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Bigger Than Us – Un mondo insieme: trailer italiano del film evento speciale al cinema dal 22 al 26 aprile

Tutto quello che c’è da sapere su Bigger Than Us – Un mondo insieme, il documentario prodotto da Mation Cotillard, evento speciale al cinema dal 22 al 26 aprile in occasione della Giornata della Terra.

22 Aprile 2023 09:17

Dopo il debutto a Cannes e in occasione della Giornata della Terra nei cinema italiani con Arthouse Bigger Than Us – Un mondo insieme, il documentario della regista e romanziera Flore Vasseur, prodotto dall’attrice Mation Cotillard, evento speciale al cinema dal 22 al 26 aprile.

Per più di 20 anni sono stata coinvolta in cause ambientali e sociali, cercando di sensibilizzare le persone per un mondo più equo. Diventando mamma, poi, ho sentito subito che i miei figli avevano tanto da insegnarmi. La nuova generazione sta scegliendo la vita e la dignità. E ci stanno mostrando la strada. Questo è il motivo per cui ho deciso di produrre questo film e aiutare Flore a fare luce su Melati e su tutti questi giovani attivisti che vogliono fare la differenza – Marion Cotillard coproduttrice

Bigger Than Us – La trama ufficiale

La trama ufficiale: Sono sei anni che Melati, diciottenne indonesiana, combatte l’inquinamento da plastica che devasta il suo paese. Come lei, un’intera generazione si sta ribellando per migliorare il mondo. Ovunque adolescenti e giovani combattono per i diritti umani, per il clima, per la libertà di espressione, per la giustizia sociale, l’accesso all’istruzione o al cibo; per la dignità. Soli, contro ogni previsione, a volte rischiando la vita e l’incolumità, proteggono, denunciano e si prendono cura degli altri e del pianeta. E cambiano tutto. Melati va ad incontrarli in tutto il mondo. Vuole capire come resistere e come continuare la propria azione. Dalle favelas di Rio ai remoti villaggi del Malawi, dalle barche improvvisate al largo dell’isola di Lesbo alle cerimonie dei Nativi Americani sulle montagne di Colorado, Rene, Mary, Xiu, Memory, Mohamad e Winnie ci fanno scoprire un mondo magnifico, di coraggio e gioia, di impegno per qualcosa di più grande di se stessi. In un momento in cui tutto sembra andare in frantumi, questi giovani ci mostrano come vivere. E cosa significa, oggi, fare parte del mondo.

Flore Vasseur – Note biografiche

Imprenditrice a New York all’età di 24 anni, Flore Vasseur ha vissuto attraversando la bolla di Internet, l’11 settembre e un sistema capitalista che si incrinava da tutte le parti. Da allora ha scritto libri, articoli e documentari televisivi per comprendere la fine di un mondo e l’emergere di quello nuovo. Con i suoi quattro romanzi, spaventosamente lucidi, attacca il controllo della finanza e la follia di un mondo basato sulla tecnologia. Mette in discussione la nostra relazione con il potere, l’élite ormai nel panico e pone la domanda: “Chi governa?”. Accanto a questo approccio di decifrazione e a volte di denuncia, intraprende un lungo lavoro sull’attività dei difensori dei diritti e degli informatori che denunciano internamente. A Mosca ha diretto Meeting Snowden, un cortometraggio sull’ex appaltatore della NSA. Il suo ultimo libro, What Remains of Our Dreams, è un romanzo investigativo sulla storia poco conosciuta di Aaron Swartz, il bambino prodigio dell’uso dei codici di programmazione, che ci voleva liberi ed è stato perseguitato dall’amministrazione Obama. Logica continuazione dei suoi quindici anni di indagine e scrittura, Bigger than Us è il suo primo film documentario. Fondamentalmente il suo lavoro riguarda il libero arbitrio, l’impegno e il coraggio, la voglia di vivere e di essere meritevoli.

Melati Wijsen – Note biografiche

Dall’età di 12 anni lei e sua sorella Isabel, che allora aveva 10 anni, hanno combattuto l’inquinamento da plastica con la loro iniziativa Bye Bye Plastic Bags. Insieme hanno mobilitato migliaia di bambini e di turisti e hanno ottenuto un decreto che vieta la vendita e la distribuzione di sacchetti di plastica, imballaggi e cannucce sulla loro isola. Melati crede nel potere della sua generazione e sta ora sviluppando Youthtopia, una piattaforma di educazione e condivisione degli strumenti per tutti i giovani che vogliono essere coinvolti.

