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Loro 1: recensione del film di Paolo Sorrentino

Film smarrito nella forma, malgrado un’esposizione più asciutta e priva di orpelli, Loro 1 si sostanzia in una sorta d’avanspettacolo “consapevole” ancorché vistosamente incerto. A Loro 2 l’arduo compito di dissipare eventualmente queste impressioni

pubblicato 24 Aprile 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 20:56

Il Sorrentino che ci restituisce questo Loro 1 è diviso a metà, come il progetto in questione: da un lato c’è l’autore che mette di lato certe sue geometrie, parte integrante di una prosa che tende al barocco, satura, compiaciuta, a tutto vantaggio della narrazione, non in termini di linearità ma proprio a livello di chiarezza espositiva, un racconto che perciò qui va dritto al sodo, senza tutti quegli orpelli che, piacevoli o meno, hanno fatto parte della cifra di questo regista; dall’altro c’è lo stesso autore che, dovendo modulare l’intensità su un tono più contenuto, riesce ad emergere solo a tratti, con tutte le ricadute del caso sull’efficacia di certe sue intuizioni.

E il Cavaliere? Sin dalle prime sequenze sul mare di Taranto, dove un intraprendente Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) offre a un politico una signorina che allarga le gambe da atleta al fine di ottenere un appalto, Berlusconi c’è ma non si vede. La sua è una presenza che aleggia, incombendo costantemente sulle vite devastate di questi teatranti dell’esistenza il cui unico desiderio è quello di entrare nelle grazie del Presidente. Lui e Presidente, non a caso, sono gli appellativi attraverso i quali ci si riferisce, sempre con aria solenne, tangibile la soggezione dinanzi a questo personaggio sfuggente, che non hanno mai visto da vicino ma che eppure ha inciso così tanto su di loro, il loro modo di essere.

Loro sono quelli che contano, dice Morra, senza rendersi conto che pure lui, e da un bel po’, è uno di loro. Loro sono quelli rispetto ai quali non ci si dà nemmeno il disturbo di pronunciarne i nomi, almeno in questo primo pezzo, quasi si fosse a rischio di contagio. Non a caso Sorrentino fa un horror, mescolando la fantascienza di marziani, venusiani ed altri, al terrore di vampiri e zombie. Se ne ha piena contezza allorché ci si lancia nello stacco tra i più arditi dell’intera filmografia sorrentiniana, quando una pioggia di rifiuti, a seguito dell’esplosione di un camion dell’immondizia, si trasforma in una festa in Sardegna in cui a cadere dall’alto sono pasticche di MDMA, anche detta ecstasy, la droga dell’abbraccio, come ci spiega un dottore nel simpatico inserto.

Qui c’è un po’ la sintesi di ciò che è Loro 1, una smorta rappresentazione senza né capo né coda che fa dell’approssimazione il suo tratto essenziale. Perciò tutte quelle minne e quei culi all’aria altro non sono che un carnaio, una sfilata d’abiezione guardata dall’alto verso il basso, condito di qualche freddura brillante, giusto a rimarcare la propria distanza. Al di là dei contenuti, è proprio nella forma che Loro 1 appare smarrito, profondamente incerto. Non, banalmente, «il modo in cui è girato», la fotografia e amenità simili: si tratta dell’estetica del discorso. E per quello mica c’è per forza bisogno di amare il corpo e le forme femminili quanto Kechiche per mostrarli con più accortezza.

Plagiati, posseduti, il demone del berlusconismo ha fatto di tutti questi giovani dei servi senz’appello, legione satanica di un dio minore che brama solo adorazione e nulla più. È un modo di relazionarsi alla figura di un uomo di potere che non dice granché dell’esperienza umana e dunque delle dinamiche ad essa sottese, se non nell’immediata metafora, per l’appunto, del Potere come forza corruttrice, oltremodo suadente, che rende per l’appunto dei morti viventi. A non convincere per niente è che il tutto però si sostanzi in quest’avanspettacolo “consapevole”, quest’approccio così sciatto e tranchant non tanto nei riguardi del Cavaliere, al quale per lo più si allude in questa prima parte, quanto al contesto che gli orbita attorno, a quei personaggi che Sorrentino troppo detesta perché lo spettatore se ne interessi davvero.

