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Cannes 2017: L’amant double – recensione del film di François Ozon

Festival di Cannes 2017: storia molto più ozoniana, intricata e perversa rispetto a Frantz, ma in cui ci si sa anche prendere poco sul serio. L’amant double è film colto, elegante ed ironico

pubblicato 26 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 05:46

Sono trascorsi appena otto mesi dalla Mostra di Venezia, in cui Francois Ozon ha portato Frantz, film in costume e in bianco e nero ambientato subito dopo la Grande Guerra. Otto mesi, dicevamo, ed il regista se ne esce con questo L’amant double, che conferma un Ozon eclettico, colto, uno dei più cineasti tra i più cinefili in circolazione. Ma soprattutto non scontato, o per lo meno mai banale, anche quando affronta un tema su cui si è tanto scritto ed anche girato, ossia quello del doppio; reiterando il suo cinema, quello che rimesta nel torbido, tra il desiderio e la paura che ne deriva, con un’intelligenza effettivamente rara.

Chloé (Marine Vacht) s’innamora del suo psicanalista, Paul (Jeremie Renier), il quale evidentemente non può più seguirla. Il malessere di Chloé tuttavia sembra essere rientrato, così come alcuni sintomi, primo tra tutti un insolito dolore allo stomaco. Dopo i primi tempi di convivenza, tuttavia, la giovane torna a stare poco bene ed allora Paul decide d’indirizzarla da qualcuno che possa aiutarla. Da questo momento, tralasciando per filo e per segno le dinamiche, irrompe lo stesso surreale con il quale Ozon apre il film proprio nella primissima inquadratura: una vagina aperta durante una visita ginecologica, con dissolvenza su un occhio, trovata che è già un programma, non tanto in relazione alla tematica quanto ai toni.

Il regista francese riesce infatti a non prendersi affatto sul serio, senza per questo lasciarsi andare. Chloé scopre che Paul ha un fratello gemello, il quale in pratica fa pure lo stesso lavoro e perciò si fa carico del caso clinico della ragazza. La cura si basa essenzialmente su una cosa sola: fare sesso. Qui L’amant double entra in un reame del tutto particolare, in cui realtà e finzione appaiono sfumate come certi split screen à la De Palma, che oppongo a più riprese Chloé e Paul. È un gioco e Ozon lo conduce con estrema eleganza, relegando le sue intuizioni migliori alle scene più spinte, come il threesome immaginato o sognato dalla ragazza con i due fratelli, che si conclude in un modo che solo alla luce del finale assume un senso piuttosto univoco.

In un continuo avvicendarsi di depistaggi, in cui poco o niente è del tutto chiaro, Ozon cavalca tale ambiguità senza cedere pressoché fino alla fine, senza risparmiarci la venatura umoristica di alcune scene, in particolare quelle in cui ci sono dei gatti, in primis quello di Chloé, Milo (che è un po’ uno strano ritorno, a sua volta inquietante, dato che è quasi identico al gatto con cui si apre Elle di Paul Verhoeven sulla già celebre scena dello stupro; ed anche qui non è che il gatto in questione ne veda poche). Uno degli aspetti che colpisce più in positivo è la capacità che ha Ozon nel mantenere il controllo su del materiale così instabile, che nelle mani di tanti altri si dimenerebbe a tal punto da sfuggire del tutto.

Certo, a questo regista si può per certi versi rinfacciare un certo distacco, dovuto almeno in parte anche ad un approccio per lo più intellettualistico, denso di ragionamenti e rimandi. L’amant double non è da meno e conferma ancora una volta l’interesse di Ozon per soggetti che gli consentano di esplorare questo lato umano su cui, volente o nolente, non si riuscirà mai a scavare abbastanza. La sessualità come territorio del mistero per eccellenza, che non è concepibile attraversare senza venirne in qualche modo stravolti, come minimo trasformati. Un discorso che L’amant double ripresenta sotto forma di un prodotto classico ma che su tale classicismo non si appiattisce, fascinoso per come affonda nella tematica giocandoci anche un po’, stemperando perciò toni che diversamente l’avrebbero oltremodo appesantito.

Insomma, Ozon si diverte e di conseguenza anche noi, sottoponendoci a certe trovate su cui in altri contesti avremmo senz’altro avremmo scagliato le critiche più feroci (alcune di queste le abbiamo già evocate sopra), ma proprio a partire da quei titoli di testa sdoppiati, che chissà in quanti altri casi avremmo digerito. Certo, il confine sul quale si muove L’amant double è alquanto pericoloso, sempre in equilibrio precario tra il thriller a sfondo sessuale sofisticato e la percepibile propensione a non indulgere in seriosità, rotta da ripetute svolte che in alcuni casi rasentano il trash. Dunque un film più per addetti i lavori, affezionati e “studiosi”, meno per un pubblico per forza di cose più distratto, legittimamente più orientato verso aspetti che Ozon a malapena sfiora. Solo che questo suo lavorare sul genere, o sui generi, piaccia o meno il risultato, è operazione che difficilmente si può fare a meno di rispettare per come riesce a condurla. In pratica quel soft-porn un pizzico demenziale che non t’aspetti.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

L’amant double (Francia, 2017) di François Ozon. Con Jacqueline Bisset, Marine Vacth e Jérémie Renier. Concorso.

Festival di Cannes