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Non buttiamoci giù: Recensione in Anteprima

Quattro sconosciuti s’incontrano per caso sopra un grattacielo londinese: ad accomunarli il desiderio di suicidarsi. È Non buttiamoci giù l’ennesimo romanzo di Nick Hornby trasposto per il grande schermo

pubblicato 17 Marzo 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 03:21

C’è un grattacielo a Londra, noto per una particolarità: dalla sua cima sono solite infatti lanciarsi nel vuoto persone che di questa vita ritengono non sapere più che farsene. Per un motivo o per un altro è qui che tanti suicidi o aspiranti tali si recano per assecondare la propria ambizione. Alla seconda categoria, ossia quella degli aspiranti, appartengono quattro personaggi che non potrebbero essere più diversi. C’è la donna di mezza età capace di chiedere scusa anche solo per esistere, oppure l’ex-conduttore e divo televisivo che ha perso lavoro e famiglia per una scappatella con una minorenne, oppure ancora la figlia ribelle e sboccata di un politico, così come un musicista che per lavoro consegna pizze a domicilio.

Un gruppo alquanto assortito, non c’è che dire. Così come di conseguenza alquanto trasversali sono le ragioni che spingono ciascuno dei pretendenti defunti a salire su in cima e compiere l’estremo gesto. Gesto che, un po’ per l’affollamento, un po’ per quell’impulso ancora non del tutto compromesso che è l’istinto a sopravvivere – e un po’ pure per pudore, perché no? – non si perfeziona in nessuno dei casi. I quattro si conoscono, trascorrono loro malgrado una rocambolesca nottata insieme ed il patto è siglato: nessuno si suicida fino a San Valentino. Siamo a capodanno… che saranno mai sei settimane?

Non buttiamoci giù è un best seller del celebre Nick Hornby, scrittore inglese contemporaneo tra i più noti, oltre che al pubblico dei lettori anche a quello degli appassionati di cinema. Non buttiamoci giù è solo l’ultima delle trasposizioni dai suoi romanzi, fra cui vanno annoverate anche Altà fedeltà, Febbre a ’90, About a Boy nonché il più recente È nata una star?, girato in Italia. In più, quasi a sigillo di questa vocazione al grande schermo, Hornby ha anche firmato la sceneggiatura di An Education, uscito nel 2009 e candidato agli Oscar di quello stesso anno.

D’altronde non si può negare una certa affinità tra la prosa dello scrittore britannico e quella di uno sceneggiatore, sebbene non sarebbe corretto dire che i suoi libri sono un po’ come delle sceneggiature romanzate. Niente di più sbagliato. Posta tale premessa, è non meno evidente che, specie nel Regno Unito, in parecchi credano in questa sintonia, nonostante i risultati non siano sempre impeccabili, anzi. Su Non buttiamoci grava in più, per così dire, il peso della tematica, che se non saputa maneggiare rischia di crollare su sé stessa. Tutto ciò è quanto avviene nel film? Più o meno sì, purtroppo.

Hornby dispone di una capacità piuttosto rara, che è quella di conferire credibilità e un briciolo di quel tanto inflazionato realismo non solo ai suoi personaggi bensì anche alle dinamiche che li coinvolgono, filtrando il tutto attraverso un approccio non di rado leggero, senza che un certo humor – laddove non un vero e proprio sarcasmo – prendano mai il sopravvento vanificando l’efficacia delle situazioni che è in grado di creare. Ma per certe cose serve un autore che gli anglofoni definirebbero «confident», ossia che conosca il proprio mestiere e sappia come destreggiarsi in mezzo a questa sequela di equilibrismi. Ora, sebbene il tutto si traduca in maniera differente a seconda che si tratti delle pagine di un libro oppure di una pellicola, al film manca totalmente ciò che ha reso quantomeno interessante il romanzo, cioè la mano di Hornby.

La sceneggiatura fatica, ad un certo punto vistosamente, a tenere compatta una storia che di per sé presta il fianco a derive piuttosto ovvie, quali un certo pietismo, un magari lodevole ancorché maldestro inno alla vita, dei profili talmente eterogenei da non permettere di scorgerne i contorni. Leggendo il romanzo, al di là dei vari giudizi di merito, si ha la sensazione che quei personaggi respirino: saranno anche patetici alle volte, ma sono sinceri, il che li rende vivi o al peggio passabili. Nulla o quasi di tutto ciò può dirsi in relazione al lavoro di Chaumeil e soci, che caricano la resa dei quattro protagonisti in via pressoché esclusiva sulle spalle di altrettanti attori, apparentemente senza alcuna coordinata tale da infondere nella loro prova quella verve indispensabile. Perché qui in dubbio non sono le doti della Poots, giusto per dirne una, ma che quest’ultima prevarichi senza quasi alcun freno su tutti gli altri è senz’altro responsabilità degli autori.

Citiamo lei perché ci pare il caso più emblematico di una trasposizione che manca di quel guizzo, di quell’impronta tale da conferire all’intera opera consistenza. Le vicende, per certi aspetti inverosimili, abbisognavano necessariamente di personaggi plausibili, dunque scritti in maniera plausibile. Viceversa i vari profili soffrono di una piattezza tale per cui si ha l’impressione che anziché crescere dinamicamente insieme agli eventi ne restino costantemente separati; ogni cambiamento, ogni passo in avanti in relazione ai comportamenti o alla consapevolezza di ciascuno appare troppo costruito. Insomma, il risultato è un contesto che dovrebbe reggersi principalmente sulla storia oltre che sul suo nemmeno troppo velato messaggio, che per forza di cose non può che apparire indigesto a chi ha a cuore un minimo profondità.

L’orizzonte che si staglia non è dunque quello della dark comedy ma della commedia tutt’al più seriosa, che vive di qualche uscita carina, qualcun’altra divertente, senza però andare l’oltre il tentativo, non sempre andato a buon fine, di stemperare certi toni pesanti. Una madre che deve accudire un figlio non autosufficiente e una ragazzina la cui sorella è scomparsa da un lato, un uomo che rivuole la sua notorietà ed un giovane roso da una crisi esistenziale rappresentano ingredienti la cui miscela è altamente instabile e che nell’intento (riuscito) di Hornby ci costringono a mettere in discussione i nostri pregiudizi, le nostre credenze, o le nostre semplici opinioni non tanto relativamente alla morte quanto alla vita. In Non buttiamoci giù (il film) c’è poco che dia ragione di tale potenziale, rimasto a conti fatti in premessa.

E sia chiaro che non è il paragone col romanzo che a noi interessa, dato che in quel caso avremmo potuto citare degli esempi specifici dove il film non solo prende le distanze ma al tempo stesso risente in negativo di queste scelte. No, in Non buttiamoci giù le già citate premesse sfuggono di mano e quello che doveva essere un discorso anzitutto onesto prima ancora che edificante finisce col soffrire di una scarsa incisività e di una certa rarefazione. Tutti difetti che un simile contesto tende peraltro ad acuire.

Voto di Antonio: 4
Voto di Gabriele: 4

Non buttiamoci giù (A Long Way Down, UK, 2014) di Pascal Chaumeil. Con Pierce Brosnan, Toni Collette, Aaron Paul, Imogen Poots, Rosamund Pike, Josef Altin, Sam Neill, Joe Cole, Tuppence Middleton, Diana Kent, Mohammed Ali, George Hewer, Shola Adewusi, Poppy Epstein, Thomas Williamson, Ilan Goodman, Wilhelmina McFadden e Honey Epstein. Nelle nostre sale da giovedì 20 marzo.

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