Gli altri attivisti – Note biografiche

Mohamad al Jounde – Libano

All’età di 12 anni ha costruito una scuola in un campo a El Marj, al confine del Libano con la Siria. Fuggito dalla guerra in Siria con la sua famiglia, aveva perso tutto, a partire proprio dalla scuola. Oggi, 200 bambini rifugiati siriani frequentano ogni giorno la scuola creata da Mohamad. La scuola non è solo un luogo di apprendimento, ma anche di sicurezza. Mohamad crede nell’incredibile forza dei rifugiati, in particolare dei bambini e nel potere trasformativo delle loro storie. In Libano una persona su quattro è un rifugiato; il 54% di questi rifugiati sono bambini (UNHCR).

Memory Banda – Malawi

Ha avuto il coraggio di sfidare la tradizione dello stupro istituzionalizzato di giovani ragazze in campi di iniziazione appositamente dedicati. Ha bloccato la pratica a livello nazionale e successivamente ottenuto che la Costituzione del Malawi fosse modificata per aumentare la maggiore età dai 15 ai 18 anni, in modo da proteggere le ragazze dai matrimoni forzati.
Memory ora si dedica all’emancipazione delle ragazze, assicurando loro diritti e facendole rimanere a scuola. In Malawi il 42% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni; a livello globale significa una ragazza su cinque (Unicef).

Xiutezcatl Martinez – Stati Uniti d’America

Ha portato in tribunale lo Stato del Colorado e poi gli Stati Uniti per la mancata protezione delle generazioni future. Ha fatto imporre una moratoria sulla produzione del gas di scisto in Colorado; ha fatto mettere al bando l’uso di pesticidi nei parchi per bambini. Oggi usa la sua arte, la musica e il rap per portare avanti la sua lotta per la giustizia ambientale e per difendere la sua eredità: la saggezza dei popoli primitivi.

Mary Finn – Grecia

Dall’età di 18 anni è stata coinvolta in operazioni di salvataggio dal mare dei migranti al largo della costa della Grecia, della Turchia e della Libia, o per accoglierli nei campi in Grecia. È testimone della condizione dei rifugiati in Europa e delle conseguenze sulla politica europea. Attualmente Mary sta studiando per diventare ostetrica in modo che il suo lavoro di aiuto umanitario emergenziale sia ancora più rilevante e utile. Ci sono 80 milioni di rifugiati oggi, di cui solo il 16% vive nei paesi occidentali. Ce ne saranno 200 milioni entro il 2050 (UNHCR).

Rene Silva – Brasile

All’età di 11 anni, ha creato il primo media per condividere informazioni e storie sulla sua favela, scritte da e per la comunità, «Voz Das Comunidades». Lui e il suo team di 16 giornalisti raccontano la storia della loro vita quotidiana fatta di povertà, disuguaglianza, razzismo ma soprattutto resilienza. Di fronte a uno Stato sempre più dittatoriale e a disuguaglianze sociali esplosive, René crede nel giornalismo di resistenza dal basso e nel potere delle comunità. 397 attivisti e giornalisti sono stati uccisi in tutto il mondo nel 2020, 264 di loro in America Latina (ISF e IFG).

Winnie Tushabe – Uganda

Ha lanciato Yice, un’iniziativa per insegnare alle persone più povere rifugiate in Uganda le basi della permacoltura in modo da poter sopravvivere in terre distrutte dai pesticidi. La sicurezza alimentare e lo sviluppo del baratto e del piccolo commercio consentono loro di garantire l’accesso dei propri figli alla scuola. Winnie si occupa di quasi 900 famiglie e ha creato più di 50 posti di lavoro per giovani e donne. Per Winnie le donne, e in particolare le donne agricoltrici, salveranno l’Africa. L’84% del suolo del continente è distrutto o gravemente danneggiato dai pesticidi (FAO).

Intervista a cast e regista

La regista Flore Vasseur racconta come ha incontrato Marion Cotillard, coproduttrice del film.

