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Gli Sdraiati: Recensione in Anteprima

Un confronto generazionale che si fa scontro famigliare ne Gli sdraiati di Francesca Archibugi, dal 23 novembre al cinema.

pubblicato 16 Novembre 2017 aggiornato 27 Agosto 2020 23:46

Quattro anni dopo esser diventato un best-seller, Gli sdraiati di Michele Serra si è fatto cinema grazie a Francesca Archibugi, che insieme a Francesco Piccolo si è liberamente ispirata al libro del giornalista e autore televisivo per farne un romanzo famigliare, tutto centrato sull’incomunicabilità tra genitori e figli, tra adulti e giovani.

Giorgio Selva è un uomo realizzato, un celebre e stimato volto della tv pubblica, con appartamento nella moderna Milano impreziosita dai grattacieli, un’ex moglie che non vede da 7 anni, un adorato suocero e un figlio 17enne che non lo stima, non lo segue, non lo ascolta, non gli parla. Un ragazzo che di fatto l’ha escluso dalla sua vita, tutta centrata sugli inseparabili amici, sul fancazzismo dilagante e sulla fidanzatina Alice, inedito amore che ingelosisce i compagni. Tito, questo il suo nome, è in guerra quotidiana con un papà apprensivo ed oppressivo ma al tempo stesso gentile, permissivo e incapace di accettare quella mancata condivisione del figlio, che parrebbe quasi non amarlo. Tutto si complica grazie a Rosalba, madre di Alice con cui Giorgio, incredibile ma vero, ha avuto una relazione extra-coniugale esattamente 17 anni prima.

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E’ un’opera a più facce, troppe, quella diretta dalla Archibugi, a 30 anni da Mignon è partita tornata a sondare i rapporti famigliari tra genitori e figli. Rispetto al breve romanzo di Serra, comico e malinconico monologo interiore, Gli Sdraiati prende direzioni più ampie, allargando la propria storia a personaggi inventati di sana pianta. La Archibugi e Piccolo, sceneggiatori, ben lavorano nella comunicazione generazionale che singolarmente riguarda gli adolescenti e gli adulti, fallendo invece l’obiettivo di un incontro, doveroso e centrale. I silenzi, i mugugni, gli sguardi, le parole troncate, divorate, a malapena accennate dai ragazzi di oggi rappresentano un linguaggio che esiste ed è figlio di una generazione cresciuta con lo smartphone, letteralmente diventato prolungamento corporeo. Comunicazione aliena se vista dalla prospettiva degli adulti, rimasti legati ad un’interazione immancabilmente differente, qui resa all’estremo da un protagonista forbito e logorroico, incapace di tacere. Presi separatamente, i due nuclei generazionale pennellati dalla Archibugi risultano plausibili, per poi scivolare in uno scontro visibilmente stereotipato e semplicistico nella sua conclusiva motivazione, con l’apatico figlio del protagonista banalmente deviato dal divorzio dei genitori e dal troppo amore da loro richiesto, per non dire preteso.

Andrebbe preso a ceffoni‘, consiglia saggiamente un anziano in ospedale al padre costantemente calpestato dall’adolescente, dinanzi ad un uomo adulto incapace di reagire, di punire, di urlare e ad un ragazzo zombie che stancamente si trascina per casa, sporco, maleducato e disordinato, piangendo una chissà quale miserabile vita in realtà impreziosita da agio, attenzioni e vizi. Il mondo in cui spaziano Archibugi e Piccolo appartiene a quell’universo tipicamente radical di una certa sinistra borghese, con vigneti a disposizione e piscine in salotto, che inutilmente si fa spazio anche in sede di scrittura, tra bariste che citano Arthur Schopenhauer, contrapposizioni sociali rappresentate da periferie cittadine con auto devastate dalle fiamme e quadri che ricordano la celebre foto di Enrico Berlinguer in braccio a Roberto Benigni. Gli Sdraiati, purtroppo, sembrerebbe voler implicitamente e unicamente parlare ad un certo tipo di pubblico, probabilmente stanco di vedersi rappresentato nel solito e immutabile modo.

Un’Italia governata dalla prima Presidentessa del Consiglio, quella immaginata dalla regista, che tra i tanti, troppi finali si perde per strada un personaggio femminile improvvisamente gettato nella mischia ma presto inspiegabilmente abbandonato (Barbara Ronchi), mentre Claudio Bisio giganteggia in scena. Invecchiato, con un inedito filo di capelli e la barba, il suo nevrotico Giorgio Selva alterna emozioni con estrema capacità, confermando la poliedricità recitativa di un uomo a cui la tv va decisamente troppo stretta. Gaddo Bacchini, esordiente in sala nei difficili abiti del figlio ‘sdraiato’ che vede la vita da un punto di vista orizzontale, tiene il confronto, ostentando un’indolenza tanto insostenibile quanto credibile nel suo continuo distacco emotivo, mentre Antonia Truppo, napoletana vincitrice di due David di Donatello grazie a Indivisibili e Lo chiamavano Jeeg Robot, risulta completamente fuori ruolo nel dover interpretare una donna del nord Italia, forzatamente rientrata nella vita del protagonista attraverso una sottotrama tirata davvero per i capelli.

Ciò che non convince, nel film ‘generazionale’ della Archibugi, è l’estremizzazione di una rappresentazione adolescenziale che in determinati comportamenti ha indubbiamente i suoi codici e il proprio linguaggio, qui però esageratamente marcati. La regista non si limita infatti a dipingere il difficile rapporto tra ‘un’ padre e ‘un’ figlio, ampliando il proprio sguardo ad una generazione che potremmo definire quasi barbara, tra chi vomita dal terrazzo di casa e chi ruba felpe in un negozio per il solo piacere di far qualcosa di diverso, mentre il silenzio con i rispettivi genitori si fa tombale, provocatorio, insolente. Una visione pazialmente veritiera che nella sua esasperazione si fa a lungo andare limitante, finendo per frenare qualsiasi tipo di empatia nei confronti di tutti i protagonisti. Adulti o adolescenti che siano.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Gli Sdraiati (Ita, 2017, commedia) di Francesca Archibugi; con Claudio Bisio, Gaddo Bacchini, Cochi Ponzoni, Antonia Truppo, Gigio Alberti, Barbara Ronchi, Carla Chiarelli, Federica Fracassi, Gianluigi Fogacci, Sandra Ceccarelli, Donatella Finocchiaro – uscita giovedì 23 novembre 2017.