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Il lato positivo – Silver Linings Playbook: Recensione in Anteprima

L’ingenuità è una malattia? Oppure sarebbe meglio chiedersi se non si tratti di un mero equivoco quello che confonde i termini ingenuità e genuinità, considerandoli superficialmente alla stregua di beceri sinonimi. Anche in questo caso, tuttavia, la risposta parrebbe univoca: di genuinità comunque si soffre.

pubblicato 19 Febbraio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:25

Parecchi sono i temi che David O. Russell tende a mettere in discussione con questa sua ultima fatica. Osannato a Toronto, Il lato positivo – Silver Linings Playbook si accinge ad approdare dalle nostre parti forte anche di ben otto nomination agli imminenti Oscar. Responso già abbastanza lusinghiero, che calamita sulla pellicola una discreta attenzione, a dire il vero nient’affatto infondata.

Sì perché in questo film si racconta una storia, più storie. Di assurdi imprevisti, di meravigliosi fallimenti; una storia tutta americana, insomma, tanto tragica nei contenuti quanto leggera nelle nette sfumature di cui è stata dotata. Sulla (im)possibilità di un’esistenza normale a fronte di una società normalizzatrice, che anziché formare deforma quelle personalità di cui ritiene stupidamente di poter fare a meno.

Pat Solatano (Bradley Cooper) è appena uscito da un istituto psichiatrico, all’interno quale ha trascorso gli ultimi otto mesi a seguito di un pestaggio a sangue: troppo incontrollabile per restare a piede libero. Tornato a casa, il povero Pat dovrà confrontarsi non solo con sé stesso ma anche con la velata diffidenza di chi gli sta accanto. A partire dai propri genitori, comprensibilmente tesi anche se in fin dei conti felici di riavere il proprio figlio a casa (specie la madre, Jacki Weaver; il padre, Robert De Niro, inizialmente si limita più che altro a servirsi del figlio come utile talismano).

Dopo pochi giorni, Pat conoscerà una ragazza, anch’ella problematica, tale Tiffany (Jennifer Lawrence): giovane vedova dal passato “burrascoso”, o come direbbe lei, da «troietta». Elementi instabili, dunque, dal cui incontro Dio solo sa cosa potrebbe mai scaturire. Beh, anzitutto la trama, che pur non poggiando sullo stravagante duo, viene mano a mano risucchiato dalle vicende che lo vedono coinvolto.

Ma come abbiamo evidenziato in apertura, giace un sottotesto piuttosto chiaro sopra e sotto la pelle de Il lato positivo, ossia la messa in discussione (non esattamente una denuncia tout court) della normalità così come la intendono i più. Quell’ordinarietà che ha reso i normali insipidi, privi di quel sale che a conti fatti abbonda in portate come Pat e Tiffany. Russell si destreggia abbastanza abilmente in questo sottobosco di questioni sin troppo dibattute (spesso e volentieri male), senza calcare troppo la mano ed evitando di scadere eccessivamente nella banalità ricattatoria. Un percorso attraverso il quale si tenta di capire, in maniera efficace, quale sia il confine tra sanità e follia.

Il personaggio di Bradley Cooper riesce talvolta a mettere in “soggezione”, talaltra a prodursi in un’ingenuità adorabile. Repentini sbalzi di umore tipici non tanto del malato di mente, quanto del bimbo che sperimenta per la prima volta la complessa e variegata tavolozza di emozioni di cui è capace l’animo umano, riuscendo per esempio a sedare il suo severo e rumoroso disappunto dopo aver estemporaneamente ricevuto un iPod: «è davvero per me?», domanda con l’espressione meravigliata di un bambino che non aveva affatto messo in conto un dono del genere.

Ma soprattutto, ciò che lo distingue, in particolar modo nelle prime fasi, è la sua assoluta mancanza di freni inibitori: una macchina della verità senza cavi, costantemente accesa e pronta a sparare a zero senza che nessuno glielo abbia chiesto. Rientrano in questa cornice alcune delle uscite più divertenti e, se vogliamo, più intelligenti del film. Basti pensare a quale argomento lo avvicina a Tiffany, appena conosciuta, ossia i farmaci che gli sono stati somministrati: Lithium, Seroquel e Abilify divengono parole magiche nel regno incantato dei due, che con la stessa disinvoltura e disinteresse con cui discutono di tutto ciò cominciano ad investigare sui rispettivi passati.

Niente di particolarmente approfondito, anzi. Russell (che ha curato regia e sceneggiatura) preferisce non indulgere sui profili dei suoi protagonisti, lasciando allo spettatore un discreto raggio d’azione. Tutto si concentra sull’hic et nunc, quel qui e adesso le cui poche deroghe restano comunque funzionali alle vicende in corso, senza digressioni fini a sé stesse. Al regista non importa metterci a parte di un retaggio con su scritto un nome, bensì di mostrarci una delle possibili reazioni ad uno o più eventi-limite.

Non a caso tutto si regge su una serie di dialoghi ben congegnati, a cui buona parte delle altre operazioni restano asservite in toto: questo il caso, per esempio, del montaggio, modulato a seconda della vivacità del momento. In tal senso risultano essenziali ruoli marginali ma ben condotti come quelli di De Niro, o della già citata Weaver, così come di Chris Tucker ma soprattutto John Ortiz. Sono loro a contribuire al lievitare di una narrazione che mai sfocia nell’andamento corale, pur a tratti andandoci vicino.

Anche perché in fondo i veri protagonisti sono loro due, Pat e Tiffany (tanto bravi entrambi). Speculari, l’uno all’altro, con la commovente innocenza del primo che fa da contraltare al tono disinibito della seconda: due disordini diversi, ma verso cui non si può fare a meno di simpatizzare. Tra chi defenestra un Hemingway per la presunta assurdità di un finale e chi invece si dice disposta a farsi sbattere, purché a luci spente, l’esplosiva coppia tenta involontariamente di darci qualche lezione – non di morale ma di freschezza («forse perché riusciamo a vedere cose che a voi altri sfuggono»).

Non fosse per certi risvolti telefonati (la lettera della moglie), misti ad altri un po’ forzati (il brano che ossessiona Pat presso l’ufficio dello psichiatra), poco altro ci sarebbe da aggiungere, nonostante un finale che asseconda pressoché alla lettera quella pretesa positività a più riprese rivendicata durante l’arco dell’intero racconto («Excelsior!»). Ciò detto, Il lato positivo resta un film che scende giù che è un piacere, senza intoppi o particolari tempi morti, sebbene la prima ora circa resti insuperata rispetto alla parte successiva.

Che ogni amore sia folle o che ogni follia sia amabile, sembra cambiar poco. E se le cosiddette anomalie hanno scambiato la propria ordinarietà per una manciata di pillole, c’è da chiedersi perché i cosiddetti ordinari non siano altrettanto disposti a dare qualcosa in cambio pur di accedere all’anomalo che c’è in loro. Ma forse sarebbe troppo confortante, per i normali, se fosse tutto così complesso; e in fin dei conti tra l’essere positivi ed essere ottimisti c’è una bella differenza.

Voto di Antonio: 7,5
Voto di Gabriele: 5

Il lato positivo – Silver Linings Playbook (Silver Linings Playbook, USA, 2012). Di David O. Russell, con Bradley Cooper, Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Jacki Weaver, Chris Tucker, Anupam Kher, Shea Whigham, Julia Stiles, Taylor Schilling, Dash Mihok e John Ortiz. Nelle nostre sale dal 7 Marzo.