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Power Rangers: recensione in anteprima

Non riuscito il processo di cosmesi per uno dei fenomeni più significativi degli anni ’90, i Power Rangers respiravano molto meglio in acetato anziché nelle elaborate e “false” armature di questa nuova versione

pubblicato 31 Marzo 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 00:41

Una sigla, un contesto da campagna Benetton, ed un robottone, Megazord, che non si faceva mai attendere troppo. Il fenomeno Power Rangers oggi sembrerà inspiegabile, come non pochi altri che si sono succeduti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90; un franchise che, stando a quanto riportato su Wikipedia, al 2001 aveva già generato introiti per 6 miliardi di dollari. Non fa specie perciò che per questo secondo lungometraggio, reboot del primo uscito ventidue anni or sono e con gli stessi attori della fortunata serie di allora, di dollari ne siano stati spesi 100 milioni.

In che contesto arriva però questo film? Non è poi così irrilevanti porsi questa domanda, perché i Power Rangers appartengono ad un immaginario fortemente ancorato all’epoca in cui s’impose, componente a cui deve molto del proprio successo. Al 2017 si arriva con alle spalle un carrozzone di riferimenti ed istanze ineludibili, sulle quali un progetto siffatto non può certo glissare: anzitutto, lato cinema, l’imporsi dei Transformers di Michael Bay, che hanno volente o nolente imposto un’immaginario ultra-pompato, in cui la pratica della computer grafica appare connaturata, pena non esistere proprio. Trattasi di un elemento sostanziale, che stravolge un’impianto visivo, quello dei Power Rangers a metà degli anni ’90, che per un motivo o per un altro si basava su un’artigianalità magari sghemba ma nondimeno determinante.

Su altri fronti, imprescindibile l’accenno a tematiche vieppiù incalzanti, da cui la concessione sul fronte LGBT ed autismo, portando avanti quel processo di normalizzazione impensabile fino a qualche anno fa e che per la prima volta invece investe pure un film sui supereroi. Timide integrazioni che però vanno pur sempre registrate, anche in un contesto in cui si ha a che fare con personaggi scarnificati all’inverosimile, volti prestati a idenkit piuttosto standard. Sì perché se i Power Rangers rappresentano qualcosa che ha a che fare con gli anni ’90, John Gatins torna al decennio precedente quanto ai toni; il film da lui scritto è una sorta di riedizione di certi teen movie che hanno segnato gli ’80, già a partire dalle prime sequenze, contraddistinte da una forte eco à la Sixteen Candles, film cult di quel periodo: Jason e Billy si conoscono nella classe di recupero, dove vengono mandati tutti quei ragazzi su cui gravano provvedimenti disciplinari. Il riferimento torna più avanti, quando i cinque ragazzi si trovano davanti ad un falò per raccontarsi l’un l’altro le rispettive disavventure, mostrandosi per ciò che realmente sono, o per meglio dire, come realmente si percepiscono.

La storia non cambia granché. Zordon ha già salvato una volta il nostro pianeta ben 65 milioni di anni fa dalla minaccia di Rita, Ranger ribelle la cui disfatta di allora non è servita a stroncarla del tutto. Ora gli amuleti del Potere cercano dei nuovi proprietari, ragazzi degni di portarli; Jason, Kimberly, Billy, Zack e Trini sono i prescelti, dunque stavolta toccherà a loro sventare la minaccia (pari a dieci bombe atomiche, ci viene detto). Prima però devono legare, diventare una famiglia anziché un gruppo di cinque sconosciuti: solo così possono attingere al potere degli amuleti, che consente loro d’indossare quelle armature senza le quali è impensabile affrontare la sfida alla quale sono chiamati.

L’unione fa la forza, bisogna accettarsi per ciò che si è e via discorrendo, questi sono insomma i leitmotiv di un film che non ha granché da dire, dovendo affidarsi per lo più allo spettacolo. Il punto però è che questo nuovo Power Rangers è operazione concettualmente sbagliata a priori, poiché, che lo si conosca o meno, si risolve in un’involontaria parodia del trash, laddove la forza della serie stava proprio nel suo essere trash tout court. Quindi il processo di svecchiamento non fa che acuire quella sensazione di posticcio, già abbastanza stimolata senza bisogno di appiccicarci sopra l’etichetta «siamo nel secondo decennio degli anni 2000»; di certo non si pretendeva quello smodato gesticolare prima, durante e dopo ogni battaglia, uno dei pochi elementi riconducibili al retaggio giapponese di questa saga.

Non per niente il film è come una pentola pronta ad esplodere da un momento all’altro, cosa che puntualmente avviene nella seconda metà, dopo che con un atteggiamento quasi zen è riuscito a tenere a bada l’inevitabile exploit. Non sono nemmeno così sicuro che il problema però stia tutto nell’esecuzione, quanto, come in parte già ravvisato, nell’idea di riproporre cose come, per dirne una, i Dinozord che formano Megazord, cercando maldestramente di rendere il tutto verosimile attraverso il ricorso alla computer grafica. Il passaggio dalla consistenza dei pupazzi e degli effetti speciali che davano loro vita, all’esasperata verosimiglianza in salsa CGI vanifica ogni buona intenzione a riguardo: Power Rangers a quel punto genera la medesima impressione che si ha davanti a un esperimento riuscito male, un freak à la Frankenstein, in cui più parti vengono messe insieme senza troppo discernimento.

Vano perciò è il tentativo d’infondere vita in una carcassa del genere, non importa quante toppe si cerchi di apporvi; anzi, più se ne cuciono sopra, peggio è. Un’operazione che soffre anzitutto la propria incertezza nel collocarsi, un po’ riedizione aggiornata un po’ fan service, senza tenere conto di quanto le due direzioni possano risultare in conflitto l’un l’altra. Un trattamento che produce un esito straniante, senza nemmeno garantire quel grado d’intrattenimento che doveva provvedere se non a compensare in toto almeno a bilanciare un po’. Ad ogni buon conto, niente dà contezza della portata di quest’operazione come il passaggio dalle tute in acetato della prima serie, alla plastica pseudo-raffinata ed inutilmente elaborata di questo nuovo Power Rangers; quanti bambini a carnevale chiederebbero oggi questi nuovi costumi ai propri genitori? Il senso sta tutto lì, o quasi.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”3″ layout=”left”]

Power Rangers (USA, 2017) di Dean Israelite. Con Dacre Montgomery, Naomi Scott, RJ Cyler, Becky G., Ludi Lin, Bryan Cranston, Elizabeth Banks, David Denman, Anjali Jay, Bill Hader, Fiona Vroom e Sarah Grey. Nelle nostre sale da giovedì 6 aprile 2017.