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In Time – Recensione in Anteprima

Andrew Niccol torna alla fantascienza con il thriller In Time. Ecco la recensione in anteprima di Cineblog

pubblicato 16 Febbraio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 04:01

C’è una cosa che anche degli ipotetici detrattori di Andrew Niccol non potrebbero negare: il regista neozelandese non si preoccupa solo di creare film, bensì mondi. Lasciando un attimo da parte la loro credibilità, basta dare un rapido sguardo alla sua filmografia. Qualunque sia la pellicola in cui, a vario titolo, appare il suo nome, il contesto è sempre il vero protagonista della scena. Questo è il suo marchio di fabbrica.

Ad avallare tale tesi, vi è una manifesta e manifestata attenzione per i dettagli afferenti proprio alle ambientazioni attorno alle quali ruotano le sue storie. In Gattaca abbiamo un imprecisato futuro in cui la selezione della razza è pratica comune, ampiamente accettata e legalizzata. Si tratta di uno scenario che ci viene esplicitamente descritto, ma con un po’ più di fatica ci saremmo potuti arrivare anche solo attraverso le immagini. In S1m0ne vengono mescolati due elementi decisamente attuali di lì a venire: i livelli raggiunti dalla tecnologia informatica ed il retropalco della patinata Hollywood tutta lustrini.

Ma potremmo andare avanti, citando il lampante caso di un film di cui ha scritto solo il soggetto, ossia The Terminal. Qui c’è poco da approfondire con dovizia di particolari: il Terminal dell’aeroporto JFK di New York funge proprio da padrone di casa, il quale ospita l’assurda vicenda Viktor Navorski, nonché quelle più ordinarie delle persone in cui si imbatte. E via discorrendo, portando altri due esempi come The Truman Show e Lord of War. In Time, attenendoci a questo sottile fil rouge, si colloca esattamente nel gruppo di questi illustri predecessori.


Come si arguisce dalla nostra introduzione, In Time non è semplicemente un film da vedere, bensì da osservare. Ad un piano più superficiale, come auspicato dallo stesso Niccol, questo film colpisce per l’azione alla quale assistiamo e l’adrenalina di certe sequenze, tra inseguimenti e fughe di svariato tipo. Ma se ci fermassimo alla scorza, rischieremmo di non cogliere tutti quelli elementi che rendono davvero interessante In Time, a prescindere dal vostro approccio – che aneliate ad uno studio minuzioso o che le vostre ambizioni si limitino a quelle dello spettatore spensierato, poco importa.

In questo nuovo scenario cui ha dato vita Niccol, la moneta di scambio non è più il denaro, bensì il tempo. Giunti al venticinquesimo anno d’età, nell’avambraccio di ogni essere umano appare un codice: si tratta del tempo di vita rimasto a disposizione. Da quel momento in avanti ciascun uomo o donna che sia hanno un anno di vita. Ovviamente c’è un modo per ovviare a tale limite biologico: acquistare altro tempo. Ma poiché in questo film, che non disdegna affatto di servirsi di tutti quei cliché proverbiali legati all’argomento, il tempo è letteralmente denaro. In quel mondo, la differenza tra uno che ha due minuti ed uno che ha un mese a propria disposizione non è quella tra chi è troppo impegnato e chi invece non ha nulla da fare. Questa diversa disponibilità rappresenta la discriminante fondamentale tra la vita e la morte.

Non credo che la metafora vada applicata sino a questo punto, tanto da affermare che per l’autore il denaro sia davvero tutto. Cionondimeno la provocazione è evidente, e scuote. Non a caso, quale logica conseguenza, i ricchi godono di un’aspettativa di vita esponenzialmente più alta rispetto alle classi disagiate. Un parallelo tremendamente reale nella sua irrazionalità, dove spesso ci si domanda perché certi loschi figuri mirino ad accumulare così tanta ricchezza. Ma anche in una realtà (parallela, per l’appunto) come quella di In Time, disporre di tutto quel tempo è davvero fine a sé stesso.

In quella dimensione fittizia, qualcuno si accorge di questa assurda verità: mentre milioni di persone muoiono per mancanza di tempo, altri si godono l’eccessivo agio garantito loro proprio dalla sovradimensionata quantità su cui possono contare, tempo che non sanno letteralmente come spendere. In un modo o nell’altro, questo grido giunge all’orecchio del giovane (termine che forse stona un po’ in un contesto in cui tutti sembrano, al massimo, dei venticinquenni) Will Salas (Justin Timberlake).