Sappiamo tutti che Marion è molto impegnata in cause sociali, ma siamo meno consapevoli di ciò che questo implica e di quello che può innescare. Ci siamo incontrate durante un fine settimana in cui imprenditori sociali, attivisti e cineasti si sono riuniti attorno all’attivista indiano Satish Kumar. Marion era venuta con la sua bambina di cui si occupava tra le sessioni di lavoro. Mi sono ritrovata a guardarla più volte, toccata dai gesti e dall’amore che dimostrava per lei. Mi sono riconosciuta nel modo in cui le parlava, la vestiva, la metteva a dormire, nel modo in cui era madre. Nel suo modo di essere madre. E Bigger than Us, penso, è anche un progetto materno. Mi sono avvicinata con la paura di disturbarla, per poco quasi me ne andavo. Marion è troppo spesso avvicinata da persone che pensano di avere il Graal; ma qualcosa le è suonato giusto e ha voluto sapere di più del mio progetto cinematografico. Ci siamo incontrate di nuovo il giorno successivo a Parigi e da quel momento siamo sempre rimaste l’una a fianco all’altra. Da un film sulle madri, è diventato un film sulle sorelle.

Flore Vasseur racconta come l’attrice ha contribuito concretamente al progetto.

Con la cosa più importante: la fede. Quante volte mi ha rimesso in sella, quando ero stanca o scoraggiata, sul punto di darmi per sconfitta o alla ricerca di una facile via d’uscita. Marion ha una presenza straordinaria. Quando è con te puoi sollevare le montagne. Marion è stata presente in ogni fase, in ogni momento difficile…per quanto riguarda il suo contributo la cosa più importante: la fede. Quante volte mi ha rimesso in sella, quando ero stanca o scoraggiata, sul punto di darmi per sconfitta o alla ricerca di una facile via d’uscita. Marion ha una presenza straordinaria. Quando è con te puoi sollevare le montagne. Come produttore ha anche portato una persona chiave per il progetto, Christophe Offenstein, il direttore della fotografia. È estremamente esperto, straordinariamente calmo e ha un cuore d’oro, e si è impegnato completamente in questo progetto e nel suo scopo. Mi ha anche messo in mano una videocamera e mi ha detto di riprendere le mie immagini in modo che il film fosse il più vicino possibile a ciò che avevo in mente. E in effetti, l’abbiamo usata molto. È così che sono realmente entrata nel film. Marion è stata anche presente a tutti gli incontri. Certamente ci ha aiutato ad aprire le porte giuste. E non ha permesso che qualcosa passasse inosservato. Nessuna strada facile.

La regista racconta come ha conosciuto la giovane attivista Melati Wijsen.

Nel 2016. È tutto collegato a un momento molto speciale della mia vita di madre, e in quel momento è iniziato tutto. All’epoca mio figlio aveva sette anni e un giorno a pranzo mi guarda e dice: “Cosa vuol dire che il pianeta morirà?” Mia figlia, che aveva tre anni di più, mi guarda con i suoi grandi occhi: “Che succede qui?”. Mi sono detta: ho due opzioni, o rispondo “No, micino, non succederà mai, mangia la tua carne tritata”, oppure parlo apertamente. Quindi dico: “Vedi, significa che siamo in un momento in cui forse è iniziata un’estinzione di massa, ma ce ne sono già state cinque o sei, e la vita è sempre ricominciata …”. Mi sono resa conto che glielo stavo spiegando in un modo molto goffo! Vedo due paia di occhi che mi guardano, erano attenti come non mai. Mio figlio mi interrompe: “Va bene, ma come faccio a non morire?” Cerco di pensare velocemente ma lui è più veloce di me: “Beh, se ho capito, mamma, se come hai detto è per l’inquinamento e tutto il resto, allora mi chiuderò in casa, così non morirò.” Gli dico: “Vedi, non puoi rimanere rinchiuso in una casa perché ci sono mobili su cui c’è …”. Sono totalmente fuori strada. Ma lui pensa e fortunatamente pensa meglio di me: “Beh, andrò in cima alla montagna, dove l’inquinamento non arriva, quindi posso sopravvivere”. “Sì, ma cosa hai intenzione di fare in cima alla tua montagna? È un po triste, no? ” Lui risponde: “Sì, hai ragione. Allora potrei essere il presidente della Repubblica così chiuderei tutte le fabbriche! ” Visto che odia la scuola aggiungo un altro spunto: “Sì, ma per essere presidente devi imparare la storia, il Francese, devi saper scrivere molto bene”; “allora potrei essere un cosmonauta, così tu, papà e mia sorella potreste andare su un altro pianeta!”. Dico: “Sì, certo, ma devi imparare la matematica!”. Poi, un po’ rassicurato, mi dice: “E tu cosa fai? Cosa stai facendo per non far morire il pianeta, mamma?”. Gli dico che scrivo libri e film sulla corruzione, sui programmi segreti e tutte queste cose, ma non c’è niente che io possa realmente fare: “No, ma seriamente, mamma, cosa fai?”. “Beh, vedi, prendiamo il treno, non possediamo un’auto, mangiamo cibo biologico…”. Per la terza volta: “Mamma, cosa stai facendo?”; “d’accordo, senti, probabilmente non abbastanza”.

