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Ouija – L’origine del male: recensione in anteprima

Mike Flanagan mette a segno un altro colpo. Ouija – L’origine del male è horror competente ed inquietante il giusto

pubblicato 26 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:34

Alice Zander mantiene la propria famiglia, lei e due figlie, inscenando sedute spiritiche. A suo dire fa del bene, dando speranza a coloro i quali a lei si rivolgono per parlare con un caro defunto. Va da sé che, proprio in quanto regista di messe in scena, non crede più di tanto a spiriti e affini. Finché non acquista un’apparentemente innocua tavola ouija mentre si trova in giro per sbrigare altre commissioni e da lì cambia tutto. La piccola Doris diventa il canale attraverso cui gli spiriti di quella casa svelano il segreto di coloro che occupavano l’abitazione prima degli Zander.

Se c’è un merito che va riconosciuto ad Ouija, quello del 2014, è l’aver incassato talmente tanto da spingere a considerare un secondo capitolo, a dispetto dell’accoglienza della critica che lo aveva detestato. Ciò perché, messo in soffitta quel dimenticabile episodio, a ‘sto giro si è avuto modo di passare il testimone al regista di uno degli horror più interessanti degli ultimi anni, cioè Oculus. Il tizio in questione è Mike Flanagan, che quest’anno si è già intravisto con Somnia, film uscito direct-to-video anziché in sala. Ouija – L’origine del male, che è un prequel, conferma Flanagan come uno dei più affidabili in ambito horror, alle prese stavolta con il budget più cospicuo con cui ha avuto a che fare fino ad ora: 9 milioni di dollari.

Ma come sanno anche i piedi dei tavoli, l’horror è l’ambito che si presta più di tutti al low-budget, laddove altri sono i valori. Ok, tutti discorsi risaputi, infatti bisogna entrare nel merito. Flanagan a ‘sto giro sembra quasi volercelo negare l’horror, bazzicando per lo più la sponda del mystery movie, sebbene a tema possessioni; un compartimento, questo, su cui di recente si è speculato anche troppo e per lo più senza significativi colpi di coda. In Ouija 2 emerge però la maestria di chi il genere lo sa fare, senza abiurare agli strumenti tipici di chi ha le mani in pasta in questo settore, operando per sottrazione. C’è infatti poco spazio per lo spettacolo in senso stretto, a tutto beneficio di una vicenda che si sviluppa in maniera lineare ma non meno inquietante.

Inutile andare a ripescare le opere di cui Flanagan è debitore, ma sebbene la bimba posseduta non sia certo una novità da L’esorcista in giù, qui una delle intuizioni più brillanti sta proprio nella presenza della piccola Doris, nella sua espressione in particolar modo. Ci si serve di piccole cose, come delle pupille bianche a lato dell’inquadratura, col viso sfocato mentre in primo piano guardiamo altro, oppure una bocca che si spalanca in maniera innaturale. S’hanno d’apprezzare anzitutto certe misure in Ouija 2 (che, lo ripeto, è un prequel ambientato negli anni ’60), finanche sui titoli di coda, che scorrono come se li stessimo osservando attraverso la lente con cui gli spiriti comunicano indicando le lettere sulla tavoletta.

Solo da un certo punto in avanti Flanagan rilascia il potenziale horror del film, dando sfogo ad elementi classici e meno classici, indovinando tra l’altro pure il colpo di scena. A suo modo inserito pure nel tessuto sociale dell’epoca, quando ancora l’idea di una donna che si occupasse da sola dei figli rappresentava una fattispecie tabù, ed infatti emergono en passant i limiti ed i problemi di una situazione riguardo alla quale non si poteva fare affidamento sulla casistica. L’ingenuità di questa mamma, a conti fatti una sorella più grande delle sue due figlie, è un po’ motore dell’azione, e che Ouija 2 sia un film al femminile ce lo suggerisce, tra l’altro, il fatto che pressoché ogni stagione della vita è rappresentata, dall’infanzia alla vecchiaia, passando per l’adolescenza e la successiva età adulta.

La tensione sessuale tra Alice ed il sacerdote che s’interessa agli strani fenomeni in cui è coinvolta Doris risale un po’ a quel periodo, ossia alle paure e le criticità di un mondo che si stava capovolgendo, occasione per l’horror di inserirsi nelle pieghe sociali e umane e trarne fuori materiale su cui soffermarsi. In questo senso un film debitore di una lunga e tutto sommato fortunata tradizione, quella dell’horror in qualche modo influenzato dalla morale puritana, per cui il peccatore va castigato senza se e senza ma, specie quando si tratta del peccato più amato/odiato da quel tipo di cultura, ovvero quello a carattere sessuale. Ancora più inquietante alla luce del fatto che tale “punizione” passi dall’innocenza di una Doris gelosa e tendenzialmente androfoba una volta posseduta: «i bambini ci guardano», diremmo con De Sica. Fino a quell’ultima scena post-titoli di coda, quando ci si riappropria dei toni con cui Ouija è stato aperto e condotto per buona parte, ossia quelli del mistero.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Ouija – L’origine del male (USA, 2016) di Mike Flanagan. Con Elizabeth Reaser, Henry Thomas, Kate Siegel, Lin Shaye e Doug Jones. Nelle nostre sale da giovedì 27 ottobre.