Home Commedia Normale: trailer e clip in italiano del film di Olivier Babinet con Benoit Poelvoorde (Al cinema dal 12 ottobre)

Normale: trailer e clip in italiano del film di Olivier Babinet con Benoit Poelvoorde (Al cinema dal 12 ottobre)

Tutto quello che c’è da sapere su “Normale”, il film di Olivier Babinet con Benoit Poelvoorde e Justine Lacroix al cinema dal 12 ottobre 2023 con No.Mad Entertainment.

12 Ottobre 2023 07:20

Dopo la vittoria al Giffoni Film Festival 2023 nella categoria Generator +16, dal 12 ottobre nei cinema  italiani con No.Mad Entertainment Normale, la commedia di Olivier Babinet con Benoit Poelvoorde (7 uomini a mollo, Dio esiste e vive a Bruxelles) e Justine Lacroix (C’est ça l’amour). Tratto dall’opera “Monster in the hall” di David Greig e sceneggiato dal regista con Juliette Sales e Fabien Suarez, “Normale” è una commedia drammatica che indaga sul rapporto padre-figlia.

Normale – Trama e cast

La trama ufficiale: Lucie (Justine Lacroix) ha 15 anni e ha un’immaginazione travolgente. Vive sola con suo padre William (Benoît Poelvoorde), che a prima vista conduce una vita da adolescente: gioca ai videogiochi e mangia schifezze. La realtà è ben altra, ogni giorno lotta contro la sclerosi multipla. Tra il liceo, un piccolo lavoro e le faccende del quotidiano, Lucie gestisce come meglio può la situazione, e si rifugia nella scrittura di un romanzo autobiografico di fantasia, che spazia tra sogno e realtà… All’annuncio della visita di un assistente sociale il loro equilibrio precario verrà sconvolto. Lucie e suo padre dovranno far prova di grande inventiva per dare l’illusione di vivere una vita “normale”.

Il cast include anche Joseph Rozé, Steve Tientcheu, Sofian Khammes, aadia Bentaïeb, Geoffrey Carey, Mayline Dubois, Candice Bouchet, James Gerard, Benoît Tachoires, Pierre-Louis Deloison, Nicolas Kuietche Fonkou, Djeneba Bortin, Santino Neves Lusito, Flavien Goncalvès.

Normale – Trailer e video

Olivier Babinet – Note biografiche

Olivier Babinet nasce a Strasburgo – nell’est della Francia – nel 1971. Lascia la scuola all’età di 17 anni e si trasferisce a Parigi. Grazie alla sua partecipazione alla creazione e alla scrittura di “Le Bidule” – serie televisiva trasmessa nel 1999 su Canal +, si rivela al grande pubblico.

Nel 2008, scrive e realizza il suo primo cortometraggio “C’est plutot genre Johnny Walker” con il quale vince il Prix Spécial du Jury di Clermont-Ferrand. Nel 2010, realizza il suo primo lungometraggio “Robert Mitchum est mort”, il quale viene selezionato al Festival di Cannes – Sélection Acid 2010. Il film ha vinto il Grand Prix du Jury al Festival Premiers Plans d’Angers ed è stato nominato per il Miglior Primo Film al Raindance London Festival.

In parallelo al suo lavoro di sceneggiatore e regista, per diversi anni Olivier Babinet lavora insieme ai ragazzi della scuola di Aulnay-sous-Bois, un comune vicino Parigi, nel quale il 50% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Grazie a questa collaborazione con il regista, i ragazzi della
scuola hanno realizzato ben 8 cortometraggi fantasy e di fantascienza.

Nel 2016, dopo anni trascorsi insieme a questi giovani, realizza un documentario su di loro, “Swagger”. Dopo essere stato presentato al Festival di Cannes, Sélection Acid 2016, riscuote un grande successo presso la critica. Inoltre viene selezionato per i César e il Premio Lumière. Vince il Nigel Moore Award al Vancouver Film Festival, il Gran Premio per il Miglior Documentario al Construir Cine Festival di Buenos Aires e una menzione speciale al Festival dei Popoli di Firenze.

