Antonello Branca: il piacere di cercare il racconto
Un editoriale di Italo Moscati sul regista italiano
Si parla tanto di documentari, ma è lecito chiedersi: ma di che si tratta, sono veri, autentici documentari? Per la maggior parte di essi, definiti in modi impropri, si tratta di programmi televisivi o di tipo di televisivo. Il tema può essere posto a dieci anni dalla morte di Antonello Branca, un regista sardo che ha viaggiato il mondo con la cinecamera in spalla.
E’ un tema importante che non può essere eluso. Ogni giorno, su tutte le reti, vediamo in prevalenza doc che si somigliano in modo impressionante. Lo stile è lo stesso e anche i contenuti, quasi sempre a carattere sociale. Consiste in immagini poco accurate inserite tra un’intervista e l’altra, un tormentone di luoghi comuni o di chiacchiere a vuoto;nella evaporazione dei contenuti e delle analisi.
Non restano negli occhi e nella mente che molte occasioni perdute. Branca andava in senso letteralmente opposto. Cominciò nel 1961 con doc girati a Londra, la capitale dei Beatles e di Mary Quant (la creatrice della minigonna). Poi si trasferì negli Usa e filmò la sensazione, il clamore, il grido di dolore per la uccisione del presidente Kennedy.
Tornò in Italia per girare il disastro del Vajont: scene straordinarie, strazianti, in una terra sconvolta dal crollo di una diga. Realizzò ritratti di Fellini e Mastroianni. Riprese la via dell’America per raccontare le avanguardie artistiche a New York, la vita a Los Angeles e la progettazione del futuro nei laboratori della California. E così via. Un lungo elenco di riprese e di interventi che sono i documenti di una storia che da essi può essere raccontata con ulteriori riflessioni a distanza di anni. Nel 1970 diresse un film “Seize the Time” che è un punto di riferimento per la rappresentazione della protesta dei neri.
Tra gli ultimi lavori film sulla multiculturalità, su Cinecittà, sulla crisi del 1929. Come si vede una gran varietà di proposte. Presentate con linguaggi diversi, ritmati, esaurienti. Si capiva e si capisce, non ci si perdeva e non ci si perde nei fumi presuntuosi e lacunosi delle televisioni di oggi. Televisioni che tradiscono il pubblico, non gli consentono di andare al cuore di personaggi e argomenti.
Perché? Perché esiste poco, pochissimo la cura del racconto, ovvero tutto quel che abbiamo imparato dal cinema migliore: la ricerca umile e precisa della profondità e non la schiuma delle cose; l’emozione di fronte ai fatti, spesso drammatici, capaci di segnare il tempo; lo stupore di un autore che non smette di interrogarsi mentre gira e di aiutarci a farci domande dopo risposte. Le televisioni danno in questi anni pseudo risposte dopo aver posto pseudo domande. Ecco, a dieci anni dalla morte di Branca, che conoscevo, voglio ricordarlo come persona, come regista, come autore sensibile.