Flore Vasseur su Melati Wijsen e il rischio con questo progetti di farne un’eroina cinematografica.

Io adoro Melati, la trovo straordinaria; sono molto colpita dal suo impegno, dalla sua forza. Ma c’era qualcosa che non era giusto per questo film e per la storia che volevo catturare e far vivere: era il lato super-recitativo che poteva avere. In Asia è davvero la Greta Thunberg locale: è molto abituata alle riprese, abituata a veicolare lo stesso messaggio con molto automatismo, è a suo agio davanti alla telecamera. È davvero impressionante ma completamente controproducente. Volevamo cercare qualcosa sotto la superficie e Melati ha una superficie perfetta. Volevamo qualcosa di molto più forte. Non negoziabile. Melati stava perdendo il suo spirito infantile attraverso il modo in cui si era formata e attraverso i reportage per la CNN; e invece era esattamente ciò che stavamo cercando, è questa parte di noi che deve essere svegliata oggi, universale e al di là delle generazioni. Per ottenerlo abbiamo dovuto farla uscire dalla sua zona di comfort. Non è stato facile perché mi ha messo in una situazione di dubbio del tipo: “Ma chi sono io per dirle cosa dovrebbe o non dovrebbe fare? Chi sono io per dirle che ha l’atteggiamento giusto o sbagliato?” Questo tipo di onnipotenza del regista è qualcosa verso cui sono davvero diffidente. Hai la macchina da presa, hai le domande, sorprendi le persone che stai intervistando: c’è un aspetto completamente totalitario. E Melati allo stesso tempo è dura, è come uno stallone indomabile: se le metti una museruola se ne va. Ma avevo bisogno di lei e non volevo privarmi di questa interazione da “giovane a giovane” che è la meccanica del film; non volevo un film in cui l’adulto si sporge in un gesto quasi condiscendente; non volevo trasformarli in teatro o personaggi di un circo. Volevo ascoltarli. Vederli andare d’accordo e organizzarsi. Essere sorpresa e aperta. E volevo dare loro tutta lo spazio del mondo in un momento in cui solo i soliti esperti, fatti tutti con lo stesso stampo e che ripetono le stesse idee da decenni, hanno il diritto di parlare. Soluzioni e genio sono ovunque. Se presti attenzione. Considerazione.

Melati Wijsen parla di Flore Vasseur e del rapporto che si è creato durante le riprese.

Quando ho incontrato Flore per la prima volta ho avuto la sensazione di parlare con qualcuno che già conoscevo: la comprensione fu immediata, tutto sembrava semplice, ovvio. Nell’aprile 2016, Flore era venuta a Bali per fare un documentario sulla lotta per vietare i sacchetti di plastica che stavo conducendo con mia sorella e, a quel tempo, incontravamo squadre di ripresa quasi ogni settimana. Ma questa ripresa in particolare aveva un sapore speciale: per Flore non era chiaramente solo un altro lavoro. Era molto di più e, in linea generale, tutto ciò che fa è “molto di più”. C’è una sorta di lotta nel modo in cui lo fa. Avevo forse 15 anni quando l’ho incontrata per la prima volta e mi ha fatto un’enorme impressione.Da quella prima volta a Bali mi sono accorta che Flore e io abbiamo continuato a parlare anche molto dopo le riprese, lontano dalle riprese, anche se avevamo appena trascorso due ore davanti alla telecamera. In strada, davanti a un caffè, non ci siamo mai fermate, avevamo così tanti argomenti di cui parlare. È stata questa valanga di parole incrociate che mi ha fatto pensare che saremmo diventate grandi amiche. Flore è ossessionata dal permettere alla tua voce di essere ascoltata e ascoltata con attenzione. Quando intervista una persona ci impiega molto tempo, torna più volte ai punti che potresti non aver capito e si assicura che tu sia riuscito davvero a esprimerti come volevi. Per descrivere la sua presenza di fronte alla persona che sta intervistando, la chiamerei «ascolto attivo». Le sue capacità di ascolto e le sue aspettative ti spingono a dare il meglio davanti a lei. Ed è tutto ancor più galvanizzante perché non apparteniamo alla stessa generazione. Il fatto che Flore metta così tanta energia per far conoscere la voce dei giovani attivisti in tutto il mondo è, per me che sono ventenne, molto toccante.