Nel 2020 realizza “Poissonsexe”, con il quale vince il premio della giuria al Bordeaux Independent Film Festival. La sua interprete principale, India Hair, viene nominata nelle Révélation féminine 2021 dei Césars. Nel 2023 esce il suo ultimo film “Normale” con Benoît Poelvoorde e Justine Lacroix. Olivier Babinet è membro del collettivo di artisti americani “We are Familia” e ha diretto numerosi video musicali.

Intervista al regista

Qualsiasi film sugli adolescenti pone un dilemma al suo autore: è meglio trarre ispirazione dalla propria giovinezza o dall’adolescenza di oggi?

La domanda è sorta in effetti, e alla fine, abbiamo costruito il film lasciandola volontariamente aperta : in quale epoca si situa esattamente Normale? Di quale adolescenza si tratta ? Da un lato, volevo pescare nei miei ricordi : Lucie, sono io per molti aspetti, con i dubbi, i complessi, le fantasie e le frustrazioni amorose che tutti abbiamo vissuto a quell’età. Dall’altro, quando lavoro con attori adolescenti, mi piace comporre con ciò che sono “nel presente”, nella propria vita, anche se questo è molto lontano da quello che io ho vissuto. Così mi ha fatto piacere rifiutarmi di scegliere, e questa esitazione sulla temporalità ha finito per dare un’identità al film : si svolge in una realtà che non è completamente definita. Siamo ovviamente in Francia, ma… è una Francia che vorrebbe fuggire da se stessa!

Fin dalle prime scene che creano l’ambiente, la città di Chelles sembra effettivamente a metà tra veridicità e fantasmagoria. Mi piace quando un film apre le porte ad altri mondi, senza necessariamente astenersi dall’essere realistici.

Come spettatore, trovo che le nozioni di fantasia e naturalismo non siano incompatibili. Il mio scenografo Toma Baqueni mi ha persino spinto a rivedere alcuni film fantastici che amo molto, tra cui Donnie Darko e soprattutto It Follows, perché immergono una gioventù molto contemporanea in un immaginario suburbano che va indietro nel tempo. Il contrasto prodotto porta il film verso la favola, pur mantenendo una grande credibilità che è dovuta agli attori, al loro fisico, alla vicinanza che si crea con loro. Avevamo questo in mente.

Precisamente, questo incrocio non è solo nella cronologia ma anche nei generi : prende in prestito sia dai teen-movie, che dai fantasy che dalla cronaca sociale…

Mi è venuta subito in mente una formula per definire il tono desiderato : “una goccia di Miyazaki all’interno dei fratelli Dardenne”. Allo stesso modo alcuni leggeri anacronismi della scenografia e delle scelte musicali evitano di datare troppo il film – perché un semplice modello di macchina o una parola in gergo bastano per definire un contesto — i divari fantastici mi permettono di rifiutare il miserabilismo. Quando ci si lancia senza freni nel realismo sociale c’è una certa estetica della povertà che tende a prendere spazio. Volevo riprendere l’ambiente di Lucie e di suo padre malato, questa famiglia chiusa su se stessa, senza impietosirmi per il loro destino. Eppure l’onirismo permette sempre di rendere lo spazio un po’ più respirabile. Era necessario cortocircuitare questo aspetto “vivarium” che a volte dà l’impressione che filmiamo i quartieri popolari prendendoli dal alto.

Cosa l’ha sedotto nella storia di questa studentessa che si prende cura del padre vedovo e malato, che la alleva a botta di pizza e film dell’orrore?

Questo rapporto ripropone quello che conosco in quanto adulto e genitore, io che sono rimasto legato anche al cinema di genere e a questo tipo di universi, cercando di trasmetterli ai miei figli – anche se hanno scelto i loro riferimenti, soprattutto giapponesi, in adolescenza —, e allo stesso tempo è molto vicino a quello che ho vissuto io con mio padre. I western che vedevamo insieme erano una festa : lui si calava nell’atmosfera con un whisky e parlando come John Wayne ed io mi travestendomi e allestendo un saloon o un casino’ a casa… Andavamo oltre il ruolo di spettatori. Mio padre è morto all’inizio della preparazione di Normale, e penso che il suo modo di comunicare con me attraverso l’immaginazione abbia permeato il film.

