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La cena di Natale: recensione in anteprima

Sulla falsa riga di Io che amo solo te, La cena di Natale cavalca le dinamiche da rotocalco televisivo cercando di accontentare un po’ tutti. Conciliante cinepanettone camuffato, in anticipo rispetto alla stagione classica

pubblicato 19 Novembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:04

Un anno e poco più dopo, l’allegra combriccola di Io che amo solo te torna ad affacciarsi nelle nostre sale. Il piccolo ecosistema di Polignano a Mare è tale e quale l’abbiamo lasciato la scorsa volta: nessun equilibrio è saltato, i personaggi coltivano gli stessi pregi e difetti e a dicembre non fa nemmeno troppo freddo. Una novità però volendo c’è: Paolo (Riccardo Scamarcio) e Laura (Laura Chiatti) stanno per avere un bambino. Non solo. Paolo si appresta a prendere le redini dell’azienda del padre, Don Mimì (Michele Placido), la qual cosa scombussola non poco il suo già precario equilibrio. La risposta sta nell’ennesima relazione extra-coniugale con la bella e a dire il vero provocante Lara. Non solo, perché il tira e molla tra Don Mimì e Giovanna sia appresta a registrare una nuova impennata.

La cena di Natale, così come il prequel, è anche film di personaggi che entrano ed escono con ragguardevole disinvoltura, in cui ciascuno sta in luogo di qualcos’altro, una categoria, una fattispecie, un tipo. Emerge ancora una volta il disinteresse per la storia, per raccontarne una insomma, preferendo procedere per singoli episodi dallo sviluppo forzato, sostanzialmente perché asservito al desiderio di mostrare un ambiente e certi suoi meccanismi mediante la collezione di situazioni tipo, non necessariamente collegate tra loro.

Un film corale, che mette dentro di tutto, cadendo ancora una volta nell’equivoco già espresso in sede di recensione di Io che amo solo te, ossia proporre un cinema medio che cerchi di accontentare tutti (e per tutti s’intende proprio tutti). Tale è l’impressione di un’operazione costruita a tavolino, frutto di tutta una serie di compromessi e bilanciamenti esterni al racconto, che non si può non avvertire quel senso di rarefazione televisiva di cui quest’ultimo lavoro di Marco Ponti è intriso fino al midollo. E certo che in alcuni frangenti si sorride, perché malgrado tutto si è riusciti ancora una volta a raggruppare un cast di buoni attori, altro che gente improvvisata. Placido, Gerardi, Attili, Calzone, Pivetti (e perché no? Lo stesso Scamarcio)… sono loro a coprire le seppur vistose falle di un progetto il quale a loro si affida anima e corpo.

Eppure nemmeno quest’ultimi possono granché davanti a un dispositivo che alterna momenti “alti”, come la contrapposizione tra famiglia tradizionalmente intesa e quelle di più recente concezione, a momenti “bassi”, il cui emblema sta in uno dei rutti della Riccobono. Di nuovo, però, nella misura in cui si aspira alla riflessione (senza però evocarla in maniera troppo convinta, sai mai che la gente s’indispettisca e dia agli autori del «noiosi», «musoni»), La cena di Natale maneggia troppo rozzamente il suo materiale. Lungi da noi avversare i luoghi comuni, i cliché, ché se tali sono un motivo deve pur esserci; ma davvero, quando vedi il parroco, t-shirt di Amnesty ben in vista, ad una consigliare implicitamente di rovinare un matrimonio, per poi promettere ad un altro sonori ceffoni qualora non la smettesse d’infilarsi nel letto di signorine che non sono sua moglie, beh… si capisce che la morale non è soltanto incerta, confusa, ma proprio distorta. Volutamente.

Non si tratta perciò di voler fare le pulci ad una componente passata al setaccio in maniera deliberata: è il film ad inerpicarsi lungo queste salite troppo ripide rispetto alla capacità di scalarle. Il processo messo in atto si sostanzia perciò nella gratuita trivializzazione di discorsi in alcuni casi pure vecchi: il maschio italiano irrimediabilmente infoiato, l’omosessuale un po’ macchietta, la parvenu cafona ed insopportabile e via discorrendo. Ogni tanto, come già accennato, viene fuori pure un nuovo personaggio, tipo un’ex-prostituta che ora fa la cameriera in attesa del grande amore che contribuisca al definitivo riscatto; salvo poi scomparire con la medesima estemporaneità con cui era apparsa.

La seppur calorosa atmosfera natalizia, va da sé rotta da una serie di eventi sgangheratamente realisti (dunque non necessariamente “realistici”), da un lato trasmette quella familiarità che fa gioco, dall’altra, consapevolmente o meno, disvela il progetto per quello che è, ossia un cinepanettone camuffato, in anticipo rispetto alla stagione tipica di questo genere di produzioni. Poiché in fondo anche da quella formula lì, verso cui gli italiani si sono man mano sempre più disaffezionati, si vuole prendere le dovute distanze: ennesimo indizio circa la sfrenata ambizione di confezionare un prodotto quanto più bilanciato possibile, nell’accezione commerciale del termine. Ed in tal senso va riconosciuta una certa furbizia, perché gli autori sanno che oggigiorno il popolo a cui si rivolgono si divide tra l’antico e il nuovo: liberali nei modi forse, ma di fondo sempre conservatori.

Anche qualora però queste due anime non coesistessero, La cena di Natale si premura di tenere conto anche di tale eventualità, fornendo sufficienti ragioni all’una e l’altra categoria per seguire il discorso senza particolare indignazione, anzi. Le dinamiche ed in generale l’atmosfera mutuate da quanto passa certa televisione fanno il resto, nel tentativo, a prima vista finanche nobile, o comunque condivisibile, di mobilitare il popolo del rotocalco catodico verso le sale. Un esodo che entro una certa qual misura può pure far bene, se non altro alle casse del nostro cinema. Quanto alle ripercussioni su altri fronti ci si consenta di dirci quantomeno perplessi.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

La cena di Natale (Italia, 2016) di Marco Ponti. Con Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Michele Placido, Maria Pia Calzone, Antonella Attili, Eugenio Franceschini, Antonio Gerardi, Veronica Pivetti, Eva Riccobono e Dario Aita. Nelle nostre sale da giovedì 24 novembre 2016.