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Cineblog sconsiglia: Gangs of New York

Gangs of New York (idem – USA 2002) di Martin Scorsese, con Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz, Daniel Day-Lewis, Liam Neeson, Barbara Bouchet.Stasera, Mercoledì 27 febbraio, ore 21.10 su Rete 4New York, 1846. Il quartiere di Five Points è territorio conteso da varie bande di malviventi che convivono, con le forze di polizia. A seguito

27 Febbraio 2008 10:07

Gangs of New York (idem – USA 2002) di Martin Scorsese, con Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz, Daniel Day-Lewis, Liam Neeson, Barbara Bouchet.

Stasera, Mercoledì 27 febbraio, ore 21.10 su Rete 4

New York, 1846. Il quartiere di Five Points è territorio conteso da varie bande di malviventi che convivono, con le forze di polizia. A seguito dell’ultimo, sanguinario scontro, fra le opposte fazioni, si afferma come capo indiscusso della zona il gruppo dei Nativi. In questo contesto drammatico farà la sua comparsa Amsterdam, orfano del padre, ucciso da William Cutting, leader dei nativi. Amsterdam farà il possibile per ottenere la propria vendetta.

Diciamolo chiaramente: Gangs of New York è un film decisamente brutto. Atteso come la pellicola di punta del 2002, e preceduto nelle sale da un’interminabile sfilza di notizie, spesso contraddittorie, sulla sua produzione (che ad un certo punto sembrava non dovesse aver mai fine) il film di Martin Scorsese, anche se esaltato da molti, deluse la maggior parte delle aspettative. Il cinefilo statunitense, alla sua prima esperienza con un kolossal, manca clamorosamente il colpo, realizzando un film terribilmente (e colpevolmente) discontinuo, offensivamente didascalico, con poche invenzioni di regia degne di tale nome, e tutta una serie di concessioni alle mode correnti che, ad associarle al nome di una vecchia volpe del mestiere come lui, viene quasi vergogna. Si pensi solo, a questo riguardo, alla scena di battaglia iniziale fra la gang dei Nativi e quella dei Dead Rabbits, che sembra ripresa pari pari, ralenty e caratterizzazioni da villain da fumetto Golden Age compresi, da uno qualsiasi dei più recenti, e scadenti, action movie degli ultimi anni.

Continuando a parlare dello stile, questo continuo oscillare fra cinema d’autore, citazionismo esasperato (e spesso invadente), e il continuo ammiccare al pubblico meno attento, contribuiscono a creare un prodotto che non acquista mai una sua precisa identità. Una ricostruzione talmente puntigliosa da diventare, per paradosso, irrealistica (sicuramente uno dei peggiori lavori dell’ottimo Dante Ferretti, qui didascalico e spesso teatrale) si accompagna, in un cammino stridente, alla caratterizzazione del personaggio interpretato da Lewis (quello del macellaio appunto), reso tutto attraverso ghigni e e occhiatacce, meraviglioso di per se, ma qui, specie se confrontato con lo stile recitativo degli attori, certo più naturalistico, fuori posto, come se, e si parla per precisa analogia, Fagin, l’ebreo di Dickens, avesse fatto una passeggiata fuori tempo a Cinecittà. Questa incertezza, che potrebbe anche derivare dai burrascosi rapporti fra il produttore e il regista, influisce pesantemente sul tono del racconto che procede, stanco e incerto (e spesso in maniera incongruente) dal racconto morale, alla Dickens appunto, al saggio antropol-sociologico, al romanzetto rosa (la ridicola e davvero poco appassionate storia d’amore fra Amsterdam e la bella di turno), all’apologo morale. Troppa carne, al fuoco, davvero…e per arrivare dove?

Se si fa bene attenzione i più strenui difensori di questo film evitano, generalmente, di sottolinearne le qualità narrativa, per puntare l’attenzione sulle tematiche difficili che affronta, e soprattutto, sul suo intrinseco valore politico e antropologico. Naturalmente, considerata anche la data di uscita, non fu difficile leggerlo come una sorta di condanna delle azioni violente dell’America post undici settembre. Anche volendo accettare questa tesi, che ormai praticamente si applica ad ogni film in uscita (dovrebbero far nascere un nuovo genere, quello del “post 11/09”), da Cloverfield ad American Pie, questo non servirebbe ad altro che a sottolinearne ancor di più i limiti. Perché, parliamoci chiaro, come saggio di sociologia “Gangs of New York” è francamente deludente.

Che stupore: la violenza nasce nelle strade. Che scandalo: anche gli Stati Uniti hanno una storia sanguinaria che, guarda un po’, coinvolge anche le semicivilizzate metropoli e non solo i territori del grande ovest. Ullallà: la storia è fatta di concatenazioni di eventi che legano indissolubilmente il passato con il futuro. Quindi attenta America, ieri come oggi rischi di avere le mani lorde di sangue.

E se il discorsetto da bar non fosse stato abbastanza chiaro, Scorsese non ci risparmia uno dei più brutti finali della storia del cinema, la ciliegina didascalica della quale proprio non si sentiva il bisogno. Un veloce fast forward degli anni che separano i fatti narrati per ricongiungerli ai nostri. Peccato che le due torri gemelle, simbolo ancora molto forte di un’America al tempo stesso ferita, oltraggiata e terribilmente vendicativa, restino sornione e sorde al loro posto.