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Roma 2011 – Babycall: Recensione in Anteprima

Siamo già arrivati al giro di boa, ma fino a questo momento il Concorso del Festival di Roma latita di ’sicuri’ vincitori. Perché fino ad oggi nessun titolo è riuscito a suscitare entusiasmo. A non compiere il miracolo neanche il curioso ed atteso Babycall

pubblicato 31 Ottobre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 07:08

Siamo già arrivati al giro di boa, ma fino a questo momento il Concorso del Festival Internazionale del Film di Roma latita di ‘sicuri’ vincitori. Perché fino ad oggi nessun titolo è riuscito a suscitare entusiasmo. Tante discrete pellicole, qualche buona prova, ma nessun film da spellarsi le mani.

A non compiere il miracolo neanche il curioso ed atteso Babycall, thriller/horror dai risvolti psicologici in arrivo dal Nord Europa. Diretto dal norvegese Pål Sletaune, il film riporta in sala quella Noomi Rapace che a breve vedremo ovunque in quel di Hollywood, dopo il boom della trilogia Millennium e della sua indimenticata Lisbeth Salander.

Prendendo a piene mani da ‘classici’ come Il Sesto Senso e The Others, Sletaune finisce per perdere totalmente la bussola cinematografica, regalando un finale da denuncia penale a sceneggiatore e produttori. Perché il cinquantunenne regista ‘la butta in caciara’, come si direbbe a Roma, spazzando via 60 minuti ricchi di inquietudine e avvolti nel mistero, per poi non riuscire a riannodare i fili del discorso, concluso in maniera spicciola, improbabile e decisamente fastidiosa.

Anna è una donna sola e ansiosa. Madre di Anders, bimbo di 8 anni, la donna fugge dal marito violento, colpevole di aver picchiato e tentato di uccidere il figlio. Apprensiva e premurosa nei confronti del piccolo, Anna teme che l’ex marito possa rintracciarli. Per questo acquista un Babycall, affinché Anders sia al sicuro mentre dorme. Ascoltando il suo respiro, Anna tiene sotto stretta sorveglianza il bambino, se non fosse che dall’apparecchio echeggino strani gemiti che sembrano provenire da altre parti dell’edificio. Ascoltando con maggiore attenzione, la donna crede di sentire un bambino che urla, chiedendo aiuto. Preoccupata dallo strano fenomeno, Anna vive con sempre più apprensione le sue crisi di memoria, osservate con attenzione da un uomo della zona, che si affeziona a lei, madre circondata da ‘mostri’, tanto immaginari quanto reali…

Un horror psicologico, perturbante, ambientato in una fredda e alienante Oslo, proprio nei giorni in cui Anders Behring Breivik uccideva 93 innocenti, sconvolgendo la Norvegia e il mondo intero. C’era attesa al Festival capitolino per questo misterioso Babycall, trascinanto in Italia da una Noomi Rapace in arrivo proprio oggi nella Città Eterna. Ben confezionato per 3/4, il film deraglia completamente nel momento decisivo, ovvero quello in cui teoricamente i tanti nodi dissiminati lungo l’arco della pellcola dovrebbero venire al pettine.

Dovrebbero, per l’appunto, perché Pål Sletaune si dimentica totalmente di farlo, finendo per abbattere quei pilastri intoccabili del cinema di genere. Perché sarà anche vero che dinanzi ad un titolo con sbocchi ‘spiritici’ nulla è come sembra e tutto, ma davvero tutto, può capitare. Ma è pur sempre vero che proprio a quel tutto c’è un limite, qui da Sletaune abbondantemente superato. Senza addentrarci troppo nella trama, perché in caso contrario finiremmo per spoilerare, possiamo solo aggiungere che il regista finisce per cantarsela e suonarsela da solo, cancellando a proprio piacimento e senza nessuna spiegazione ‘concreta’ quanto visto per buona parte del film.

Alcuni comportamenti di Anna, interpretata da una Rapace comunque convincente, nel suo essere paranoica, visionaria e ansiosa fino all’eccesso, vengono semplicemente ‘cancellati’, con un colpo di spugna finale che non fa altro che sporcare quanto discretamente fatto in tutta la prima parte della pellicola. L’interazione della donna con il preside, con le maestre, con gli assistenti sociali; lo stesso Babycall, puro pretesto per provare a rattoppare i pezzi mancanti dell’intera opera; per non parlare dell’amichetto silenzioso e inquietante di Anders, a cui viene dato un risvolto finale a dir poco tirato via per i capelli.

Tutto alla fine ‘si capisce’, perché la spiegazione è tanto lampante quanto banale, ma è il modo in cui Sletaune finisce per confezionarla che lascia senza parole. Perché assolutamente inefficace, facilona, povera e gretta, per non dire impresentabile. Con un minimo di accortezza in più e dei piccoli ritocchi in fase di sceneggiatura il film avrebbe potuto prendere tutt’altra piega, qui letteralmente bruciata da un ferro da stiro che è direttamente passato sopra lo script.

Voto Federico: 4
Qui il trailer italiano
Uscita in sala: da definire

Babycall(Norvegia, Svezia, Germania, 2011, horror) di Pål Sletaune; con Noomi Rapace, Kristoffer Joner, Vetle Qvenild Werring

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