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Film di Natale: i più malinconici

Una classifica tutta speciale per i film di Natale, con un disegno bonus che omaggia Edward di Tim Burton.

pubblicato 4 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 19:36


Sotto le feste la vita è, decisamente, meravigliosa e mentre intorno risuonano canti di Natale dalle note dolci e confortanti, i miracoli sembrano diventare possibili ovunque e non solo sulla 34° strada.

Nel periodo che accompagna le festività natalizie è d’obbligo lasciarsi avvincere dall’atmosfera sovraccarica di luci, suoni e colori; è il momento in cui il freddo diventa un pretesto per stringersi di più agli altri, riscoprire sani valori familiari e illudersi, fra tripudi di musiche e odori dolciastri, che il mondo intero sarà sempre avvolto in un simultaneo ed infinito happy end.

Il cinema, da sempre connesso con le suggestioni che il Natale innegabilmente infonde, non ha mai mancato di tradurre per il grande schermo questa fascinazione visiva attraverso classici, di allora o di adesso, traboccanti di lacrime, amore e risate, zuccherosamente rassicuranti e infiocchettati ad hoc.

“E’ il Natale, bellezza e tu non ci puoi far niente!” verrebbe da dire parafrasando Bogart.

E’ il cinema che più resta nella memoria degli spettatori, problematicamente innocuo ma necessario come un balsamo per l’anima in vacanza dai pensieri. Ma come la mettiamo con chi del Natale percepisce solo una senso di diffusa cupezza? O quel magone che si insinua lento contrastando col fasto e le luci, dettato dalla mesta consapevolezza che questa festa rappresenta, pur sempre, una piccola morte dell’anno appena trascorso?

C’è un cinema anche per chi non si ritrova (anche solo momentaneamente) in sintonia con questo Natale. Citarlo è doveroso almeno quanto lo è richiamarsi ai Winthorpe e i Valentine di Una poltrona per due o a Gizmo, Grinch & Co. E allora sotto con la classifica (liberissima e personale) e con i suggerimenti degli utenti.

1) Edward mani di forbice: il solo film che probabilmente rientra un po’ in tutte le classifiche natalizie dei cinefili. E non solo perché uno dei migliori Burton di sempre ma anche per quel suo essere favola e contemporaneamente negazione del fiabesco classico. Esterni-giorno color pastello che stridono con l’anima nero-pece della provincia e dei suoi volubili abitanti. Il sembiante minaccioso di un clown e della sua gotica dimora in disarmonico accordo con quel cuore traboccante di amore ed eterna primavera. Contrasti insanabili destinati a non risolversi mai ma soltanto a sublimarsi in un inverno artificiale che scandisce ciclicamente un incontro non più realizzabile. Capolavoro struggente e celebrazione di un Natale (e di un amore) impossibile.

2) Regalo di Natale: ecco le commedie (amare) che in Italia purtroppo non si fanno più. Pupi Avati, in barba al titolo, firma uno dei film meno natalizi di sempre ma “regala” anche uno dei capitoli più belli e disillusi della sua filmografia, quello che ha osato trasformare il rito natalizio italiano per eccellenza (il gioco a carte fra amici) in un confronto crudele e non consolatorio fra uomini moralmente piccoli, delusi o egocentrici. Non c’è gioia nei simboli del Natale (un albero addobbato in una casa presa in affitto) e di amicizia quasi più nemmeno l’ombra. Il poker diventa una metafora di vita e del capovolgimento dei ruoli che essa (inaspettatamente) riserva. Il Natale ne esce con le ossa rotte ma la partita su tutti i fronti (regia e lo splendido cast) è vinta.

3) Arriva John Doe: quando Kevin Spacey nel pre-finale di “Seven” si consegna alla polizia presentandosi come John Doe, un piccolo brivido deve essere corso lungo la schiena di tutti i cinefili amanti di Frank Capra. Che ci azzecca infatti il serial killer giustizialista del capolavoro di Fincher con un simbolo populista che lotta contro le miserie della società? Forse, se fosse stato vivo, Capra non avrebbe gradito una simile sovrapposizione fra personaggi ma è anche innegabile che il suo John Doe, che condivide col killer la sua natura di “uomo qualunque”, si presta nel corso della storia ad essere trasformato a piacimento in ambiguo involucro per fini meno nobili. E il fatto che il film si apra e si chiuda con una promessa natalizia (di morte) lo rende quasi l’anti- It’s a Wonderful life per eccellenza: lì bisognava sparire per comprendere l’importanza dell’esistenza. Qui invece bisogna esistere per dare corpo a un’idea importante.

4) Racconto di Natale: ecco un altro film che, a dispetto del titolo, non è di quelli che conciliano proprio con i risvolti più lieti e sentimentali della festività. La riunione familiare raccontata dal francese Desplechin si svolge sotto il carico doloroso di rancori mai sopiti fra fratelli mentre l’ombra di una malattia passata minaccia la capofamiglia (una splendida e battagliera Catherine Deneuve) e tutti gli equilibri interni del parentado. Film corale e a volte discontinuo, orgoglioso del proprio essere intellettuale ma anche sincero nel cogliere sfumature di varia umanità in cui, in un modo o nell’altro e anche solo per un attimo, non possiamo non riconoscerci o riconoscere gli altri.

5) Smoke: l’ultimo posto in classifica per il bellissimo film realizzato a quattro mani (Paul Auster e Wayne Wang) serve solo a rilanciare l’invito alla visione per tutti quei lettori di cineblog che ancora non lo conoscessero. Fra nuvole di fumo, filosofi e padri putativi i due splendidi protagonisti (William Hurt ma soprattutto Harvey Keitel) si muovono in una tabaccheria che è un piccolo crocevia di figure marginali ed umanissime, grondanti passione e verità ad ogni battuta o silenzio. “Il racconto di Natale di Auggie Wren”, quasi un film nel film, non è soltanto la chiusura di un cerchio che va a conferire senso a tutti i gradi di separazione fra i personaggi ma è, soprattutto, un atto d’amore nei confronti dello spettatore. “Innocent when you dream” canta Tom Waits mentre scorre il bianco e nero di uno dei finali più belli di sempre (chi non si commuove o è morto o è di pietra). Fatevi un regalo e riscopritelo. Ne vale assolutamente la pena.

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