Home Recensioni Qualcosa di Buono: Recensione in Anteprima

Qualcosa di Buono: Recensione in Anteprima

Hilary Swank malata di SLA in You’re Not You, film tratto dal romanzo Qualcosa di Buono

pubblicato 8 Luglio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 14:28

10 mesi dopo la release americana, che ha fruttato appena 11,486 dollari d’incasso, si appresta ad uscire nei cinema d’Italia Qualcosa di Buono, drammone tratto dall’omonimo romanzo di Michelle Wildgen edito nel Bel Paese da Vallardi. Diretto da George C. Wolfe, acclamato regista teatrale già scivolato in sala con il pessimo Come un uragano, You’re Not You, questo il titolo originale della pellicola, prova ora a replicare il successo di critica e di pubblico lo scorso anno ottenuto da Still Alice. Perché se in quel caso Julianne Moore, poi premiata con uno strameritato Oscar, lottava contro l’Alzheimer, la Hilary Swank di Qualcosa di Buono è costretta a dover ‘gestire’ la SLA.

L’ennesima trasformazione fisica per l’attrice, due volte trionfatrice in casa Academy grazie al ruolo del transgender Brandon Teena in Boys Don’t Cry e del pugile in Million Dollar Baby, qui però limitata da un regista dannatamente ossessionato dall’apoteosi del dramma e da una sceneggiatura piena di cliché, improbabile nella costruzione del rapporto tra le due protagoniste e invasiva nell’ostentazione del dolore. Hilary indossa gli abiti di Kate, fascinosa pianista di musica classica sposata, innamorata, elegante, dai modi garbati e dalla vita agiata. Il mondo inizia però a crollarle addosso all’età di 35 anni, quando scopre di avere la SLA. Emmy Rossum è invece Bec, scapestrata studentessa universitaria nonché aspirante cantante rock che si propone di ‘assistere’ la malata Kate. Il marito di quest’ultima, Evan, è fortemente contrario all’idea ma la donna è irremovibile. Vuole Emmy, perché ha visto qualcosa di ‘speciale’ in lei. Quando il matrimonio con Evan inizierà a scricchiolare, il rapporto tra le due diverrà sempre più forte, tra litigate, risate, nuotate, confessioni e rimpianti passati.

Se Qualcosa di Buono l’avesse scritto Nicholas Sparks, Imperatore assoluto del melenso dramma a stelle e strisce dalla lacrima facile, tutti di noi avremmo abboccato. Wolfe, che con Sparks aveva già avuto a che fare, ha probabilmente ingoiato il dubbio e ingranato la marcia del polpettone cucinato insieme a tutte quelle tragedie purtroppo figlie di una malattia degenerativa come quella di Lou Gehrig. A differenza di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, che con Still Alice erano andati di ‘sottrazione’, Wolfe ha moltiplicato i momenti drammatici vissuti dalla Swank fino all’eccesso, tanto da non dimenticarne neanche uno. Perché concentrato solo e soltanto su un unico aspetto. Suscitare commozione. Va da sé che il film si smonta rapidamente, sin dal momento in cui Hilary ed Emmy vengono presentate allo spettatore. Se la prima è perennemente e fastidiosamente sorridente, la non più giovanissima Emmy Rossum (quasi 29anni, basta ruoli da universitaria) cavalca con ostinazione un ruolo improponibile. La sua estroversa, casinista e complessata Bec non sa tagliare una verdura ne’ usare un frullatore, è un disastro completo eppure viene inspiegabilmente scelta da Kate per farsi aiutare in casa. Lei che non può far niente senza un’infermiera vuole proprio la persona meno adatta al mondo. Neanche a dirlo tra le due sorge subito una complicità tutta al femminile, trasformandole rapidamente in amiche indivisibili. E se Kate finirà inevitabilmente per peggiorare, perché la SLA è incurabile, Bec potrà finalmente dire di essere maturata al suo fianco, tanto da poter ricominciare partendo da un nuovo inizio.

Pigiando forzatamente sul generatore automatico di singhiozzi, Wolfe è ripetutamente inciampato sui fastidiosi stereotipi legati alla malattia e ai rapporti di coppia ‘incrinati’ da quest’ultima, il tutto costruito all’interno di un mondo diabolicamente ‘borghese’, in cui il più umano ha comunque la rogna. Messi semplicemente in un angolo, invece, i co-protagonisti Josh Duhamel, marito traditore e pentito di Hilary; Julian McMahon, professore sposato nonché amante di Emmy; Frances Fisher, insopportabile madre della Swank; e Marcia Gay Harden, premio Oscar a dir poco buttato perché sprecato in un’unica scena nei panni della bacchettona madre della Rossum. Il regista ha così provato a barcamenarsi nella complicata co-abitazione dramma/commedia, riuscendo paradossalmente a strappare più risate grazie alla sboccata Emmy che lacrime con la morente Hilary. Peggior risultato, per un film nato, pensato e realizzato essenzialmente per far piangere, non ci poteva proprio essere.

[rating title=”Voto di Federico ” value=”4.5″ layout=”left”]
Qualcosa di Buono (You’re Not You, drammatico, 2014, Usa) di George C. Wolfe; con Hilary Swank, Emmy Rossum, Josh Duhamel, Stephanie Beatriz, Jason Ritter, Julian McMahon, Ali Larter, Andrea Savage, Gerald Downey, Mike Doyle, Loretta Devine, Ernie Hudson, Erin Chenoweth, Gareth Williams, Marcia Gay Harden, Frances Fisher – uscita giovedì 27 agosto 2015.