Antiviral: recensione in anteprima del film di Brandon Cronenberg dal Science+Fiction

Il figlio di David Cronenberg, Brandon, dirige il suo primo film, l’horror sci-fi Antiviral: leggi la recensione in anteprima di Cineblog.

Di gabriargento  

Uno degli esordi del 2012 che qui a Cineblog aspettavamo con più ansia. Perché il cognome è sì ingombrante, ma ha ovviamente il suo perché: Antiviral, infatti, è l’opera prima di Brandon Cronenberg, figlio di David. E, per debuttare dietro la macchina da presa, Brandon sceglie una storia che richiama sin da subito il cinema che ha reso famoso il padre.

Virus, corpi, ossessioni e “mutazioni”: da padre a figlio il terreno resta quello. Gene di famiglia, si dirà, ed una predisposizione naturale nell’affrontare tematiche del corpo e della mente umana. Vogliamo sintetizzare Antiviral in poche righe? È come se il Cronenberg di oggi, quello dallo stile più freddo e levigato, dirigesse un suo film degli anni 80, come La mosca o Inseparabili, senza il flusso di parole di A Dangerous Method e Cosmopolis.

Se lo descriviamo così, diamo l’idea che Antiviral sia innanzitutto un lavoro fin troppo debitore del padre: ma, a prescindere da ciò, una pellicola di un fascino innegabile. Antiviral, di certo, di fascino ne ha da vendere. Così come ha dei pregi evidenti, che anche il più crudele tra i detrattori dovrà per forza riconoscergli. Ma né con il cuore né con la testa riusciamo ad impazzire per l’esordio di Cronenberg Jr., che è per chi scrive una cocente delusione.


Syd March è un dipendente della Lucas Clinic, una singolare clinica dove i fan morbosamente ossessionati da celebrità possono farsi iniettare i virus contratti da famose star, spingendosi a vette letali di comunione biologica. Un giorno Syd decide di usare il suo corpo come veicolo per rivendere sieri in maniera clandestina. Per farlo si infetta con il misterioso virus che ha ucciso la popolare Hannah Geist, e rende lui stesso oggetto della brama di collezionisti, criminali e fan. Trovare un antidoto diventa una questione vitale.

La storia e lo stile non mancano, in Antiviral. L’avanzamento tecnologico del reparto fantascientifico, poi, ha davvero un suo forte fascino, e comprende: i ReadyFace, strumenti che permettono di visualizzare letteralmente la “faccia” di virus e malattie (!); bistecche formate da tessuti muscolari delle celebrità e vendute in para-macellerie; trapianti poco legali di pelle, e via dicendo.

Sconsigliato ai belenofobici (sono tantissime le inquadrature in dettaglio di aghi di siringhe che perforano la pelle, e non solo), Antiviral si regge molto sulle spalle del suo attore principale. Caleb Landry Jones, ripreso molto spesso con il termometro in bocca, ha sicuramente un viso (ed una pelle!) particolarissimi, perfetti per il personaggio di Syd e per un’opera decisamente “bianca” come Antiviral. Peccato che Cronenberg gli faccia tenere un’andatura che ricorda Klaus Kinski in Nosferatu. Ma il ragazzo ha una mimica facciale e delle espressioni da urlo.

L’abbiamo chiamata opera “bianca”, ed Antiviral è davvero un film in cui domina questo colore chirurgico, disinfettato e lindo. Un colore che però è pronto, soprattutto nella seconda parte, ad essere sporcato dal sangue copiosamente sputato da Syd. Il quale si avvicina pian piano alla morte tentando di scovare un antivirale per la sua malattia e la verità sulla morte di Hannah, che ha il volto bellissimo di Sarah Gadon, musa dei Cronenberg (col padre ha lavorato nei suoi ultimi due lavori).


Antiviral ad un certo punto abbraccia anche il giallo, con un mistero da risolvere ed un colpevole da scovare. La svolta accade nel momento in cui entra in scena Malcolm McDowell, ormai abbonato – vedasi anche il cameo in Silent Hill: Revelation – a film che, da un certo punto in avanti, hanno bisogno di una specie di “deus ex machina” per rilanciarsi. Perché Antiviral, purtroppo, è soprattutto un film spento e monotono, che si guarda con l’occhio piuttosto appagato, ma senza restarne mai coinvolti.

Cronenberg Jr. ce la mette tutta a far sì che la sua fatica sia almeno ipnotica: oltre alla bellissima fotografia, ci sono all’attivo delle inquadrature pulitissime e simmetriche, altre a camera fissa, e poi altre ancora in cui, assieme al rallenti, il regista usa sinuose carrellate. Non si capisce però se proprio questo stile, che ricerca un segno autoriale a tutti i costi, sia la causa principale dell’incommensurabile tedio di molti passaggi del film.

Si potrebbe poi pensare che neanche il discorso “filosofico” dell’opera sia granché, anzi. Stiamo ancora a ragionare in questo modo sul concetto di celebrità? Antiviral però non vuole farlo, e qui va difeso: ragiona, più che altro, sull’adulazione della società contemporanea. Ragionando quasi come Andy Warhol, Antiviral ci dice che la celebrità ottenuta da una persona con la minor fatica possibile non è da condannare di per sé, perché si tratta di un processo che viene creato in primis da spettatori e adulatori, con tutte le conseguenze.

Dove si spinga poi questa venerazione, Antiviral lo spiega a suo modo, con invenzioni degne di nota, diluite però in un mare di noia pretenziosa. Avesse avuto un ritmo diverso e si fosse mantenuto con i piedi per terra, Cronenberg avrebbe sfornato un’opera viscerale e che avrebbe fatto contorcere seriamente cuore e budella. Così restano solo una scena intrigante che però sembra scimmiottare il cinema del padre e il Tetsuo di Tsukamoto (Syd che si “fonde” con metalli e tubi vari), e qualche spiegone finale di troppo.

Voto di Gabriele: 5

Antiviral (Canada / USA 2012, horror 110′) di Brandon Cronenberg; con Caleb Landry Jones, Sarah Gadon, Malcolm McDowell, Douglas Smith, Joe Pingue, Nicholas Campbell, James Cade, Lara Jean Chorostecki, Lisa Berry, Salvatore Antonio – Qui il trailer.

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