la debolezza di The Legend of Tarzan, in bilico tra tra spettacolo ed anacronismo storico. Debole ritratto di una leggenda rivisitata in chiave allusivamente comics

pubblicato 8 Luglio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 09:23

Tarzan dopo Tarzan. Parte da questo semplice presupposto il film di David Yates, che dopo aver traghettato il fenomeno Harry Potter al suo epilogo, si ritrova fra le mani un progetto a suo modo ambizioso. Perché sì, The Legend of Tarzan è senz’altro un action-adventure teso a mostrare i muscoli a livello visivo, ma al tempo stesso non disdegna in alcun modo di affacciarsi su tematiche ben più complesse. Ed anche se la famosa lezione di Roger Ebert («se voglio conoscere la Storia leggo un libro, non guardo un film») si cerca di tenerla sempre a mente, certi discorsi vanno comunque contestualizzati.

John Clayton III (Alexander Skarsgård), quinto Conte di Greystoke e membro della Camera dei Lord, è oramai integrato nella civiltà; tutti però conoscono la sua vera identità, sanno che lui è Tarzan. La vita nella giungla rappresenta un passato che il nostro, non senza fatica e costanti ricadute, sta tentando in tutti i modi di lasciarsi alle spalle. Jane (Margot Robbie), la sua non meno celebre moglie e compagna, risente a propria volta della nostalgia dell’Africa, di quei passaggi e quelle persone con cui si è intrattenuta per così lungo tempo. Un giorno si presenta l’occasione di tornarci, su invito ufficiale di Leopoldo II Re del Belgio, e John, titubante, non si lascia convincere dai suoi pari bensì da George Washington Williams (Samuel L. Jackson), venuto dagli USA per indagare sulla possibile schiavitù che si sta consumando in Congo proprio ad opera dell’esercito e dei funzionari di Leopoldo.

Yates fa ricorso a tutta una serie di salti temporali all’indietro che c’informano della vita di John prima di conoscere Jane, quando insomma era ancora il Tarzan cresciuto ed allevato da una femmina di gorilla. La struttura ha un suo perché, assecondando l’intenzione di confrontarsi col mito (o, come dice il titolo per l’appunto, la leggenda) di un uomo figlio della giungla, una storia che in tanti conoscono e che perciò vale giusto la pena rievocare. Non a caso l’operazione è un’altra, muovendo le proprie premesse da titoli ben più blasonati. John deve tornare ad essere Tarzan, ossia uno del luogo, per poter scacciare l’avido e spregevole straniero.

Novello Lawrence d’Arabia, al nostro tocca unire sotto lo stesso vessillo tutte le comunità che vivono nella giungla, siano essi uomini o animali, rivolgendoli contro il nemico comune. Per riuscirci deve ricomporre fratture apparentemente insanabili, perché in quel mondo la natura ha il sopravvento e l’onta di un delitto o di un tradimento si paga a caro prezzo. Scatta qui il rimando a quel La Passione di Cristo, di cui lo statuario Tarzan diventa in qualche modo emulo, visto che il suo è un vero e proprio sacrificio, per quanto non gli costi la vita ma solo qualche bel livido (d’altro canto è curiosa la vaga somiglianza tra la locandina di questo Tarzan e quella del film di Gibson). Ciò che davvero stona però, o lascia quantomeno perplessi, è il risvolto eroico, che in questo caso assume i connotati del comics. John deve nuovamente indossare la “maschera” di Tarzan, che è un po’ la sua vera identità, spogliandosi di tutto per il bene della propria gente. Qui, se possibile, il lavoro appare addirittura maldestro, a prescindere dalla validità o meno di una simile intuizione, ad occhio e croce per lo più motivata dal periodo storico che l’industria dorata sta vivendo.

Ma i rimandi non si fermano qui, perché il villain di turno, il pessimo Léon Rom (Christoph Waltz), si pone come copia spudoratamente senza sfumature di Fitzcarraldo: vestito uguale, Rosario alla mano che usa come arma mica perché è religioso (beccatevi questa cattolici, insieme alla scontatissima battuta sul prete pedofilo: Chiesa cattiva!). La risalita lungo il fiume a bordo di un’imbarcazione simile a quella che compare nel capolavoro di Herzog dirà poco ai più, mentre in altri genererà uno strano retrogusto che non lascia certo un buon sapore. Certo, il contesto è quello del blockbuster hollywoodiano, ma non ci si deve rassegnare all’idea che l’ambizione sfrenata di un singolo passi sempre da due/tre uscite ad effetto (cattivissime!) e qualche mala azione (ancora più cattiva).

Ancor più amarezza rimane per via di un impianto visivo oggettivamente notevole, con scorci mozzafiato ed una computer grafica di altissimo livello. Lasciando perdere il 3D, The Legend of Tarzan gode pure di alcuni intermezzi spettacolosi, tra liane e strapiombi, botte coi gorilla ed altro ancora. Quello che ci resta precluso è invece ciò che il film l’avrebbe dovuto trascinare, ossia il dramma di quest’uomo incastrato tra due dimensioni, ed anche laddove il film s’avventura su territori meno rassicuranti (leggasi revisionismo storico e politica) lo fa con una timidezza ed una “correttezza” che vanificano qualsivoglia buona intenzione: dalla tribù che vuole fare la pelle a Tarzan, neri colorati di bianco, alla tirata d’orecchie agli americani per opera del personaggio di Samuel L. Jackson, il quale ammette che sì «quello che abbiamo fatto ai nativi americani non è stato tanto meglio» (grazie), passando per la già citata critica, tutt’altro che velata, a Leopoldo II, cristianissimo Re sul cui operato in Congo effettivamente aleggia più di qualche ombra. Tutte invettive figlie di un anacronismo storico che porta a un vicolo cieco.

Alla luce di quanto scritto si potrebbe avere l’impressione che The Legend of Tarzan sia opera pretenziosa, perciò meglio chiarire e fugare ogni dubbio: non lo è. Proprio per questo certe note appaiono forzate, quasi a voler per certi versi “nobilitare” un ritratto che non sembra averne tutto questo questo bisogno; peggio se, peraltro, lo spessore dei personaggi, dal protagonista in giù, passa da alcune laconiche battute o didascaliche situazioni. Ok, Tarzan non è uomo comune, parla agli animali e questi lo rispettano; non prendersi la briga di andare oltre solo perché la leggenda si è consumata prima degli eventi trattati nel film non ci pare rappresenti una ragione abbastanza valida.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

The Legend of Tarzan (USA, 2016) di David Yates. Con Alexander Skarsgård, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz, Margot Robbie, Djimon Hounsou, Casper Crump, Ella Purnell, Simon Russell Beale, Jim Broadbent, Lasco Atkins, Rory J. Saper e Christian Stevens. Nelle nostre sale da giovedì 14 luglio.