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Terminator – Destino Oscuro, recensione, ritorno ad un nuovo futuro

Prodotto da James Cameron, ecco il seguito diretto di Terminator 2. Leggete la nostra recensione di Terminator – Destino Oscuro

pubblicato 29 Ottobre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:58


(Clicca sull’immagine per guardare il trailer)

Si ricomincia. È un nuovo presente, dunque un nuovo futuro, quello di Terminator – Destino Oscuro. Due nuovi personaggi, catapultati nel nostro tempo a fronte di nuove condizioni, dato che Skynet non ha attecchito, il pianeta in precedenza salvato da Sarah Connor. C’è da perdersi in questo scenario dove futuri paralleli si alternano, sovrapponendosi al presente, sebbene lo scontro sia sempre lo stesso, ossia quello tra gli umani e le macchine. E parte dal Messico: Grace (Mackenzie Davis), umana ma con dei potenziamenti che la rendono una sorta di ibrido, a conti fatti una macchina ma con cuore e cervello umani, viene mandata lì per proteggere Dani (Natalia Reyes), per motivi che chiaramente vengono illustrati in corso d’opera. Manco a dirlo, le macchine del futuro, sotto il dominio di un’altra Skynet, che però si chiama Legion, inviano a loro volta uno di loro; si tratta del Rev 9, un modello oltremodo potente, all’apparenza imbattibile. In fuga da questa nuova minaccia, nondimeno, Dani e Grace non sono sole: con loro c’è Sarah Connor.

Destino Oscuro capita (si fa per dire) in un periodo delicato, in cui l’industria, dopo aver spremuto saghe e titoli che hanno fatto Storia, quale più quale meno, non sembra intenzionata ad indietreggiare di un centimetro, spingendo anzi ulteriormente su questo processo di exploitation teso ad infilare non di rado a forza fenomeni passati nell’ambito di una cornice del tutto cambiata. E dire che quest’ultimo Terminator è preceduto da altri due capitoli relativamente recenti, ossia Salvation (2009) e Genisys (2015), quantunque a ‘sto giro si tratta del sequel diretto di Terminator 2. Già qui, in questa precisazione, accompagnata dal ritorno di James Cameron in qualità di produttore, emerge il portato di un progetto che vuole in qualche modo prendere le distanze da queste due recenti iterazioni (ma anche da Terminator 3 (2003), se vogliamo), optando per un revival, l’ennesimo. Ma non è tutto.

Operazione condotta col misurino, Destino Oscuro è il risultato di un’attenta mistura d’istanze nostalgiche ed altre che urlano il desiderio di stare sul pezzo. In altre parole, si tratta anzitutto di un Terminator al femminile, se non addirittura femminista, eppure, in questo suo impeto, a rischio di parodia. Lo è per come ribalta in maniera pressoché precisa certi passaggi, certe scene, in fondo reimmaginando un film dal percepibile eco anni ’80 in chiave attuale; su tutto, scambiando i sessi, con le donne ad interpretare ruoli schematicamente maschili e gli uomini nei panni di quelli femminili, pur ovviamente con i dovuti riadattamenti del caso. Scelta che non si rivela certo forzata, dunque disastrosa, ridicola finanche, come nel caso di Ghostbusters (2016), ma che in alcuni punti rischia di far sorridere.

A conferma del fatto che a muovere queste “nuove” storie sia l’odierno état d’esprit si potrebbe riportare il parallelo con Rambo: Last Blood, strutturalmente ma soprattutto concettualmente molto affine. Entrambe storie di confine, con due iconici protagonisti ritiratisi a vita monacale, un’esistenza impossibile, quella ordinaria di padri di famiglia che però sono al contempo anche degli asceti, dato che compagne e figli non sono i loro e la sessualità non c’entra niente – giusto per reiterare, tra le altre cose, quell’accenno ad una sorta di “purezza” che, pur riguardando in primis i due eroi (Rambo e T-800, per l’appunto), non può che avere delle ricadute sulle donne che stanno proteggendo: madri abusate dai precedenti mariti e che, al posto di quest’ultimi, come rimpiazzo hanno scelto non un nuovo amante bensì dei bodyguard. Non solo. Entrambe le famiglie di origine messicana, altra categoria, secondo il discorso fatto sin qui, messa a repentaglio da una precisa politica, quella contro la quale Hollywood si è schierata da subito in maniera netta ed inequivocabile.