Wijsen racconta il suo stato d’animo e le sensazioni provate durante le riprese in ciascuno dei paesi in cui il documentario ha fatto tappa.

Mi è piaceva moltissimo la prima ripresa in Libano. Avevo grandi aspettative e già provavo, senza averlo ancora incontrato, una grande complicità con Mohamad. Ma subito dopo il nostro arrivo abbiamo appreso che Mohamad era bloccato in Svezia: non lo lasciavano venire in Libano a causa di un problema con il visto – un problema che è stato poi risolto. Quando mi sono resa conto che il suo status di rifugiato siriano gli impediva di viaggiare liberamente come potevo fare io, sono andata in pezzi. Avevo volato per ore, ero lì, felice, libera… lui non poteva farlo. È stato uno shock terribile. Improvvisamente tutte questi problemi di nazionalità, di passaporto e di identità mi sono esplosi in faccia e questa esperienza ha fatto scoppiare la piccola bolla di conforto in cui stavo galleggiando. Alla fine, siamo riusciti a girare con Mohamad e ho trovato in lui un’anima gemella. Sulla via del ritorno a Bali non riuscivo a dormire sull’aereo, ho riempito pagine di quaderni – cosa che poi ho fatto anche in seguito, al ritorno da ogni viaggio. Dopo quella prima esperienza in Libano il mio approccio a questi viaggi è cambiato. Sull’aereo per il Brasile, per l’Uganda, per la Grecia, ho sempre cercato di svuotare la mia mente. Organizzare i miei pensieri in modo da non avere aspettative. Leggevo le note e la documentazione che la produzione mi dava, ma verso la fine del volo chiudevo gli occhi e lasciavo che il vuoto e la sensazione dell’ignoto prendessero il sopravvento.

Wijsen spiega cosa gli ha trasmesso il film e quando secondo lei quando il film avrà raggiunto il suo obiettivo…

Mi ha dato un rinnovato senso di dialogo profondo, incontrare persone nel senso più umano e più completo. Ho ricevuto un’istruzione in cui questi valori erano centrali: prendersi il tempo per andare verso l’altro, prendersi il tempo per ascoltare qualcuno che non ha le stesse tue esperienze. Ma questa fame di conoscenza era un po’ svanita quando il mio lavoro di attivista in Indonesia ha preso il sopravvento. Il film mi ha riportato a questo, a quel piacere e necessità. “Bigger than Us” ha un impatto su di me ogni giorno. La pandemia avrebbe potuto costringerci a rinchiuderci noi stessi, a ritirarci, ma con Youthtopia, l’organizzazione in cui sono attiva in Indonesia, abbiamo fatto esattamente l’opposto, moltiplicando gli spazi di dialogo, i seminari online, le conferenze tramite schermi. Ovviamente non è l’ideale, ma è comunque un modo per andare avanti. Sarà un successo se ci accorgeremo che le persone che lo vedono si sentono rafforzate. Se diranno a loro stesse che anche loro possono agire, che hanno un ruolo da svolgere, per quanto modesto, e che spetta a loro muoversi. Il film dice questo, ci dice che tutti dovrebbero essere ispirati da questi giovani pieni di vita e coraggio incontrati da Flore e dalla sua squadra. Questi ragazzi e ragazze, su cui la paura sembra non avere alcuna presa, si sono messi in moto in giovane età, perché sanno che il tempo sta per scadere. Spero che siano una fonte di ispirazione per quante più persone possibile.

[Intervista di Emmanuel Tellier]

Bigger Than Us – Foto e poster