Home Festa del Cinema di Roma Roma 2016, Train to Busan: Recensione in Anteprima

Roma 2016, Train to Busan: Recensione in Anteprima

Un treno carico di zombie corre spedito da Seoul a Busan, mentre la Corea che si vede fuori dal finestrino cade dinanzi all’avanzare dei non-morti.

pubblicato 21 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:44

Campione d’incassi in patria con oltre 80 milioni di dollari incassati, il coreano Train to Busan è quest’oggi sbarcato alla Festa del Cinema di Roma con il suo ricco carico di zombie. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, e di fatto entrato nella storia del botteghino coreano con oltre 10 milioni di spettatori (mai successo prima), l’horror di Yeon Sang-ho uscirà nelle sale d’Italia grazie alla Tucker film.

Semplice ma innegabilmente intrigante il plot, che vede un virus diffondersi nel Paese generando non-morti assetati di sangue. Fin qui nulla di clamorosamente originale, se non fosse che Sang-ho segua i passeggeri di un treno partito da Seoul e diretto a Busan, unica città che è riuscita ad arginare l’epidemia con apparente successo. 453 km di paura, morti e distruzione, con i vagoni del treno sempre più carichi di zombie…

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«Vivi o muori: la lotta ha inizio». Tag line impeccabile per questo apocalittico horror che cavalca con successo la ritrovata mania per gli zombie, resuscitati grazie al boom tv di The Walking Dead. Velocissimi e affamati di carne umana come in 28 Giorni Dopo e World War Z, gli zombie coreani si trasformano quasi immediatamente al primo accenno di contagio, dipendendo dai propri occhi. Senza luce, infatti, non riescono a vedere appetibili umani, dovendo limitarsi all’ascolto. Evitato l’effetto splatter, Sang-ho si concentra sulle dinamiche umane che intercorrono tra i passeggeri di questo treno ad alta velocità assediato dai non-morti, seminando tra un cadavere e l’altro spiccate forme di egoismo, altruismo, meschinità e sacrificio. Dinanzi all’incubo degli zombie sono varie le reazioni che si succedono, abbracciando tutte le possibili sfumature tipiche dell’uomo. Redenzione compresa.

Dinamico sin da subito ma anche esageratamente prolisso, Train to Busan, come tradizione zombie-romeriana vuole, si fa metafora politica e sociale guardando alla poco limpida Corea di oggi, paradossalmente attaccata da un virus che non conosce distinzioni di razza nè di ceto sociale. Un’epidemia democratica che a bordo di un treno travolge qualsiasi vagone, che sia di prima o di seconda classe ha poca importanza. A scappare dinanzi al suo mortale incedere una coppia di anziane sorelle, un padre (probabilmente corresponsabile di quanto accaduto) con la figlia più piccola, un barbone, una donna incinta protetta dal muscoloso marito, un giovane giocatore di baseball e la sua fidanzatina, il controllore, il capotreno e un detestabile e sprezzante imprenditore. Sconosciuti costretti a farsi forza per sopravvivere ad una morte certa, mentre fuori dal finestrino il loro Paese brucia, dilaniato dalle proteste di piazza, dalle esplosioni e come detto dagli zombie.

Un treno simbolo di disuguaglianza sociale alla Snowpiercer di Bong Joon-ho, qui attraversato da cinismo, sensi di colpa ed egoismo. Sang-ho guarda al cinema di genere senza però scimmiottare i zombie-movie in salsa hollywoodiana, ampliando il proprio sguardo critico nei confronti della propria Corea, poi ripreso attraverso il prequel animato Seoul Station.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

Train to Busan (Corea, 2016, horror, Bu-san-haeng) di Yeon Sang-ho; con Gong Yoo, Jung Yu-mi, MA Dong-seok, Choi Woo-sik, An So-hee, Kim Eui-sung, Kim Su-an

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