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Silence: recensione in anteprima del film di Martin Scorsese

Il film che Martin Scorsese voleva girare da tanto. Dopo anni e anni, Silence ha finalmente visto la luce del giorno, e farà parlare di sé per molto tempo. Un capolavoro annunciato eppure mancato, un film imponente che merita rispetto e chiede anche un po’ di riverenza.

pubblicato 22 Dicembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 03:16

Nero. Il suono della natura e delle cicale che si fa sempre più imponente e assordante. E poi uno stacco netto sul titolo: in assoluto silenzio, Silence. In pochi secondi c’è tutto quello che serve a Scorsese per fissare l’atmosfera al livello giusto. C’è tutta l’angoscia violenta di un percorso che incombe e che sarà tutto in salita, così pieno di nebbia che sarà difficile vedere, osservare e capire per davvero.

Silence è il passion project di una vita che Martin Scorsese ha provato a girare per anni. È, a conti fatti, la sua ultima tentazione. Il suo film meno scorsesiano, a prima vista, ma L’ultima tentazione di Cristo e Kundun non stanno lì per caso (e come se la religione non fosse parte della vita del regista e al centro di molte sue opere). Di sicuro Silence spiazza soprattutto perché viene dopo un pellicola come The Wolf of Wall Street, opera ritmicamente sotto cocaina, e tutte le differenze tra le due possono lasciare disorientati.

Basato sul romanzo di Shûsaku Endô, scritto nel 1966, Silence racconta la storia di due missionari cristiani (Andrew Garfield e Adam Driver) che devono affrontare una grande prova di fede. Quando si perdono le tracce di Padre Ferreira (Liam Neeson), i due decidono di partire per il Giappone alla ricerca del loro mentore, in un momento in cui il cristianesimo è stato messo fuori legge e la loro presenza proibita.

Si dice che il budget si aggiri attorno ai 50 milioni di dollari, e che tuttavia fosse assai minore di quanti in realtà un’operazione hollywoodiana del genere ne richiede. Però Silence è un tipo di film che a Hollywood non si fa più, ed è già un miracolo che il film esista all’interno del circuito delle major (un’operazione a suo modo simile, The Lost City of Z, è stata finanziata fuori dal sistema e distribuita da Amazon).

Se davvero il budget non corrisponde a ciò che un’operazione imponente come questa avrebbe richiesto, Scorsese lavora al meglio coi suoi collaboratori. Dante Ferretti fa un vero e proprio miracolo nel costruire il villaggio dove è ambientato in gran parte il film, e Rodrigo Prieto avvolge le sue inquadrature nella nebbia e regala alcuni fotogrammi che tolgono il respiro. Le sonorità atmosferiche, ventose e inquiete di Kathryn e Kim Allen Kluge fanno poi un lavoro di aderenza al sonoro impeccabile.

In Silence c’è insomma l’approccio di un regista della vecchia guardia che vuole fare cinema spettacolare come non se ne fa più, e si vede anche dalla produzione. Tutto è maestoso in Silence, e tutto è molto serio, questioni religiose ovviamente incluse. Chiedendosi innanzitutto cosa significhi dedicare la propria vita alla religione e alla sua propagazione, il film indaga di conseguenza anche sul peso politico dell’essere missionari.

Padre Rodrigues, interpretato da Garfield, viene costantemente messo alla prova, e ‘fisicamente’ si trasforma in un vero e proprio Cristo che sta vivendo la sua Passione. Arrivato in Giappone per ritrovare il mentore che tanto ha fatto per propagare la religione cattolica, Rodrigues si ritrova a essere lui stesso l’ultima speranza per una parte di popolazione che non vuole cedere al compromesso, sia esso calpestare un’icona sacra o pronunciare una bestemmia (sarà curioso vedere come adatteranno il doppiaggio italiano in una certa scena…).

Il prezzo da pagare per Rodrigues è quello di assistere a violenze e torture su innocenti. “Il prezzo della tua gloria è la loro sofferenza”, gli dice a un certo punto Inoue, l’Inquisitore che terrorizza il villaggio. Ma il percorso di Rodrigues è un atto di fede in tutto e per tutto. Però Scorsese non parla solo di grandi dilemmi religiosi, perché mette chiaramente in scena anche uno scontro fra culture e tradizioni fondate su secoli di Storia diversa. E anche nell’impossibilità di scendere a compromessi da entrambi le parti sta il cuore di tenebra di Silence.

Pieno di scene di maestria totale, come quella in cui Rodrigues – prima di essere preso ostaggio dei Giapponesi – impazzisce specchiandosi in un ruscello e vede la faccia di Cristo riflessa, Silence è un film che chiede molto e non sempre raggiunge le vette che sperava. Il film originariamente doveva durare più di 3 ore, e ora si ferma sotto i 160 minuti. Si vede che Scorsese e la fidata Thelma Schoonmaker hanno faticato in fase di montaggio, o perché dovevano rispettare una scadenza o perché il respiro che cercavano era paradossalmente troppo ampio.

Forse ci voleva ancora un po’ più di lavoro e, soprattutto, meno adesione letterale al testo: anche senza aver letto il libro, si intuisce che intere sezioni e dialoghi sono stati riportati fedelmente. Soprattutto l’uso della voce off di Rodrigues è esageratamente presente e vuole spiegare troppe cose. Mi sembra che Scorsese si fidi ancora del suo sguardo vecchio stile, mentre non creda fino in fondo nel pubblico. Silence non è certo una passeggiata di film, evidentemente: ma a questo punto ci voleva un approccio ancora più radicale e più… silenzioso.

Scorsese e Jay Cocks (co-sceneggiatore, e già collaboratore del regista in due period movies come L’Età dell’Innocenza e Gangs of New York) azzeccano però una parte finale molto potente e persino toccante, con un’immagine finale che scatenerà interpretazioni. Mentre ciò che viene prima può far storcere un po’ il naso, tra macchiette giapponesi (lo è un po’ l’Inquisitore di Ogata, ma a bilanciare c’è la presenza magnetica di Shin’ya Tsukamoto) e un indugiare sul torture porn emotivo a volte un po’ dubbio.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”7″ layout=”left”]

Silence (USA 2016, drammatico / storico 159′) di Martin Scorsese; con Liam Neeson, Andrew Garfield, Adam Driver, Ciarán Hinds, Tadanobu Asano. In sala dal 12 gennaio 2017.