Will vive con la madre, un’avvenente donna che dimostra esattamente i suoi anni, ma che in realtà ne ha cinquanta. Considerate che il film parte praticamente con la scena in cui madre e figlio festeggiano il compleanno di lei, scena che riesce più che efficacemente ad immergerci nella surreale cornice che verrà man mano sempre più delineata. Non solo comprendiamo da subito che ci stiamo aggirando tra i lidi della fantascienza, ma anche in quelli della tristezza. La tristezza di non invecchiare mai eppure morire. Suonerà come una sorta di eresia quanto appena rilevato, specie in una società che la giovinezza la esalta in maniera ossessiva e masochista. Ma bisogna prendere atto degli effetti generati da un’utopia riuscita, come quella che ci vorrebbe tutti giovani e tutti belli fino alla fine dei nostri giorni.

La location è Los Angeles, scelta anch’essa non casuale. Facendo sempre leva su certi stereotipi riconducibili al concetto di tempo, quale migliore metropoli se non quella conosciuta come la città dell’eterna giovinezza? Qui viene operato un agevole dualismo tra zona malfamata, Dayton, e zona ricca, New Greenwich. E’ nella seconda che la missione di Will deve concretizzarsi, perché la consapevolezza di un mondo ingiusto lo porta a comprendere che quello è il posto da cui partire.

Lì incontra Sylvia (Amanda Seyfried), bella come poche volte nella sua carriera ma al tempo stesso un po’ troppo costruita nel dare consistenza al proprio personaggio, a differenza di Timberlake, la cui interpretazione ci è parsa più consistente. Uniti entrambi da questo loro desiderio di rivolta, nonché dal medesimo personaggio verso cui far confluire tale forza, i due intraprendono un viaggio che per certi aspetti ricorda Bonnie e Clyde, per altri la leggenda di Robin Hood.

In particolare, le analogie con la storia dell’eroe popolare inglese si sprecano. Non sarebbe del tutto esatto parlare di un’opera che ne ricalca ogni passaggio, ma non mancano indizi su cui speculare. Abbiamo il principe Giovanni, ossia Philippe Weis (un ottimo Vincent Kartheiser). C’è lo sceriffo di Nottingham, tale Raymond Leon (Cillian Murphy), che rappresenta la Legge, ruolo che qui assume i connotati del Custode del Tempo, attento vigilante in forza all’ordine costituito. Ed infine abbiamo Robin e Lady Marion, chiaramente impersonati dai due protagonisti.

Questa mescolanza di più fonti non fa che impreziosire l’opera di Niccol. Il suo attingere a vecchie leggende popolari, incastonandole in un quadro da fantascienza, riesce comunque a trattare tematiche decisamente attuali, ma con uno stile non da tutti. La denuncia sociale è evidente, specie in un periodo in cui è oramai chiaro anche ai ciechi che la Finanza non poteva far altro che ridurci in schiavitù. Così è nel film e, come nella realtà, l’unica soluzione e quella di ribellarsi in maniera apparentemente infruttuosa – capitale in tal senso è l’ultimo dialogo tra Will e Weis.

Si parla di capitalismo darwiniano, espressione a prima vista complessa, ma che in sostanza dà ragione a Darwin sull’unica materia in cui le sue teorie risultano applicabili, ossia nell’accumulo di capitale fine a sé stesso. Ma non vorremmo fuorviarvi con letture oltremodo profonde. In Time è buon thriller, un discreto action, un interessante sci-fi, ma anche un ottimo film. Si tratta di capire preventivamente cosa cercate da lui, e quanto siete disposti a sforzarvi per riuscirci.

Immaginate due amici che hanno appena visto In Time e che si trovano a discuterne una volta usciti dalla sala in cui è stato proiettato. Uno potrebbe dire: “Solita storia in cui un normale ragazzo diventa un eroe insieme alla sua bella. Per carità, carino quell’inseguimento, ma nel complesso avrei voluto più momenti frenetici e maggiore suspance“. L’altro, a quel punto, potrebbe rispondergli: “Sì, ma hai notato come cambiano i colori tra Dayton e New Greenwich? Il contesto dei ricchi è ragionevolmente molto più ovattato. E poi ho letto che Niccol ha voluto che tutti nel ghetto portassero indumenti facili da indossare, con tante zip, perché non hanno tempo per vestirsi“.

Beh, decidete voi a chi dei due dare ascolto.

Perché fare oggi ciò che puoi fare fra un secolo?

Voto di Antonio: 8
Voto di Simona: 7,5


In Time (USA, 2011) di Andrew Niccol. Con Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy, Vincent Kartheiser, Olivia Wilde, Alex Pettyfer, Johnny Galecki, Matthew Bomer, Rachel Roberts, Yaya DaCosta, Toby Hemingway, Ethan Peck, Elena Satine, Bella Heathcote, DeVaughn Nixon, Collins Pennie, Melissa Ordway, Aaron Perilo, Jessica Parker Kennedy, Emma Fitzpatrick, Korrina Rico, Christoph Sanders e Trever O’Brien. Qui trovate il trailer italiano. Nelle nostre sale da domani, 17 Febbraio.