In base a quali criteri hai scelto Justine Lacroix per interpretare il ruolo di Lucie?

Justine si è fatta conoscere con il film di Claire Burger,E’ questo l’Amore. Era stata adocchiata nella sua scuola perché aveva mandato a quel paese la direttrice del casting con il ghigno imbronciato. Non ho visto E’ questo l’Amore, l’ho scelta tra tante altre studentesse perché mi ha subito commosso, durante un’improvvisazione per il casting. Era un colloquio con un’assistente sociale. Fondamentalmente, è stato il suo modo di dire “Popà”… che mi ha sconvolto. Tutto era detto: “Stiamo bene con il mio Popa”… il suo amore profondo, la sua feroce volontà di difendere la sua vita con lui, di salvaguardare le apparenze per non essere separata da lui. Forse, ho scelto Justine perché è cresciuta nell’est della Francia, come me. E questo collega le nostre adolescenze. E poi Justine ha qualcosa di molto sportivo, solido, quasi virile, pur riuscendo a rimanere molto dolce. La sfida è stata quella di portarla nella dimensione letteraria del ruolo: Lucie è una ragazzina che scrive, legge, può rimanere rinchiusa a sognare a lungo. Justine, questo non fa per lei : preferisce il calcio, le sfide fisiche. È stata una scommessa farle interpretare la voce fuori campo, necessariamente molto romantica poiché restituisce lo stile letterario dell’eroina. Ma a furia di ripetere, ha trovato il suo tono per assumere questo testo. Le ho dato una lista di film da vedere, incluso I 400 colpi, che lei ha detestato… Appartiene a una generazione focalizzata sulle serie americane piuttosto che sui libri o sui film. Tra l’altro, non sapeva neanche chi fosse Benoît Poelvoorde prima di incontrarlo ! Il che mi andava bene perché volevo portare Benoît “con i piedi per terra” (ride).

Anche far funzionare la coppia formata da Justine e Benoît Poelvoorde è stata una sfida?

I legami padre-figlia strutturano l’intero film. Era infatti necessario operare una sorta di alleanza tra “carpa e coniglio” (espressione francese: incompatibili) ! Già, la sfida era rendere credibile Benoît in una relazione familiare stretta, lui che non ha figli. Non è stato facile, ma la natura capovolta della loro relazione – è la figlia che si prende cura del padre e non viceversa – fa sì che possa mantenere questo lato da ragazzaccio e da uomo-bambino. Ciò non gli impedisce di incarnare in certe scene una presenza autenticamente paterna. In fondo, Justine e Benoît non provengono da ambienti così diversi: sono cresciuti nella classe media, lontano dalla capitale, Benoît era in una famiglia affidataria ; ma ha avuto una giovinezza dandy e punk, ricca di esperienze artistiche al limite del situazionismo. Justine ad oggi è molto lontana da tutto ciò. Ero alla ricerca di questa differenza perché corrispondeva ai personaggi e forse anche a quello che io sono : avendo frequentato ambienti molto diversi, mi sono sempre piaciute le mescolanze e le associazioni esplosive all’interno dei casting.

Parlava di incrocio di generi : Benoît Poelvoorde non incarna un genere quasi a sé stante?

Assolutamente, anche questa è stata la sfida maggiore : avremmo potuto domandarci se fosse una buona idea costruire minuziosamente un universo singolare, un po’ fiabesco, intorno ad un attore che tende piuttosto a spaccare tutto, a travolgere tutto al suo passaggio! Rappresenta pienamente un genere di cinema Francese o Belga, che ho ammirato fin dal primo momento. “Il cameraman e l’assassino” (1992) è stato un faro essenziale per le persone della mia generazione. Inevitabilmente, Benoît apporta spesso ai suoi personaggi una colorazione sia umoristica che un po’ cupa, ereditata da quegli anni. Ma è anche un attore con una grande capacità di ascolto e di adattamento. Ai suoi occhi William corrispondeva sulla carta all’archetipo belga del “baraki” (parola belga del mondo circense) : l’uomo un po’ rozzo, dalle cattive maniere, che magari vive in una roulotte. C’è un po’ di questo in William, ma l’ho indirizzato verso il lato altrettanto poeta del personaggio : è ancora un uomo che passa il tempo nei libri di fantascienza, in immaginazioni strabordanti, sa dar prova di inventiva. Benoît ha gestito molto bene questo equilibrio tra il baraki appassionato di motociclette e il nerd colto, perché la sua personalità è composta da questi grandi divari. È il mio rifiuto di rinchiudere i personaggi in scatole archetipiche ma si ispira soprattutto alla vita del mio ex cognato e amico, giardiniere in un campo da golf, motociclista, fumatore di erba e giocatore di videogiochi di zombie, che alleva da solo la figlia e ha smesso di lavorare dal suo terribile incidente.

