Home Torino Film Festival Torino 2018, High Life, recensione: il vuoto di Claire Denis che rimappa la fantascienza

Torino 2018, High Life, recensione: il vuoto di Claire Denis che rimappa la fantascienza

Intimo ma non privato, essenziale ma strabordante, High Life di Claire Denis rivede certa Fantascienza hollywoodiana e la ribalta, senza quasi nulla tacere ma con un tocco d’umanità raro

pubblicato 26 Novembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 14:43

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Guardi High Life e la prima cosa che ti viene in mente, già durante la visione, è come certo ribaltamento linguistico riesca di per sé a sortire determinati effetti; in altre parole, Claire Denis conosce la Fantascienza, sa dove mettere mani, nella sala dei bottoni non si smarrisce. Nondimeno, cambia loro di posizione, alcuni li rende inutilizzabili, altri li ridistribuisce a proprio piacimento, insomma, cambia spartito. Se non altro, già questo sarebbe un grosso merito, ossia non schiantarsi a fronte di un processo che prevede certe acrobazie. Al contrario, questa sorta di riscrittura, ancorché parziale, è evidente, amplifica la portata di un film che, ad altre condizioni, non avrebbe avuto modo di trasmetterci chissà cosa.

Un giovane astronauta, Monte (Robert Pattinson), è fuori dall’astronave per l’immancabile manutenzione; all’interno, un marmocchio dentro a una culla piange e si dispera come solo una creatura di pochi mesi, un anno al massimo, sa fare. Monte rientra, si accoccola con la piccola (si tratta di una femminuccia), le dà da mangiare, cerca di farla stare buona. Nella scena successiva, sempre lo stesso astronauta apre delle sacche dentro le quali sono stipati dei corpi. Chi sono? Lo si capisce più avanti; lui intanto mette loro addosso una tuta spaziale e li libera nel vuoto, anzi, se ne libera. Dalle tenere attenzioni per un neonato alla freddezza con cui si disfa del resto dell’equipaggio, due momenti opposti, che Denis ci sottopone uno dopo l’altro. È solo il primo di tanti shock, cortocircuiti se vogliamo, nei quali s’incappa a fasi alterne nel corso dell’intero High Life.

L’andamento non è diegetico, i salti temporali sono a discrezione di Denis, che stabilisce un ordine arbitrario ma non immotivato rispetto alla ricostruzione di una storia che, per sommi capi, riguarda un gruppo di criminali ai quali viene offerta questa possibilità di “riscattarsi” facendosi spedire oltre il Sistema Solare. Quel che non sanno è che il loro è un viaggio di sola andata, né può essere pensata diversamente una spedizione che ha per scopo l’approccio al Buco Nero più “vicino” alla Terra.

High Life non risparmia nulla, eppure è come se la Denis si preoccupasse sempre di bilanciare: per ogni dose di cinismo, almeno altrettanta delicatezza. Per dire, gli “ospiti”, per bocca della dottoressa Dibs (Juliette Binoche), sono tenuti a fare rapporto ogni ventiquattr’ore; non importa che i dati ci mettano anni ad arrivare a destinazione: senza questo passaggio la nave in pratica smette di funzionare. Questo senso d’oppressione si avverte per tutto il film e non è generato, banalmente, solo dagli spazi, dal contesto, bensì proprio da questa sgradevole sensazione di avere difronte né più né meno che delle cavie.

Claire Denis, come sempre, suggerisce, non svela, o per lo meno, mai del tutto. Lascia fuori qualcosa ma lo spettatore è chiamato a lavorare anche su quel qualcosa che è fuori dal suo sguardo, dalla sua conoscenza immediata, a suo modo interagendo con gli eventi per riscostruire profili prima ancora che antefatti. Il coefficiente di difficoltà si fa più alto in ragione dell’operazione condotta, che paradossalmente si muove con scrupolo all’interno del genere. Paradossalmente in quanto, come accennato in apertura, fedele allo spirito ne modifica la lettera.

Giusto per saperci orientare, la primissima inquadratura sembra fare il verso a Solaris, con quell’indugiare su un paesaggio verdeggiante, piante e ruscelli che ovviamente per Tarkovskij significavano una cosa, mentre qui un’altra. Non solo. Si pensi al tour de force emotivo al quale Nolan ci sottopone in Interstellar; se possibile, qui la Denis va pure oltre, circoscrivendo la famiglia in maniera ancora più estrema, sebbene meno cervellotica. E non si può che restare colpiti da come il testo di High Life si presti a molteplici letture, muovendosi con disinvoltura sia in ambito per l’appunto emotivo che su quello intellettuale, rispetto al quale, non a caso, vengono fuori discorsi che non sono così scontati come incipit prima e trama poi darebbero a vedere.

Lo spazio, il vuoto, per Denis sono luoghi interiori prima ancora che fisici. Nulla è come sembra all’apparenza, poveri coloro che limitatamente a questo suo ultimo lavoro si fermassero all’immediato, la superficie, che si vuole aderente al summenzionato genere, uno sci-fi a tutto tondo. Non è tuttavia solo la gestione degli elementi peculiari di questo genere, bensì, soprattutto, ciò che di aggiuntivo la Denis va integrando man mano, certa schiettezza, a tratti senza speranza, ma, come detto, in generale mitigata da un approccio molto umano, capace di momenti di tenerezza unici (pochi rispetto alla controparte, per questo ancora più preziosi).

Un film che ci nega grandi panoramiche, scorci mozzafiato, ricompensandoci con altri passaggi visivamente ingegnosi, come nessuna panoramica avrebbe potuto essere: e mi riferisco in particolare alla scena di sesso fai da te che vede coinvolto il personaggio della Binoche, sopra le righe ma controllato, l’exploit artistico in senso stretto più notevole dell’intero repertorio, spinto ma non volgare, che rimanda in qualche modo alla lezione impartitaci da Glazer in Under the Skin – e infatti qui la Binoche, in questa sequenza, sembra quasi un’aliena.

Sono troppi gli elementi con cui Claire Denis gioca in High Life, altrettanti i riferimenti, che trascendono la fantascienza, dai lunghi capelli della dottoressa Dibs, ai cagnoli che infila prima in un ricordo di Monte, poi in un’altra situazione di cui però non è possibile dire, passando per lo sfrenato appetito sessuale dell’equipaggio, che in buona sostanza regola rapporti e relazioni. E proprio per dar ragione rispetto a quanto accennato sopra circa l’importanza del non detto (e del non mostrato), di ciò che immediato non è, non si può sorvolare sulla crescita del personaggio di Pattinson, l’unico che riesce a stabilire un vero contatto con un’altra persona, da cui ne esce non solo cambiato ma rivoluzionato. Pronto, a quel punto, per affrontare il viaggio più terrorizzante, ambiguo e meraviglioso di tutti: tutti termini che ben si descrivono questo sorprendente High Life.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8.5″ layout=”left”]

High Life (Regno Unito/Francia/Germania, 2018) di Claire Denis. Con Robert Pattinson, Mia Goth, Juliette Binoche, Lars Eidinger, André Benjamin, Agata Buzek, Claire Tran ed Ewan Mitchell. After Hours.

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