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La Dea Fortuna, recensione: sentimentalmente feroce solo a metà, è tornato Ferzan Ozpetek

Famiglie omogenitoriali e non, tra crisi e rinascite, in La Dea Fortuna, nuovo film di Ferzan Ozpetek.

pubblicato 17 Dicembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:00

Ferzan Ozpetek torna al suo cinema dei sentimenti a tinte LGBT grazie a La Dea Fortuna, suo 13esimo film in poco meno di 25 anni. Un’opera co-sceneggiata al fianco dell’immancabile Gianni Romoli e a Silvia Ranfagni, che vede il regista turco di nuovo nella ‘sua’ Roma, a sette anni da Magnifica presenza, da ammirare dalla solita terrazza panoramica, questa volta pescata in piazzale delle province, dove vivono Arturo e Alessandro, coppia da più di quindici anni.

Tremendamente diversi, perché se il primo traduce libri antichi il secondo è un ruspante idraulico, i due sono in crisi da tempo. Nonostante la passione e l’amore si siano trasformati in un affetto importante, la coppia è pronta all’esplosione definitiva, dopo anni di reciproche corna, mancato contatto fisico e continui litigi. Tutto cambia quando nelle loro vite subentrano due bambini (bravissima Sara Ciocca, dolcissimo l’esordiente Edoardo Brandi) lasciatigli in custodia per qualche giorno da Annamaria, migliore amica di Alessandro che necessita di controlli ospedalieri. Improvvisamente, dal giorno alla notte, Arturo e il compagno si ritrovano di fatto genitori…

Nasce da un evento realmente accaduto ad Ozpetek, il soggetto de La Dea Fortuna, titolo che omaggia un Santuario che si trova nella città di Palestrina. Ed è proprio il personaggio di Annamaria, ovvero colei che fece incontrare Arturo e Alessandro, a dare ad entrambi una possibile via d’uscita dall’empasse in cui sono finiti. Per la prima volta Ferzan racconta una storia d’amore arrivata al capolinea, con la passione ormai archiviata e una cocente difficoltà ad accettare simile mutamento. Un qualcosa che va al di là dell’orientamento sessuale.

I due protagonisti sono omosessuali, ma l’affievolirsi della fiamma della passione riguarda qualsiasi coppia, gay o etero che sia, ed è interessante vedere come Ferzan e Romoli raccontino e mostrino il disintegrarsi di un rapporto che immaginiamo perfetto, inizialmente. Una perfezione iniziale mai mostrata, ma solo percepita, e in poche battute raccontata. Il contorno, immancabilmente, ci porta ai punti fermi del cinema ozpetekiano.

Il concetto di famiglia allargata, acquisita, costruita, che riguarda amicizie colorite puntualmente seminate nello stesso palazzo, i ricchi pranzi/cene in terrazza, le tavolate in cui si discute e ci si confida, l’accogliente, ampia e ben arredata casa (mantenuta non si sa come), i balli liberatori. C’è tutto Ozpetek in 120 minuti, trainati da un Edoardo Leo mai tanto bravo e convincente, negli abiti di un burbero idraulico omosessuale, traditore ma perdutamente innamorato di uno Stefano Accorsi ineccepibile, nel dare corpo ad un fallito e ipocrita 40enne incapace di accettare scelte passate errate. L’alchimia tra i due è sorprendente, per quanto Arturo e Alessandro non si sfiorino praticamente mai. Non un abbraccio, un bacio. Dormono dandosi le spalle, faticano persino a sopportare la presenza altrui nella stessa stanza. Il lavoro di entrambi gli attori è inaspettatamente potente, perché perfettamente calatisi in una coppia implosa, consapevole di essere arrivata al punto d’arrivo ma incapace di dirsi definitivamente addio.

Ferocemente, il regista turco racconta una storia sorprendentemente reale, perché l’amore non è come quello che ti raccontano al cinema. Il più delle volte finisce, muta, diventa semplicemente altro, e sta ai protagonisti accettarlo, farsene una ragione. Peccato che tutto cambi nell’evoluzione di una trama che dopo aver faticosamente gestito una serie di personaggi secondari assai poco stratificati, vedi lo smemorato Filippo Nigro che quotidianamente si reinnamora della compagna perché incapace di ricordarsi persino quanto detto e/o fatto pochi minuti prima, si accartoccia sul dramma riparatore.

Immancabilmente melodrammatico, La Dea Fortuna intraprende forzatamente una sottotrama legata alla madre di Annamaria, interpretata da una diabolica Barbara Alberti, che ricongiunge lo spettatore al criptico pianosequenza iniziale, finendo per inciampare su una serie infinita di finali che stravolgono quanto raccontato nell’ora e mezza precedente (il meglio lo si trova in nave, tra scontri, lacrime e confessioni). Dinanzi ad un’uscita natalizia era forse complicato immaginare un film romaticamente spietato alla Marriage Story di Noah Baumbach, ma Ozpetek e Romoli pagano un mancato coraggio, inizialmente accennato e successivamente ritirato, cedendo così ad un evitabile escalation di eventi che fanno perdere al film contatto con la realtà. Perché non puoi seminare veleno per 100 minuti e ritrovarti a raccogliere margherite, svelando inoltre inutili (ai fini essenziali della trama) misteri passati. Quando si prende una strada la si deve percorrere fino in fondo, a meno che non si voglia sbandare pericolosamente.

Ciò che rimane è un’opera quanto mai attuale, che rimarca come l’essere genitori non sia una questione unicamente genetica, bensì di cuore, cervello e moralità. Un film che è di fatto un sequel non ufficiale di quel Le Fate Ignoranti che nel 2001 fece decollare il regista turco, capace di raccontare e soprattutto mostrare agli italiani l’esistenza di un mondo fino a quel momento taciuto, nascosto. Quasi 20 anni dopo, Ozpetek avrebbe dovuto e potuto azzardare fino in fondo.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5.5″ layout=”left”]

La Dea Fortuna (Ita, drammatico, 2019) di Ferzan Ozpetek; con Stefano Accorsi, Edoardo Leo, Jasmine Trinca, Sara Ciocca, Edoardo Brandi, Barbara Alberti, Serra Yilmaz, Cristina Bugatty, Filippo Nigro, Pia Lanciotti, Dora Romano, Barbara Chichiarelli – uscita giovedì 19 dicembre 2019.