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L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo: recensione in anteprima

Dall’essere lo sceneggiatore più pagato di Hollywood alla cacciata dall’industria dorata, passando attraverso due Oscar ottenuti “clandestinamente”. L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo riporta l’attenzione su una delle pagine meno edificanti di quel mondo, attraverso le peripezie di uno solo

pubblicato 2 Febbraio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 09:02

[quote layout=”big” cite=”Dalton Trumbo]Non ci sono abbastanza zeri nei contratti di King, ma hanno bisogno di sceneggiature come un esercito della carta igienica.[/quote]

La Black List, una delle pagine più controverse nella storia di Hollywood, dunque degli USA. Perché nacque? Chi ci rientrava? Siamo nell’immediato dopoguerra, e l’alleanza tra Stati Uniti ed Unione Sovietica è oramai un lontano ricordo. Cominciano le prime tensioni per la supremazia planetaria, i primi vaneggiamenti, i primi scontri. Tuttavia in America non mancano militanti o anche solo aderenti al Partito comunista, il che è un problema: da un certo punto in avanti dirsi anche solo simpatizzante comunista equivale ad essere visto come un traditore.

In questa finestra storica s’inserisce la vicenda di Dalton Trumbo, uno che non aveva tempo di contarli i soldi che faceva ad Hollywood macinando sceneggiature. Ci fu un momento in cui divenne lo sceneggiatore più pagato di quel mondo lì, nominato all’Oscar, conteso da molti, i più grandi. Poi, appunto, la Lista Nera: un comitato a tutela della nazione contro i suoi nemici sente profumo di Guerra Fredda e ne resta ubriacato: «via i comunisti dal nostro Paese!», è più o meno lo slogan. Sì, ma prima ancora che dal Paese, via da quei centri attraverso cui è più facile diffondere l’infezione, e poiché oramai il cinema è il medium più potente di tutti, via i comunisti da Hollywood.

Inutile appellarsi al primo emendamento, ripetere che dirsi comunista non equivale ad essere filorussi, che l’amor patrio può convivere e via discorrendo; la frenesia è già montata e la storia, prima ancora che il governo, bussa alla porta dei dieci. Sono i “Dieci di Hollywood”, torchiati dal Congresso, sotto la spinta del già citato Comitato per le Attività Anti-americane, “venduti” da persone con cui il giorno prima condividevano la tavola. Sembrava inizialmente che la cosa sarebbe in qualche modo rientrata, che ci sarebbe stato modo di aggirare l’accusa in secondo grado. Nulla da fare. Trumbo finisce in carcere.

Con il suo approccio Jay Roach tenta di dribblare la seppur insita vocazione politica di questa storia, soffermandosi sul Trumbo uomo, dunque anzitutto marito e padre. Non è difficile cogliere da che parte si ponga, perché, è bene dirlo, una parte viene presa; i persecutori di Trumbo vengono infatti dipinti come degli invasati patriottici, che siano marionette (John Wayne) o promotori (Hedda Hopper). Invasati a dispetto del contegno di facciata, ineludibile considerata la società dell’epoca, ma senza dubbio personaggi negativi, come il primo accusatore, successivamente condannato per evasione fiscale, o la perfida Hopper (Helen Mirren), che assume su di sé il ruolo di primo inquisitore.

Una concessione in fin dei conti accettabile, tendenzialmente moralista, ma pur sempre giustificata dal fatto che 1) si tratta della storia di Trumbo, vissuta dal suo punto di vista, o da quelli a lui vicino 2) probabilmente è davvero inutile tentare vie assolutorie a questo punto. Diverso il trattamento riservato ai delatori, verso cui Trumbo evidentemente non coltivava disprezzo, cercando di comprendere le difficoltà di un periodo come quello. Volente o nolente, però, L’ultima Parola – La vera storia di Dalton Trumbo ha per forza una sua valenza politica, quasi che il messaggio di fondo fosse: «mai più!». Mai più una campagna di quel tipo, a prescindere dal segno o dal colore. E non puoi fare a meno di pensare che questa vicenda la si voglia alquanto vicina all’attualità.

Bryan Cranston ci pare sia il personaggio adatto per Trumbo, al di là delle affinità somatiche (che non ci sono); si tratta di un attore che sa interpretare ruoli dal discreto tasso drammatico, con in più quell’ironia di fondo che si trascina già dai tempi di Malcolm. Inoltre si sposa bene con una scrittura in fin dei conti brillante ma non troppo, perché, come dice lo stesso protagonista ad un certo punto del film: «una sceneggiatura brillante in ogni sua parte è noiosa». Apprezzabile peraltro il taglio che si è voluto dare al film, classicheggiante, e nella fotografia (in svariati casi volutamente sovraesposta, quanto basta per non infastidire chiaramente) e nel montaggio, totalmente asservito ad una narrazione molto lineare. Totalmente calata nella finzione, dalla quale si concede qualche deroga sporadica, specie quando gioca col bianco e nero, perciò con un tenore vagamente ispirato al documentario, senza comunque prendersi troppo sul serio in tal senso.

Roach lavora sulla singola scena, ma soprattutto sui dialoghi, da cui passa il senso della vicenda, tra una frase ad effetto e un botta e risposta arguto. L’ultima parola è infatti composto da una lunga serie di quote come quello che vi abbiamo riportato in apertura, con alcuni passaggi davvero esilaranti, merito di un cast che evidentemente ci ha creduto al progetto. Su tutti John Goodman, il cui King fatto da un altro non riesci nemmeno a immaginartelo oramai – non male, tra gli altri, pure il surreale ingresso di Otto Preminger. Ma poiché Trumbo è anche film di relazioni (forse soprattutto), non va per nulla sottovalutata, per esempio, l’importanza della moglie Cleo (Diane Lane), che per certi versi è l’ago della bilancia, l’elemento senza il quale probabilmente questa storia non esisterebbe nemmeno.

L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo ci informa dunque di una Hollywood più accondiscendente, che si vuole diversa da sé stessa malgrado tutto e tutti. È molto interessante infatti l’attualità di questa pagina, ancora più pronunciata se si pensa alla recente bagarre per le “quote nere” (sic) agli Oscar. Qui l’industria dorata fa un po’ come la Chiesa con certi suoi santi: prima li perseguita, li martirizza finanche, per poi canonizzarli. Sono dinamiche a cui prestare attenzione, perché dietro c’è la storia dell’ultimo secolo, non solo americana. E se Roach e soci hanno pensato bene di mostrarsi «brillanti ma non troppo», questa è una di quelle volte in cui la scelta si può dire azzeccata.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]

L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo, USA, 2015) di Jay Roach. Con Bryan Cranston, Diane Lane, Helen Mirren, Louis C.K., Elle Fanning, John Goodman, Michael Stuhlbarg, Alan Tudyk, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Dean O’Gorman, Roger Bart, David James Elliott, Dan Bakkedahl e Laura Flannery. Nelle nostre sale da giovedì 11 febbraio.