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Venezia 2017, EX LIBRIS – The New York Public Library: recensione del documentario di Frederick Wiseman

Festival di Venezia 2017: Wiseman ci conduce verso il futuro passando dal presente, svelando con discrezione cosa ne è e cosa potrebbe esserne delle biblioteche, concentrandosi su una delle più importanti d’America

pubblicato 5 Settembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:33

Tra la Fifth Avenue e la 42a Strada in quel di Manhattan si trova una delle istituzioni della Grande Mela, la Public Library. È qui che ci porta stavolta Frederick Wiseman: al momento giusto, verrebbe da dire. Il perché ce lo spiega il consiglio d’amministrazione stesso, quando discute in merito alla sempre più “necessaria” digitalizzazione di tutto il materiale a disposizione. Sorge qui un quesito pregnante: ha ancora senso una biblioteche nell’epoca in cui viviamo ed in quella in cui ci apprestiamo ad entrare? Un’ospite venuta dall’Europa, che di biblioteche ne ha girate tante e conosce la materia dato che si tratta del suo lavoro, ritiene vi sia un’errata concezione di questi luoghi, come se la loro ragion d’essere cominciasse e finisse nel raccogliere libri per la consultazione. Niente di più incompleto.

EX LIBRIS – The New York Public Library in fondo tiene fede a tale premessa per le oltre tre ore che dura. Ci si ritrova quasi sorprendentemente a vedere pochissimi libri, il che, in un contesto del genere, equivale quasi a non vederli. Si svolgono una miriade di attività presso la Public Library, ma quello della consultazione di testi sembra quasi secondario. Personaggi, famosi e non, intervengono intrattenendo gli intervenuti mentre rispondono alle domande di un intervistatore, siano essi poeti locali o Patti Smith ed Elvis Costello. La gente accorre numerosa, il più delle volte pare essere interessata, se non addirittura coinvolta, e di certo non è per darsi un tono; si percepisce questo non meglio precisato senso comunitario, che alla fine viene fuori espressamente, quando ad uno dei collaboratori sfugge che quello sarà un giorno per i figli di chi lo sta ascoltando un posto dove venire ad apprendere la verità; resosi conto della pericolosità dell’affermazione, si corregge, destreggiandosi pure abbastanza bene.

Nei film di Wiseman guardare non basta; bisogna perdersi. La macchina da presa si muove poco e sempre sulla medesima asse, come se lo spettatore fosse lì, stesse anche lui prendendo parte a ciò a cui assiste. A quest’ultimo non è richiesto di ricostruire alcunché, sia essa una trama o anche solo un filo logico, poiché a tutto ciò ha già pensato il regista, che ha preventivamente selezionato sequenze tra le decine e decine di ore di riprese condotte. Wiseman, per il tipo di cinema che fa, è uno dei quei (pochi) cineasti che dipende moltissimo dall’oggetto preso di volta in volta in esame. E si potrebbe pure obiettare che sia lui a scegliere l’oggetto, il che è vero. Però il suo approccio fa talmente tanto affidamento al “qui e ora” che senza la giusta risposta dell’ambiente anche a Wiseman non resterebbe che allargare le braccia. Nonostante ciò, a Wiseman resta praticamente preclusa la possibilità di girare un documentario che sia meno che interessante: e certo che In Jackson Heights appare più gagliardo e onnicomprensivo, ma non che questo scherzi.

Quanto appena rilevato, per dare contezza circa il metodo, che è poi la variazione di tema su cui EX LIBRIS si chiude, con quella citazione secondo cui «la maniera in ciò che facciamo ci definisce». Vale per tutti, ma a questo punto viene spontaneamente da chiedersi cosa se ne trae dall’applicazione di tale principio al “modo di fare” di questo regista, il quale osserva e raccoglie, seleziona, attraverso un processo che conduce verso una forma di documentarismo tra i più puri in assoluto. Ci dicono sempre qualcosa le immagini che ricava, purché si sia disposti a non piegarsi al mortificante assunto secondo il quale, dopo aver preso un po’ di familiarità con il luogo, non serve resistere fino alla fine; perché poi Wiseman ti piazza qualcosa come l’alternarsi di foto di personaggi celebri come Ezra Pound e Baudelaire a riprese dei volti di persone ordinarie, comuni, il tutto nel giro di pochissimi minuti. Ma anche da qui, in questa parentesi apparentemente gettata lì per riempire, c’è da capire, interpretare, poco importa se poi non si riesca a dare un senso linguisticamente compiuto rispetto a quanto ricevuto.

Le anziane ballano, certi stranieri imparano l’ABC sull’uso del computer, i bambini fanno finta di cantare motivetti strambi ai quali sembrano di gran lunga meno interessati che le mamme; altrove si distribuiscono dispositivi con un tot di Giga mensili di traffico internet, dato che a quanto pare vi è anche in quelle zone un’emergenza banda larga, nel senso che un certo numero di persone, per una ragione o per un’altra, sono tagliate fuori dalla rete; in un’altra sala ancora dei poveri operatori di call center si trovano a rispondere alle domande più disparate, come quello/a che crede nell’esistenza degli unicorni e vuole sapere quale sia il libro più antico che ne parla (risale al ‘300, ndr); in più di un’occasione questo o quell’esponente tengono discorsi ufficiali nel corso di cene di gala, necessarie per coccolarsi quei soci e/o finanziatori senza i quali non sarebbe la stessa cosa. Wiseman da un lato prende atto della funzione che la Public Library ha assunto quale centro di aggregazione, punto di ritrovo, mentre dall’altro coglie la beffarda necessità che un polo di questo tipo ha di snaturarsi per contrastare la propria stessa obsolescenza.

Forse i libri non si vedono perché siamo già con un piede nel mondo che verrà, uno in cui la gente bazzicherà ancora luoghi simili non per leggere, quello lo si potrà fare comodamente da casa, bensì perché stanchi di sopportare sé stessi, ed allora ci si darà appuntamento in biblioteca per farsi dare dell’ignorante da un chimico in virtù del fatto che si aderisca al creazionismo, oppure per discutere sulla disparità di prezzo tra il pollo fritto e la bistecca, più costoso il primo solo perché ai piani alti delle multinazionali sanno che i neri ne consumano in quantità maggiore rispetto alla seconda. Forse allora si andrà in biblioteca per sopravvivere, per ricordarsi che cosa facevamo quando non credevamo che l’unico posto per farlo fosse lo stesso in cui un tempo a parlare era solo chi parola concretamente non ne aveva, ossia i libri. Da un luogo di morti ad uno di vivi, o quello che saremo insomma.

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EX LIBRIS – The New York Public Library (USA, 2017) di Frederick Wiseman. In Concorso.