Certo, laddove ingrana, qualcosa si vede, ma sono bagliori, tipo la scena di gelosia di Apicella, sostituito a propria insaputa, o certi aforismi del Sorrentino scrittore, uscite ad effetto non prive di spirito ma nondimeno isolate, che funzionano benissimo a sé stanti, come se fossero state tratte da un libro. La grande bellezza non è certo un film esente da difetti, né aspirava ad esserlo, ma per lo meno lì certa prosa funerea era più centrata, proprio perché poggiata su un’idea di fondo solida. Quale? Al solito, la decadenza dei nostri giorni, declinata però con un piglio ben diverso, forte di uno stile che, per contrasto, generava un fascino innegabile. Espunto lo stile, o quantomeno, fortemente ridimensionato, rimane il messaggio, nell’ambito del quale l’incedere di Sorrentino è maldestro.

In altre parole, stavolta non gli riesce proprio di raccontare certa volgarità, certa bassezza, senza offrirci uno sguardo a suo volta tendenzialmente volgare. Volgare in quanto, come già evidenziato, indeciso sulla forma, non per i nudi o certe scene un po’ più esplicite (sarebbe troppo facile). È come se l’intera impalcatura di Loro 1 consistesse, per intenderci, in due scene de La grande bellezza: quella in cui il personaggio di Buccirosso incalza col suo oramai indimenticabile «t’chiavass», e l’altra, in cui una donna invita Jep in una stanza per mostrarle la «fessa», insieme a un altro uomo che le spara la luce dello schermo di un cellulare sul basso ventre, mentre alle spalle giganteggia la maestosa bellezza di uno scorcio tipicamente romano.

A questa lunga danza funebre dalle venature à la Scorsese viene quindi opposto l’ultimo atto, quello in cui finalmente il Convitato di Pietra irrompe sulla scena, ed allora tutto diventa più esilarante, giocoso persino, in cui Servillo/Berlusca sciorina citazioni, meriti e parte dell’armamentario dialettico attraverso il quale il fondatore di Forza Italia ha veicolato e ha fatto veicolare la propria immagine: uomo di successo, arrogante, al di sopra di tutto e tutti, che non dissimula affatto il suo disprezzo verso chi gli sta sotto, ossia praticamente tutti, Gianni Agnelli incluso. Se anche queste prime avvisaglie inaugurassero una fase capace di risollevare il discorso, facciamo notare a beneficio di chi si è già schierato per «Loro è un solo film e solo e soltanto come tale va considerato», resterebbe comunque l’ora e passa “introduttiva” che è insomma ciò che abbiamo sommariamente descritto poco sopra.

L’atteggiamento vagamente anarchico col quale Sorrentino avvicina del materiale così incandescente sarebbe, tirando le somme, un valore, qualora però si riuscisse a trasmettere con almeno altrettanta intensità uno sguardo, il suo, che invece si posa un po’ qua e un po’ là, impedendoci non tanto di capire, ché magari non sarebbe manco utile, ma per lo meno di intercettare certi profili, certe situazioni le quali, al contrario, restano sfuggenti, aliene. Eppure questi personaggi noi italiani li conosciamo, sappiamo i loro vizi, li abbiamo visti e rivisti; magari Sorrentino vuole mostrarci qualcos’altro, ciò che di solito non si vede proprio perché non immediatamente percepibile. Ebbene, in tal senso, Loro 1 non fa tutt’al più che confondere ulteriormente le idee. In attesa di capire fino a che punto abbia inciso la divisione in due episodi.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Loro 1 (Italia, 2018) di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto, Giovanni Esposito, Ugo Pagliai, Ricky Memphis, Duccio Camerini, Yann Gael, Alice Pagani, Caroline Tillette, Iaia Forte, Michela Cescon e Roberto Herlitzka. Nelle nostre sale da martedì 24 aprile 2018.

(Foto dal set di Gianni Fiorito)