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Hellboy, recensione: non ogni nuovo inizio è foriero di belle novità

Stipato oltre una misura accettabile, il reboot di Hellboy cede sotto il suo stesso peso, quello di svariate idee ed esisodi che promettono qualcosa ma non mantengono neanche quello

pubblicato 11 Aprile 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 20:01

(Clicca sull’immagine per guardare il trailer)

C’è sempre un inizio. Nel caso di questo Hellboy senza numerazione trattasi addirittura di un nuovo inizio, dopo screzi e dissapori che hanno portato all’abbandono del vecchio progetto e dunque al sorgere, appunto, di un nuovo percorso. Percorso che ha visto Mike Mignola seguire passo dopo passo il lavoro di Andrew Cosby: i due, alla fine, hanno praticamente piluccato da diverse tra le varie storie di Hellboy e tirato fuori questo reboot.

Un tentativo che da principio spiazza, sebbene non subito sia chiaro fino a che punto tutto ciò abbia delle connotazioni in positivo o in negativo. C’è quel montaggio che ci conduce da una scena all’altra, su tutti, a fronte del quale si resta interdetti, come se l’intenzione fosse quella di dare una certa organicità, senza far avvertire i passaggi, come una sinfonia che cambia tono ma rimane sempre la stessa. Un’impressione per certi versi persino poco fondata, perché, al contrario, Hellboy di cose ne mescola e pure parecchie; e proprio nel mix si perde, anzi, crolla.

Manca una direzione chiara, quell’idea di fondo che faccia da collante, che stabilisca a priori, non per forza mettendone a parte lo spettatore, che cosa voglia esattamente essere questo film. Non a caso, quale che sia la propensione che si vuole prendere in esame, Hellboy risulta insufficiente; non basta lo splatter, certa crudezza fine a sé stessa che si vorrebbe tradurre in quella forma d’ignoranza tendenzialmente piacevole, o quantomeno divertente. Si tratta infatti di un frullato di cose, idee e suggestioni, che sì, muovono ora dall’horror, ora dal fantasy, ora ancora vorrebbero virare all’action. Senonché Hellboy, purtroppo, non è concretamente nessuna di queste cose, men che meno tutte in una volta.

Il film si apre con una digressione sul Medioevo, quando la Regina Nimue (Milla Jovovich) viene smembrata, i suoi resti sparsi per il mondo, sigillati, cosicché nessuno possa ricomporla. Sbagliato. Secoli dopo tocca infatti ad Hellboy impedire che Nimue possa portare (letteralmente) la peste nel mondo, sprofondandolo nel caos; nato demone, Hellboy in realtà lavora per i buoni, detective della BPRD (una sorta di FBI dei fenomeni paranormali), e questa è pure la storia di come ritrova sé stesso partendo da quel passato, o per meglio dire quelle origini che ancora non conosce.

Come si può leggere, c’è pure una puntata sul noir; il nostro protagonista infatti, oltre ad indossare il più classico dei trench, ci dà giù con l’alcol, unico modo per dimenticare certi errori o non pensare a quanto vuota sia a quel punto la sua esistenza. Accenni, strizzate d’occhio, nulla che si avvicini all’innesto in chiave anche solo ironica di certi stilemi di genere, comunque disgregati e dissolti in questo marasma che ci viene sbattuto in faccia, di fatto prevenendo qualsivoglia discernimento.

C’è pure un altro fronte nell’ambito del quale questo reboot lascia molto a desiderare, e lo fa, anche qui, pressoché ogni volta che ne ha l’occasione. Si tratta infatti di una computer grafica modesta nella migliore delle ipotesi, terribile invece in quei frangenti in cui è soverchiante, perciò la qualità non eccelsa salta ancora più all’occhio, “offendendolo”. Sappiamo che il progetto ha avuto una gestazione particolare e, tra le possibili ragioni addotte riguardo all’assenza di Guillermo Del Toro, c’è quella relativa a un budget più contenuto rispetto a quello che il regista messicano avrebbe voluto. Ma allora perché puntare così forte su una componente così dispendiosa?

Perché non adeguare la scrittura ad un contesto meno esigente sotto questo punto di vista? Sono scelte che finiscono col pesare come un macigno, con alcune scene a tal punto posticce da risultare inguardabili (l’imboscata al cimitero, per dirne una). Il fallimento di Hellboy passa anche da questa mancata percezione rispetto a certe decisioni fondamentali che andavano prese a priori, anche a costo di rivedere elementi chiave. Il miscuglio che a conti fatti è il prodotto finale, un pastone per lo più indigesto, con sprazzi veramente sporadici di luce (comunque tutt’altro che abbagliante), confermano invece la statura di un progetto su cui non si ha avuto il giusto controllo, pressoché in ogni fase, a partire da quello script che si pone più come una collezione di episodi di per sé interessanti, ma che nell’insieme entusiasmano quasi per nulla. Hellboy ci attraversa, a tratti finanche infastidendo, e nulla più purtroppo.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Hellboy (USA, 2019) di Neil Marshall. Con David Harbour, Milla Jovovich, Ian McShane, Sasha Lane, Penelope Mitchell, Daniel Dae Kim, Thomas Haden Church, Sophie Okonedo, Brian Gleeson e Kristina Klebe. Nelle nostre sale da giovedì 11 aprile 2019.