Si avverte un’attenzione quasi documentaristica nel modo di riprendere i personaggi che occupano lo sfondo, segnato da un grande mix sociale.

Non so se è un riflesso che ho ereditato dalla mia esperienza nei documentari, ma è chiaro che viene dalla mia giovinezza. Sono cresciuto a Strasburgo, dove mi è sempre piaciuto spaziare da un ambiente all’altro, incontrare i figli dei notabili ma anche quelli della “DDASS” (Direzione dipartimentale degli affari sanitari e sociali) che vagavano per strada, spesso provenienti dall’immigrazione. Questo è forse il motivo per cui faccio attenzione ai ruoli secondari e alla loro diversità sociale. Mi sono accertato di rimettere tutti i gruppi che compongono la scuola, spesso formati dai gusti musicali, che esistono fin dalla mia adolescenza : ci sono i fan di hip-hop ma anche i “satanisti”, che corrispondono ai fan dei The Cure o Bauhaus negli anni ’80… Mi piace l’idea che le tendenze cambino, anche i cantanti, ma alla fine i gruppetti rimangono. Questo tipo di dettaglio è molto importante per me, è ancora una volta un modo per rimanere realistici e atemporali.

Alla fine, possiamo dire che Normale si ispira molto alla gioventù francese, la sua, esplorando territori piuttosto hollywoodiani — che si tratti di fantasy o di teen-movie?

Sì, è un buon modo per riassumere l’approccio. Non c’è niente di iconoclasta: per me il cinema americano è sempre stato presente nel cinema francese, e viceversa. Fino all’ultimo respiro rende omaggio al genere noir, Belmondo si crede Bogart, Jean-Pierre Melville riprende le auto americane ; Scorsese e Tarantino citano a lora volta Godard, e Jarmusch rivendica l’influenza della Nouvelle Vague in Più strano del Paradiso, ecc. Queste andate e ritorno non sono nuove. Invece di fare un surrogato del cinema hollywoodiano, ho voluto rappresentare una vita adolescenziale attraversata da mitologie lontane. Nella misura in cui la sua persona, come la mia, (e l’attrice che la incarna) si nutre di questa immaginario, penso che queste influenze non abbiano nulla di incompatibile con la veridicità della vita quotidiana che cerco di mettere in scena. Anzi, mi sono apparse come la via giusta per raggiungere ciò che mi interessava principalmente: non solo gli sconvolgimenti della vita di Lucie, ma anche quelli che attraversa nella sua vita interiore, e che non sono meno spettacolari.

[Intervista fatta da Yal Sadat]

Normale – La colonna sonora

  • Le musiche originali del film sono del compositore Jean-Benoît Dunckel (Estate ’85, Le 7 vite di Léa, Grand Marin, La mitomane). Dunckel e il regista Olivier Babine hanno collaborato anche per il documentario Swagger e la commedia fantascientifica Poissonsexe.
  • La colonna sonora include i brani: “The Emerald Sphinx” di Jean-Benoit Dunckel / Guillemette Foucard & Joseph Rozé (2023); “Dolce Vita” di Paul Mazzolini, Pierluigi Giombini / Ryan Paris (1983); “Telephone” di Vincent Vincent & The Villains (2008); “Inspector Norse” di Terje Olsen / Todd Terje; “Neat Neat Neat” di Brian James / The Damned; “Réalité” di Adrien Sahuc, Benjamin Sahuc / Grand Soleil; “Sandstorm” di Jaako Sakari Salovaara, Ville Virtanen / Darude (1999).

Normale – Foto e poster

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