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Le Quattro Volte – di Michelangelo Frammartino: la recensione

Le quattro volte (Italia /Germania /Svizzera, 2010, Sperimentale) di Michelangelo Frammartino; con Giuseppe Fuda, Bruno Timpano, Nazareno Timpano.Un anziano pastore che vive in Calabria porta al pascolo ogni giorno le sue capre sui monti. Una terribile tosse sta peggiorando sempre più la sua salute, e per curarla prende dalla sacrestia del paese una strana “pozione”

pubblicato 16 Giugno 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 23:46

Le quattro volte (Italia /Germania /Svizzera, 2010, Sperimentale) di Michelangelo Frammartino; con Giuseppe Fuda, Bruno Timpano, Nazareno Timpano.

Un anziano pastore che vive in Calabria porta al pascolo ogni giorno le sue capre sui monti. Una terribile tosse sta peggiorando sempre più la sua salute, e per curarla prende dalla sacrestia del paese una strana “pozione” benedetta. Intanto il tempo scorre: per la via principale del paese c’è una rappresentazione della Passione, si issa un albero della cuccagna, nasce una capretta…

Le quattro volte è la storia di un pastore, di una capretta, di un tronco e del carbone. Ci vuole coraggio per riuscire a narrare ciò che Michelangelo Frammartino riesce a raccontare nel suo nuovo lavoro. Ed è da sottolineare una questione semplice a prima vista, ma complessa e fondamentale dall’altra parte: si tratta di un documentario, ma Frammantino narra, racconta.

Una gestazione lunga quella del film, con un budget dichiarato di neanche 1 milione di euro e un risultato che lascia a bocca aperta per la cura che traspare ad ogni sequenza. Documentario antropologico, naturalistico, poetico, addirittura sperimentale: ogni definizione è giusta solo parzialmente e non riesce a racchiudere la minima essenza del film.

La modalità principale di strutturazione del film è quella osservativa nel senso più puro del termine: è senza dialoghi, Frammartino non commenta mai e la distanza di sicurezza evita con perizia retorica e virtuosismi, nonostante il lavoro non sia privo di momenti tecnici di livello enorme. Provate a vedere il pianosequenza del camioncino, del cane Vuk, della processione e del “disastro” con le capre: come è possibile che fosse tutto così preciso e di conseguenza entusiasmante?

Il risultato finale appoggia la lettura poetica, ma ancora non è necessario per poter descrivere ed analizzare Le quattro volte. Che è sì un film sulla ciclicità del tempo e del mondo (e dei mondi), sulla trasformazione e sull’eterno panta rei che governa il destino di tutto e tutti, ma anche qualcosa in più, qualcosa che riesce ad affascinarci e a farci ragionare sulle conseguenze di una legge sempiterna: “semplicemente” a farci vivere nel modo più puro possibile l’esperienza della vita e della morte.

Nonostante le diffidenze che il pubblico più mainstream (che evidentemente neanche si avvicinerà ad un prodotto del genere, sempre più raro nel cinema contemporaneo, figurarsi in quello italiano) può avere all’inizio, la storia del pastore riesce subito a catturare l’attenzione. E si prosegue con gli agnellini, che – rubo una giustissima idea di Bruno Fornara – “sembrano bambini dell’asilo”. Ma il miracolo avviene anche con i seguenti due episodi, riguardanti il mondo vegetale e minerale, con tanto di finale da magone per la sua semplice lucidità.

Costruito con inquadrature che azzeccate è dir poco, con una meravigliosa fotografia in 35mm e una serie di “coincidenze” nel profilmico tutte da lasciare a bocca aperta, Le quattro volte punta dritto alla palma di film italiano dell’anno assieme all’ultimo Diritti, con il quale Frammartino condivide più di un’idea e un pensiero su cosa valga nel cinema e nel mondo.

Voto Gabriele: 9

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