Non si può soprassedere su tali premesse, poiché a loro modo fondanti rispetto a un progetto che non ha granché da mettere sul piatto in termini di contenuto, né ha nelle corde il dare adito a chissà quali ragionamenti. Se e in che misura queste tematiche così attuali siano trainanti – nel senso, drasticamente, se il loro accenno preceda l’idea di tornare sulla saga o se, non avendo altro tra le mani, l’integrazione di tale discorso si sia imposto successivamente – ebbene, tutto ciò è al momento difficile dirlo. L’industria d’altronde ha nelle corde, anzi, le viene proprio naturale attardarsi su quanto può rivelarsi culturalmente rilevante, anche a costo di svilirlo, servendosene quanto basta per creare quell’appiglio capace di agganciare chi il dibattito lo ha preso a cuore. Perciò sì, tale aspetto è assolutamente significativo.

Eppure va ricordato che un prodotto del genere ha per forza di cose altre mire, dovendo funzionare anche (qualcuno direbbe soprattutto) sotto altri aspetti. Se infatti dirigiamo la nostra attenzione all’azione, Destino Oscuro si mostra quale spaccato competente e tutto sommato in linea a ciò a cui oggi si può assistere a certi livelli. Ad ogni bivio, in pratica dei checkpoint contrassegnati da ripetuti scontri tra le due parti, ci si domanda non tanto cosa possa accadere dopo, ma come; sembra infatti impossibile che Grace, Sarah e Dani riescano a sopravvivere agli svariati attacchi del Rev 9, ed in fondo il gioco sta tutto lì, in questa caccia che prevede più round, fino all’ultimo, decisivo scontro; pure in questo ricalcando uno schema piuttosto consolidato.

Ci sarebbe parecchio da scrivere, invece, in relazione alla gestione del T-800, da cui filtra non poco circa l’entità di Destino Oscuro, le dinamiche che lo animano. Giusto qualche annotazione. Oltre a quanto evidenziato sopra, allorché si è evocato il parallelo con Rambo, emerge l’impatto vagamente comico che si vuole imprimere al film attraverso questo personaggio, la cui presenza diventa occasione da un lato per stemperare certa seriosità, dall’altro per indulgere sulla rievocazione, che oramai si sostanzia sempre più in una sorta di smitizzazione. Anche in questo, operazione figlia in tutto e per tutto del proprio tempo, con troppe esigenze da coniugare, tra il raccogliere un certo beneplacito da parte dei fan e consentire al contempo l’ingresso a nuove leve. Insomma, postmodernismo applicato.

Dunque sì, Destino Oscuro è figlio del suo tempo, nel bene e nel male: nel mescolare i toni, nel tirare in ballo l’attualità e via discorrendo. Il risultato è che regge, a tratti diverte, ma segnala la necessità, ancora, di una nuova formula, slegata da quasi tutto ciò che abbiamo oggi. E non è in fondo così paradossale che produzioni così blasonate denuncino questo profondo bisogno, che è anche quella di nuove immagini, se non addirittura nuovi immaginari. Il tentativo di conferire nuovi significati a quelle che abbiamo già, d’altra parte, va rivelandosi sempre più castrante, un processo che conduce ad un’asfissia che nessuna epoca può permettersi, men che meno la nostra, così satura di visioni con poco o addirittura nessun senso. Se il conseguimento di tale step sia o meno compito di Hollywood, beh, se ne può, anzi, se ne deve discutere.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Terminator – Destino Oscuro (Terminator: Dark Fate, USA, 2019) di Tim Miller. Con Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton, Mackenzie Davis, Diego Boneta, Gabriel Luna, Natalia Reyes, Enrique Arce, Brett Azar, Steven Cree e Fraser James. Nelle nostre sale da giovedì 31 ottobre 2019.