Home Recensioni Fair Game – Caccia alla Spia: la recensione in anteprima

Fair Game – Caccia alla Spia: la recensione in anteprima

Fair Game – Caccia alla Spia (Fair Game) Regia di Doug Liman. Con Sean Penn, Naomi Watts, Sam Shepard, Bruce McGill, David Andrews, Byron Utley, Deidre Goodwin, Naeem Uzimann, Jesse Daly, Khaled Nabawy, Scott Takeda, Anastasia Barzee, Melody Weiss, Kevin Makely, Quinn Broggy, Rebekah Paltrow, Ty Burrell, David Denman, Noah Emmerich, David Warshofsky, Anand Tiwari,

pubblicato 19 Ottobre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 19:42

Fair Game – Caccia alla Spia (Fair Game) Regia di Doug Liman. Con Sean Penn, Naomi Watts, Sam Shepard, Bruce McGill, David Andrews, Byron Utley, Deidre Goodwin, Naeem Uzimann, Jesse Daly, Khaled Nabawy, Scott Takeda, Anastasia Barzee, Melody Weiss, Kevin Makely, Quinn Broggy, Rebekah Paltrow, Ty Burrell, David Denman, Noah Emmerich, David Warshofsky, Anand Tiwari, Sean Patrick Reilly

Dopo un esordio indipendente di buon effetto con il tarantiniano Go – una notte da dimenticare e una prova di muscoli con l’adrenalinico The Bourne Identity, primo episodio della saga con Matt Damon, Doug Liman sembra voler dimostrare (più a se stesso che al pubbllico) di essere un regista in grado di lavorare anche su un tema più complesso e delicato rispetto alle facezie della coppia Brangelina di Mr & Mrs. Smith. Liman infatti affronta un tema di forte attualità mascherando il progetto da thriller, ottenendo però un risultato che soddisfa poco il palato degli appassionati di spy story e che non riesce a risultare abbastanza forte dal punto di vista della denuncia sociale che vorrebbe lanciare.

Ma andiamo per ordine. Il film racconta la storia (vera) di una donna, agente sotto copertura della CIA e di suo marito, funzionario governativo per questioni di politica estera. Spinta dai loro saldi principi morali la coppia cerca di dimostrare che la smoking gun che ha motivato il governo Usa nell’intervento militare in Iraq, ovvero la presenza di armi di distruzione di massa, fosse in realtà una montatura. Come l’attualità italiana ha recentemente dimostrato, anche negli Stati Uniti i mezzi di comunicazione sono spesso utilizzati a “fini” politici per gettare del discredito sugli avversari e gli oppositori. Accade così che la vita di un agente venga distrutta quando la copertura viene fatta saltare, e la credibilità di un politicante inizia a vacillare quando le accuse di favoritismi e di comunismo vengono fatte con la voce grossa, amplificata dai media!

Il cinema americano sta velocemente superando gli ostacoli morali e materiali che hanno sempre costituito un ostacolo nel rappresentare le guerre ancora calde, tanto che sia Iraq che Afghanistan sono già diventati argomento di numerosi film che attraverso la fiction offrono uno spaccato della realtà, o di quella che dovrebbe essere la realtà. In questo caso Doug Liman parla di una guerra senza mostrare alcun conflitto, sparatoria o campo militare. Le armi della diplomazia possono essere più letali di quelle usate durante uno scontro a fuoco e i protagonisti della storia di Fair Game ne sono testimoni in prima persona. La strategia utilizzata dal governo americano è quella ormai nota secondo cui chi fa la voce più grossa non ha bisogno di dimostrare in altro modo che le sue ragioni sono nella parte del giusto. Accade così che non siano mai state esibite le prove dell’esistenza delle armi di distruzione di massa, causa della guerra, ma che la continua e pressante campagna mediatica in proposito abbia giustificato l’intervento militare agli occhi dell’opinione pubblica. Tutti coloro che si sono messi di traverso per dimostrare il contrario sono stati spazzati via come da un fiume in piena. O meglio, quasi tutti…

Il cinema sta forse cercando di raccontare al pubblico americano come si sia arrivati alla guerra in Iraq, avendo come punto di partenza la lotta contro il terrorismo internazionale, due temi che oggi non sembrano più strettamente correlati come invece hanno cercato di farci credere. E ci sono riusciti.

Fair game ben rappresenta lo spirito progressista che da anni viene incarnato dal suo protagonista, Sean Penn, storicamente impegnato in campagne pacifiste contro le politiche della Casa Bianca. La storia vera dovrebbe contribuire a rafforzare il messaggio che il film vorrebbe veicolare, ma il film non funziona e le sue pecche sono purtroppo legate alla sua dimensione prevalentemente cinematografica. L’incipit si dilunga in una fluviale introduzione dei personaggi e dell’ambiente in cui sono immersi, mentre la seconda parte in cui combattono soli contro il sistema non offre sviluppi narrativi che riescano a coinvolgere lo spettatore. Sebbene il messaggio sia forte e chiaro manca un elemento di coinvolgimento per cui impersonarsi nella vita dei due protagonisti, ma il problema è che non tutte le storie, per quanto significative, possono essere raccontate per come sono accadute.

Fair game risulta così un film che non riesce a mantenere i ritmi del thriller a cui ci ha abituato Liman, ma non ha nemmeno la forza di accusa di un film sociale che riesca a smuovere le coscienze, in un flusso continuo di retorica della sfiducia popolare nei confronti delle istituzioni.

Fair Game – Caccia alla Spia uscirà nei cinema venerdì 22 ottobre. Qui potete vedere il trailer.

Voto Carlo 5